Alle pareti erano appesi quadri, quasi tutti in colori naturali… i verdi, i bruni, gli arancioni e i rossi sfumati di giallo e gli azzurri sfumati di rosso dei fiori e dei frutti maturi. Quasi tutti erano piacevolmente figurativi; alcuni erano astratti, qualcuno impressionista. Uno in particolare attirò la sua attenzione, una scena con due ledom, visti da un angolo stranamente elevato e obliquo, così che avevi l'impressione di guardare oltre la spalla della figura eretta verso l'altra, che era più in basso ed aveva un atteggiamento umile. Sembrava una figura spezzata, ammalata, sofferente; l'intera composizione era stranamente confusa, e dava l'impressione di essere osservata attraverso lacrime brucianti.
«Sono molto contento che tu sia potuto venire.» Era l'altro capo del Centro dei Bambini, Nasive, che era accanto a lui e sorrideva. Charlie si staccò dalla contemplazione del quadro e vide il ledom, che indossava una cappa esattamente uguale a quella di Grocid e che gli tendeva la mano. Charlie gliela strinse e la lasciò andare; poi disse: «Anch'io sono contento. Mi piace, qui».
«L'avevamo immaginato» disse Nasive. «Scommetto che non è troppo diverso da quello a cui eri abituato.»
Charlie avrebbe potuto annuire e lasciar perdere, ma in quel luogo, con quella gente, voleva essere onesto. «È diverso da quasi tutto ciò cui sono abituato» disse. «Avevamo qualcosa di simile, qua e là. Ma non abbastanza.»
«Siediti. Mangeremo qualcosa, adesso… tanto per tirare avanti. Ma non rimpinzarti troppo; fra poco ci sarà un vero festino.»
Grocid riempì i piatti di terracotta, privi d'orlo, e li fece passare in giro, mentre Nasive versava un liquido dorato nei boccali. Era, scoprì Charlie, una bevanda forte dal gusto di miele, probabilmente una specie di idromele, fresco ma non freddo, che lasciava in bocca un sapore di spezie e dava una lieve, piacevole sensazione di ebbrezza. L insalata, che mangiarono con una forchetta di legno satinato con due punte corte e sottili e una punta lunga e ampia dotata di uno spigolo affilato, era undici volte deliziosa (una volta per ogni varietà di cibo che conteneva) e costò fatica a Charlie controllarsi per non tragugiarla avidamente e non chiederne ancora.
Parlarono: Charlie non prese granché parte alla conversazione, sebbene si rendesse conto che gli altri facevano cortesemente del loro meglio per interessarlo, o almeno, per non addentrarsi in discussioni che lo escludessero. Fredon aveva trovato delle calandre sulla collina. Hai visto il nuovo procedimento di intarsio di Dregg? Legno nella ceramica; giureresti che sono fusi insieme. Nariah voleva provare un trattamento biostatico per una nuova fibra di asclepiadacea. Il piccino Eriu si è rotto la gamba. E intanto i bambini entravano e uscivano e miracolosamente non interrompevano mai, si accostavano senza far rumore per chiedere un favore, un permesso, o una informazione. «Illew dice che la libellula è una specie di ragno. È vero?» (No; nessun aracnide ha le ali.) Un lampo di nastro purpureo e di tunica gialla, e il bambino se ne era andato, per venir sostituito immediatamente da una creatura molto piccola, graziosissima e nuda che disse chiaramente: «Grocid, hai una faccia buffa». (Anche tu hai una faccia buffa.) Ridendo, il monello se ne andò.
Charlie, che mangiava con forzata lentezza, osservava Nasive, appollaiato su un vicino sgabello, che si toglieva abilmente una scheggia dalla mano. La mano, sebbene aggraziata, era grande e forte, e vedendo la punta della sonda aghiforme che scavava sotto la base del medio, Charlie notò con stupore le callosità. La carne del palmo e dell'interno delle dita era dura come quella di uno stivatore. Charlie faticò un poco a far quadrare tutto questo con i fluenti indumenti scarlatti e con il mobilio artistico, e si rese conto che non spettava a lui, per il momento, fare simili paragoni. Ma disse, battendo sul bracciolo della sua poltrona rustica: «Sono fatte qui?».
