Theodore Sturgeon - Venere più X

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Un mondo completamente diverso dal nostro; la civiltà dei ledom, enigmatiche creature ermafrodite, che hanno osato rivoluzionare sesso e religione per ottenere quello che l’homo sapiens non ha mai avuto. Charlie Johns, un uomo come tanti altri, uno di, noi, scaraventato d’improvviso in una situazione estranea, costretto ad osservare e giudicare questa civiltà alternativa. Da questi elementi Theodore Sturgeon, uno dei massimi autori americani di science-fiction, ha tratto una storia sublime e impegnativa; ha costruito un’opera che scava ’nelle nostre coscienze, indagando senza pietà sino al fondo della storia umana. Un romanzo che non è semplicemente un romanzo: una stupefacente lezione di libertà, un canto corale sul futuro del nostro pianeta. E i bambini diventano divinità, il tempo perde le dimensioni consuete, il cielo è una cupola d’energia. Attraverso una trama magicamente semplice, ricca di simbolismi e d’inventiva, Sturgeon tiene avvinto il lettore fino all’agghiacciante conclusione. Come ha scritto Frederik Pohl: “Forse questo non e il romanzo più strano di Sturgeon, ma e senz’altro il più bello.”
Nominate per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1961.

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«I risvolti passano di nuovo di moda» dice Smith, dopo un po'.

«Già. Milioni e milioni di individui si fanno cambiare la linea dei calzoni. Cosa credi che se ne faranno i sarti, di quei risvolti? E che fine farà tutta la stoffa per i risvolti, che i fabbricanti non adopereranno più?»

«Faranno i tappeti.»

«Costano lo stesso» dice Herb, alludendo ai nuovi calzoni senza risvolto.

«Oh, già» Smith sa che cosa intende dire.

Ancora quel silenzio.

Herb dice: «Voi avete molta roba che si lava e non si stira?»

«Un po'. Ce l'hanno tutti.»

«E chi la lava e la porta senza che sia stirata?»

«Nessuno» dice Smith, con una sfumatura di indignazione. «Qualsiasi buona tintoria usa delle tecniche speciali adesso, e fa un ottimo lavoro.»

«E allora perché c'è la roba che si lava e non si stira?»

Smith alza le spalle. «Perché no?»

«Già» dice Herb, che sa quando smetterla con un argomento.

Il silenzio.

«Il vecchio Farrel!»

Herb alza lo sguardo al grugnito di Smith, e vede Smith che sta guardando attraverso la finestra e attraverso la finestra della casa di fronte.

«Che cosa sta facendo?»

«Guarda la TV, credo. Ma guarda quella sedia pazzesca.»

Herb si alza, attraversa la stanza. Ha un portacenere, lo depone sulla tavola, torna indietro. Da una stanza di quaranta metri, non si può capire che sta guardando.

«Una di quelle sdraio speciali.»

«Sì, ma rossa. In quella stanza, come fa a starci una sedia rossa?»

«Tienili d'occhio, Smitty. Cambierà arredamento.»

«Cosa?»

«Ricordi due anni fa, tutto pannelli di pino e roba stile ranch, e poi un giorno arriva quella grande poltrona verde. E in una settimana, bum! Tutto stile coloniale americano.»

«Oh, già.»

«Così, in una settimana, sta' a vedere.»

«Bum!»

«È quello che dico.»

«E come può permettersi di cambiare due volte l'arredamento in due anni?»

«Forse ha dei parenti.»

«Lo conosci?»

«Io? Diavolo, no. Non sono mai stato in casa sua. Ci salutiamo appena.»

«Credevo che se la passasse male.»

«Perché?»

«L'automobile.»

«Così spende tutto cambiando arredamento alla casa.»

«Gente strana, però.»

«Strana in che senso?»

«Tillie ha visto che lei comprava la melassa, al supermarket.»

«Oh, diavolo» dice Herb. «È come un culto, quella roba. Non mi meraviglio della macchina. Probabilmente nemmeno gli interessa se qualcuno si accorge che ha già diciotto mesi.»

Il silenzio.

Smith dice: «È quasi ora di ridipingere questa casa».

Herb dice: «Anche la mia».

Fasci di luce bianca sciabolano il paesaggio; la giardinetta di Smith si infila nel viottolo, entra nella rimessa e si ferma. Le portiere sbattono, come parole di due sillabe. Si avvicinarono voci femminili, parlano tutte e due contemporaneamente, senza perdere una battuta. La porta si apre, entra Tillie, entra Jeannette.

«Ehi, bulli, cosa state facendo?»

«Solo chiacchiere da uomini» dice Smith.

