Nasive indicò il forno. «Lì dentro ci sta. Appena appena. Naturalmente, c'è rimasto parecchio… abbiamo dovuto sgombrare il resto del locale e fare una festa e ballare fino a che è stato finito.»
«Con la gente che ballava sul pedale del mantice» rise Charlie.
«E dovunque. È stata una festa magnifica» rise a sua volta Nasive. «Ma tu volevi sapere perché abbiamo fatto il volano di ceramica. Ecco, è massiccio, ed è stato meno faticoso modellarlo di quanto lo sarebbe stato costruirne uno di pietra.»
«Non ne dubito» disse Charlie, guardando il volano e pensando agli accessori invisibili, alle macchine del tempo, a un meccanismo grande quanto un dito che, gli era stato detto, poteva tagliare a fette una collina e trasportarne un pezzo ovunque si desiderasse. Gli passò per la mente il pensiero che forse quella gente non sapeva che cosa c'era nei due grandi Centri. Poi ricordò che aveva conosciuto Grocid e Nasive al Centro Medico. Così pensò che, pur sapendo ciò che avevano nei grandi Centri, lo rinnegavano e dovevano lavorare nelle casette e nei campi, facendosi venire i calli, mentre Seace e Mielwis ottenevano magicamente una colazione di frutta gelata che usciva dai ripostigli della parete accanto al loro letto. Ah, bene. Erano affari loro. «Comunque, è una ceramica enorme.»
«Oh, non proprio» disse Nasive. «Vieni a vedere.»
Lo guidò verso una porta, uscirono in un giardino. Quattro o cinque bambini stavano ruzzolando sull'erba, e uno era su un albero. Gridarono, tubarono, cantilenarono quando videro Nasive, corsero verso di lui e poi fuggirono via; mentre Nasive parlava ne spettinava affettuosamente uno, faceva ruotare un altro su se stesso, rispondeva a un altro con una rapida strizzatina d'occhio.
Charlie Johns vide la statua.
Potrebbe essere la loro Madonna con il Bambino, pensò.
Poi vide che la figura adulta, avvolta in una stoffa che sembrava uno splendido tessuto di lino drappeggiato, era in ginocchio, e guardava verso l'alto. La figura del bambino era eretta, e a sua volta guardava in alto, con un'espressione trascendente, addirittura estatica sul viso. Il bambino era nudo, ma i toni della carne erano riprodotti perfettamente, come per quella dell'adulto, il cui indumento aveva i colori del fuoco. Le due caratteristiche più straordinarie di quel gruppo erano in primo luogo che la figura dell'adulto era alta un metro, e quella del bambino era alta più di tre metri! In secondo luogo che l'intero gruppo era un solo, mostruoso pezzo di terracotta perfettamente invetriata e meravigliosamente realizzata.
Charlie dovette chiedere a Nasive di ripetere, di dargli qualche spiegazione a proposito dei forni; si sentiva pervaso di stupore davanti alla bellezza di quell'opera d'arte, alla sua perfezione, ma soprattutto alla sua simbologia. Il piccolo adulto inginocchiato in adorazione del bambino gigantesco, con il volto rapito fisso verso l'immensa figura eretta; e il bambino, a sua volta in estasi, distaccato dall'adulto e teso verso l'alto…
« Quel forno non posso mostrartelo» stava dicendo Nasive.
Charlie, ancora affascinato, studiò la grande, splendida opera chiedendosi se era stata cotta in pezzi separati e poi montata. Ma no, lo smalto era impeccabile, senza linee o saldature da cima a fondo. Persino la base, foggiata e colorata come una grande massa di fiori, come una montagna di petali, era invetriata!
Ebbene! Si erano serviti di quel magico campo-A in fin dei conti.
«È stato modellato qui» disse Nasive «ed è stato cotto qui. Grocid ed io abbiamo fatto quasi tutto, eccetto i fiori; i fiori li hanno fatti i bambini. Più di duecento bambini hanno scelto quell'argilla e l'hanno lavorata in modo che non si spezzasse durante la cottura.»
«Oh… e gli avete costruito attorno il forno?»
«Abbiamo costruito tre forni attorno al gruppo… uno per asciugarlo, e poi l'abbiamo smantellato per poterlo dipingere; uno per fissare gli smalti colorati, che abbiamo smantellato per dare i tocchi finali; e un terzo forno per la cottura finale.»
«E poi l'avete smantellato e buttato via.»