«Proprio qui» disse allegro Nasive. «L'ho fatta io stesso. Siamo stati io e Grocid a fare questa casa. Con i bambini, naturalmente. Grocid ha fatto i piatti e i boccali. Ti piacciono?»
«Moltissimo» disse Charlie. Erano marroni, quasi dorati. «C'è una lacca sulla ceramica, oppure il vostro campo-A vi fa da forno?»
«Né l'uno né l'altro» disse Nasive. «Ti piacerebbe vedere come facciamo?» Guardò il piatto vuoto di Charlie. «O vorresti…»
Con un po' di rimpianto. Charlie respinse il piatto.
«Mi piacerebbe vedere.»
Si alzarono, si diressero verso una porta. Un bambino, mezzo nascosto tra le tende in fondo alla stanza, sfrecciò maliziosamente verso Nasive, che senza cambiare andatura l'afferrò, lo rovesciò mentre quello strillava, gli fece battere con estrema delicatezza la testa sul pavimento, poi lo rimise in piedi. Quindi, sogghignando, indicò a Charlie di seguirlo.
«Vuoi molto bene ai bambini» disse Charlie.
«Mio dio» disse Nasive.
E anche qui, quella lingua era tutta sfumature, così che una traduzione non ne rendeva esattamente la sostanza. Charlie sentì che ciò che aveva voluto dire quando aveva detto “Mio Dio” era una diretta risposta alla domanda, non era assolutamente un'esclamazione. Allora il bambino era Dio? Oppure… “Mio Dio” conteneva il concetto di Bambino?
La stanza in cui erano entrati era un po' più alta di quella che avevano appena lasciato, e anche più vasta, ma era completamente diversa da quel soggiorno armonioso, comodo, pacifico. Questa era un'officina… una vera officina. Il pavimento era di mattoni, le pareti erano di tavole piallate ma non rifinite. Su sostegni di legno erano appesi strumenti da lavoro, strumenti fondamentali: mazza da fabbro e cunei, martelli, ascia, raspa, lesina, accetta e scure, squadra e livelle, trapano con una serie di punte, e tutta una serie di pialle.
Contro le pareti e qua e là sul pavimento, c'erano… ecco, chiamiamole macchine utensili, ma erano evidentemente fatte a mano, qualche volta in un pezzo unico, ed erano di legno! Una sega, per esempio, veniva fatta funzionare da un sistema a pedali, da un albero a gomiti che faceva oscillare su e giù la lama dentata. Vi era applicata una struttura smontabile, per guidare l'estremità della sega, ed era caricata con una molla di legno. C'era anche un tornio, con una quantità di pulegge di legno per regolarne la velocità e un immenso volano (che doveva pesare almeno duecento chili) fatto di ceramica.
Ma c'era anche il forno che Nasive doveva fargli vedere. Era in un angolo, una costruzione di mattoni sovrastata da un camino e con un pesante portello metallico ted era montata su pilastri di mattoni. Sotto c'era un focolare («È anche la nostra forgia» fece osservare Nasive, e, con una spinta poderosa, lo fece rotolare fuori e tornò a spingerlo sotto il forno) e, applicato ad esso, da una parte, c'era un mantice a pedale. Il mantice sfociava in un grande oggetto floscio che sembrava una vescica sgonfia, e lo era veramente. Nasive pompò vigorosamente e l'involucro rugoso sospirò, si sollevò stancamente, si raddrizzò. Poi cominciò a gonfiarsi.
«Ho preso l'idea da una cornamusa che uno dei bambini stava imparando a suonare» disse Nasive, con il viso raggiante. Smise di pompare e tirò leggermente una leva verso di sé; Charlie sentì l'aria salire sibilando dalle griglie. Tirò un poco di più, e l'aria ruggì.
«Così si può controllare perfettamente e non è necessario che sia un adulto ad occuparsene; tutti i bambini, qui, possono venire, e ciascuno fa quello che può, anche i più piccoli. A loro piace.»
«È meraviglioso» disse sinceramente Charlie «ma, senza dubbio, c'è un modo più semplice per farlo.»
«Oh, senza dubbio» disse gentilmente Nasive… e non aggiunse una parola di spiegazione.
Charlie si guardò attorno ammirato, guardò il mucchio di legname da lavoro che era stato indubbiamente preparato in quel luogo, e le robuste macchine lignee… Indicò il volano. «Sembra ceramica. Come riuscite a cuocere un oggetto così grande?»
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