Percorsero corridoi ondulati e per due volte camminarono senza danno su abissi senza fondo e vennero sollevati verso l'alto. Mielwis, in un fregio diagonale di nastro giallo e porpora avvolto verso destra e verso sinistra attorno alla gamba sinistra, era solo e aveva l'aria molto imponente. Accolse Charlie con grave allegria e approvò chiaramente, apertamente, vivamente l'abbigliamento blu cupo.

«Vi lascio» disse Philos, al quale Mielwis non aveva prestato alcuna attenzione (il che, pensò Charlie, poteva significare solo che lo accettava); annuì e sorrise gentilmente. Charlie agitò un dito e Philos se ne andò.

«Molto discreto» disse Mielwis, con approvazione. «Ce n'è uno solo, come Philos.»

«Ha fatto del suo meglio, per me» disse Charlie, poi aggiunse, quasi controvoglia: «Io credo…».

«Bene» disse Mielwis. «Il buon Philos mi dice che tu ti senti meglio.»

«Diciamo che comincio a capire come mi sento» disse Charlie «questo è molto più di quanto sapevo quando sono venuto qui.»

«Un'esperienza sconvolgente.» Charlie l'osservò attentamente, in un certo senso vi fu costretto. Non aveva alcun elemento per giudicare la probabile età di quella gente; e se Mielwis sembrava più anziano, questo era dovuto certamente al rispetto che gli altri gli attribuivano, e alla sua taglia un po' imponente, e al suo viso più pieno, e alla distanza veramente straordinaria — persino lì — tra i sui occhi. Ma non c'era nulla, in quelle creature che lasciasse pensare a un invecchiamento nel senso che intendeva lui.

«Dunque tu vuoi sapere sul nostro conto tutto quello che c'è da sapere.»

«Certamente.»

«Perché?»

«Perché è il mio biglietto di ritorno a casa.» La frase era così idiomatica che in quella lingua era quasi priva di significato, e Charlie lo capì nello stesso momento in cui la pronunciava. In quella lingua pareva non esistesse il concetto di “pagamento” o di “permesso di transito”; la parola che aveva scelto per “biglietto” significava “etichetta” o “scheda”. «Voglio dire» aggiunse «mi è stato detto che quando avrò visto tutto ciò che tenete a farmi vedere…»

«…e tutto ciò che chiederai di vedere…»

«…e quando avrete visto le mie reazioni, accetterete di rimandarmi nel luogo da cui sono venuto.»

«Sono lieto di poter ratificare questo accordo» e Charlie ebbe l'impressione che Mielwis volesse fargli capire che si trattava di una misura specialissima. «Cominciamo.» In un certo senso, suonò come una spiritosaggine.

Charlie rise, perplesso.

«Non so da dove cominciare.» Certe parole che aveva letto da qualche parte… Charles Fort? Oh! Come gli sarebbe piaciuta quella situazione!… Fort aveva detto: “Per misurare un cerchio, comincia da un punto qualsiasi”. «Sta bene, allora. Voglio sapere… qualcosa di personale sul conto dei ledom.»

Mielwis allargò le mani. «Qualunque cosa.»

Improvvisamente intimidito, non osò fare domande dirette. Disse: «Se ricordo bene, Philos ha accennato a qualche cosa, ieri sera… comunque, prima che io mi addormentassi… Philos ha detto che voi ledom non avete mai visto il corpo di un maschio. E io ho pensato immediatamente che volesse dire… che voi eravate tutte femmine. Ma quando glielo ho chiesto, ha risposto di no. Ora, o siete una cosa o siete l'altra, giusto?».

Mielwis non rispose, ma rimase immobile; lo guardò amichevolmente con quegli occhi immensi, serbando sulle labbra un mezzo sorriso altrettanto amichevole. Nonostante il suo imbarazzo che, per qualche ragione, cominciava a diventare acuto, Charlie riconobbe quella tecnica e l'ammirò; aveva avuto un'insegnante che la usava, una volta. Era un modo di dire: “Arrivaci da solo”, ma non sarebbe mai stato usato verso qualcuno che già non conoscesse tutti i fatti. Una specie di “sfida al lettore” di un libro di Ellery Queen.

Charlie rimescolò nella propria mente tutte le impressioni imbarazzanti che aveva provato al riguardo: il notevole sviluppo pettorale (ma non insolitamente notevole) e la grandezza delle areole; l'assenza di individui dalle spalle ampie e dai fianchi sottili. E, fra le altre caratteristiche, i capelli, che venivano tenuti in modi diversi quanto erano diversi gli abiti, ma erano per lo più corti, e gli abiti stessi, con la loro assurda varietà. Ma rifiutò di lasciarsi sviare.

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