«Non l'abbiamo buttato via. Abbiamo usato i mattoni per fare il pavimento nuovo del laboratorio. Ma anche se l'avessimo buttato via… ne sarebbe valsa la pena.»
«Ne valeva la pena» disse Charlie. «Nasive… che cosa è? Che cosa significa?»
«E il Creatore » disse Nasive. (Nella lingua ledom, significava creatore, ma anche fabbricante, colui che realizza, colui che fa.)
L'adulto che adora il bambino. Il bambino in adorazione di qualcosa… qualcosa d'altro. «Il Creatore?»
«Il genitore crea il figlio. Il figlio crea il genitore.»
«Il figlio… che cosa?»
Nasive rise di quella risata piena, facile, così comune a quella gente, una risata che non eia mai ironica.
«Suvvia: chi è mai stato genitore senza un figlio che lo rendesse tale?»
Charlie rise con lui, ma mentre si allontanavano si voltò a guardare la splendente terracotta, e capì che Nasive avrebbe dovuto dirgli di più. E Nasive parve comprenderlo, parve capire i suoi sentimenti, perché sfiorò il gomito di Charlie e disse sottovoce: «Vieni. Penso che capirai meglio più tardi».
Charlie lo seguì, ma ì suoi occhi erano pieni di quella coppia squisita e devota che splendeva nel giardino. Mentre si dirigevano verso il laboratorio Charlie si chiese: Ma perché il figlio più grande del genitore?
…E capì di avere formulato quella domanda a voce alta quando Nasive, entrando nel soggiorno, afferrò al volo lo stesso bambino che prima aveva visto nascondersi tra le tende, e come prima lo rovesciò e gli fece battere dolcemente la testa sul pavimento fino a che quello si mise a singhiozzare per le risate. «Ma… i bambini lo sono, sai.»
Ecco… in quella lingua, come in inglese, “più grandi” poteva significare più grandi anche nel senso di più importanti… oh, ci avrebbe pensato più tardi. Con occhi accesi guardò i visi dei presenti e provò una stilettata di rincrescimento. Non è giusto che uno veda qualcosa di simile e non abbia nessun altro a cui farla conoscere.
Philos comprese e disse: «Ha visto la tua statua, Grocid».
«Charlie Johns, ti ringrazio.»
Charlie si sentì immensamente compiaciuto ma, poiché non poteva vedere quanto erano illuminati i suoi occhi, non seppe mai perché lo avesse ringraziato.
Il Bruto comincia, con fare minaccioso, ad avanzare a gambe larghe e con le spalle ingobbite verso il letto sui cui Lei sta rannicchiata nel suo negligée.
«Non farmi del male!» grida lei con accento italiano, mentre la macchina da presa giocherella con l'espressione avida del Bruto, e diventa il Bruto, e tutti i vermi di carne e di sangue chiusi negli scarafaggi di acciaio cromato allineati davanti allo schermo ciclopico del cinema drive in battono gli occhi e sentono il sangue pulsare nelle vene. L'aria macchiata di neon attorno alle macchine distributrici di pop-corn ne è gonfia; i fari spenti, in fila davanti allo schermo sembrano inghiottirla.
Quando la macchina da presa si è avvicinata abbastanza da renderlo possibile, la grossa mano del Bruto sfreccia sullo schermo, colpisce la guancia eburnea di Lei, e cade in basso, mentre si sente il rumore della seta lacerata. Il viso di Lei, in primo piano, tredici metri di colore dai capelli scompigliati al mento ornato d'una fossetta, sembra allontanarsi dalla macchina da presa e dal Bruto; viene schiacciata contro il guanciale di seta, mentre l'ombra scura della testa del Bruto comincia a coprire il suo viso con l'implacabile precisione con cui il tecnico del suono gira una manopola per aumentare il volume. «Non farmi male! Non farmi male!»
Herb Railes, dietro il volante della sua automobile, si accorge finalmente di una ritmica zuffa che si sta svolgendo accanto a lui. Karen dorme sodo sul sedile posteriore, ma Davy che a quest'ora di solito è morto per il mondo, è completamente sveglio. Jeannette ha fatto una presa da lotta greco-romana, una mezza-nelson, per bloccare il bambino, e con l'altra mano cerca di coprirgli gli occhi. Davy le si aggrappa al polso come a una sbarra orizzontale, e tutti e due, nonostante questo esercizio, lanciano avide occhiate allo schermo, non appena possono.
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