Kaby annuì quasi distrattamente. — Confinate o uccidete il codardo, quello che si fa prima; frustate la donna, poi proseguiremo subito per la battaglia egiziaca.
— Certo — disse Marcus. — Io sono morto in quella battaglia. Ma ora forse non vi morirò più.
Kaby lo guardò e gli disse: — Romano, mi piaci.
Bruce aveva ancora sulle labbra un sorriso forzato; i suoi occhi si fissarono su un altro di noi: — Tu, Ilhilihis?
La scatola fonica di Illy non aveva mai avuto un suono metallico, almeno alle mie orecchie, ma ora lo ebbe quando egli rispose: — Io vivo, molto più di voi, di tempo rubato al tempo, tra-la-la, ma al vecchio Illy piace ancora vivere. Lasciami fuori da queste cose, Bruce caro.
— Miss Davies?
Al mio fianco, Maud replicò subito, in tono molto sgarbato: — Mi credi pazza?
Dietro a Maud, scorsi Lili e pensai: Santo Cielo, forse sarei altrettanto orgogliosa, se fossi nei suoi panni; ma accidenti, non avrei un’aria tanto spavalda.
Lo sguardo di Bruce non era ancora giunto su Beau, ma il piccolo giocatore lo prevenne: — Non ho nessuna particolare ragione per trovarvi simpatico, signore, anzi, direi proprio il contrario. Tuttavia questo Locale comincia ad annoiarmi più ancora di quanto non mi avesse annoiato Boston a suo tempo, e inoltre mi è sempre risultato difficile resistere a un bel discorso. Anche se era un discorso assai prolisso. Sono con voi, signore.
Provai un tuffo al cuore e mi sentii ronzare le orecchie. Mi parve di sentire borbottare Sevensee: — Le ho piene, di questi Ragni puzzosi. Mettimi nella banda.
Nello stesso momento, Doc sorse da dove era scivolato, ai piedi del bar; era senza cappello, e i suoi capelli erano tutti arruffati. Afferrò la bottiglia per il collo e ne spezzò il fondo contro il bancone. Poi la brandì, gridando:
— Ubivaytye Pauki… i Nyemetzi!
Subito Beau tradusse: — Morte ai Ragni… e ai tedeschi!
Doc non scivolò a terra come si potrebbe pensare (con l’altra mano si afferrava al bancone, saldamente). Il Locale divenne silenzioso, dentro e fuori, come non lo era mai stato, e nel silenzio gli occhi di Bruce si mossero per incontrare quelli di Sid.
Prima di fissarsi su Sid, tuttavia, quegli occhi si arrestarono ancora una volta. Udii la voce di Bruce: — Miss Forzane?… — e pensai: È proprio una cosa ridicola. Feci per darmi un’occhiata intorno, cercando la Contessa, ma mi sentii guardata da tutti e compresi: Ehi, sono io! Ma è impossibile che mi stia succedendo una cosa come questa. Agli altri può succedere, certo, ma non a me. Io lavoro qui, e basta. Non può succedere a Greta, no, no, no!
Ma invece stava succedendo proprio a me, inequivocabilmente, e gli occhi di tutti continuavano a essere puntati su di me. Il silenzio, il greve senso di realtà sceso su di noi erano spaventosi. Pensai: Greta, devi dire qualcosa, magari soltanto una parolaccia adatta alla situazione. Poi, d’improvviso, capii che tipo di silenzio fosse quello che ci avvolgeva.
Era il silenzio di una grande metropoli, se si potessero cancellare in un istante tutti i suoi rumori. Era la canzone di Erich dopo che il piano aveva smesso di accompagnarlo. Era come se i Venti del Cambio potessero spegnersi completamente… e quando distolsi lo sguardo dagli altri, già sapevo cosa fosse accaduto.
Le due ragazze Fantasma erano sparite. Il Mantenitore Maggiore non era stato semplicemente Introvertito. Era scomparso.
— Abbiamo esaminato il muschio tra le piastrelle, e l’abbiamo trovato intatto.
— E immagino che avrete frugato tra le carte di D., e tra i libri della sua biblioteca!
— Certamente; abbiamo aperto ogni plico ed ogni busta; non soltanto abbiamo aperto ogni libro, ma abbiamo sfogliato ogni volume pagina per pagina…
Poe
LA CAMERA CHIUSA
Tre ore più tardi, io e Sid ci lasciavamo cadere sfiniti su un divano: era il divano più vicino alla cucina, ma eravamo troppo stanchi per provare desiderio di cibo, almeno per il momento. Una lunga ricerca, assai più minuziosa di quanto non si possa immaginare, ci aveva rivelato che il Mantenitore non era nel Locale.
Eppure doveva trovarsi nel Locale: continuammo a ripetercelo per le prime due ore. Doveva , se la pratica e le teorie che regolavano la nostra vita nel Mondo del Cambio significavano qualcosa. Un Mantenitore è ciò che mantiene in esistenza un Locale. Il Mantenitore Minore si occupa dell’ossigeno, della temperatura, umidità, gravità e in generale delle altre minuterie vitali e materiali, ma il Mantenitore Maggiore è quello che impedisce alle pareti di schiacciarci e al soffitto di cascarci sulla testa. Non è molto grande, ma, perdiana, svolge un compito molto importante.
Non funziona mediante fili o con onde radio e altre cose complicate. Si limita ad ancorarsi allo spaziotempo locale.
Mi hanno detto che la sua parte interna, la parte che ne assicura il funzionamento, è costituita da certe molecole molto robuste, molto dure, gigantesche, ciascuna delle quali è praticamente un minuscolo cosmo a sé stante. Visto dall’esterno, sembra una radio portatile, con qualche manopola in più del solito, varie spie luminose, levette e una serie di prese a cui collegare le cuffie auricolari e tutto l’assortimento degli altri ammennicoli sensoriali.
Ma il Mantenitore era scomparso, e il Vuoto non si era ancora chiuso su di noi, almeno per il momento. Io, comunque, ero talmente esausta che la cosa non avrebbe fatto molta differenza.
Una cosa almeno era certa: o il Mantenitore era stato messo in posizione Introversione prima di involarsi, oppure la sua scomparsa produceva automaticamente l’Introversione, come preferite, poiché, senza ombra di dubbio, eravamo Introvertiti: severa presa di coscienza della realtà (e sapevo, senza dover provare a bere, che l’alcol non sarebbe riuscito a mitigarla), il fatto che non alitasse il minimo Vento del Cambio a rendere meno soffocante l’atmosfera; il grigio del Vuoto era diventato totalmente interiore, si era così compenetrato nel mio cervello, che capii cosa intendono dire i nostri scienziati quando spiegano che il Locale è una specie di mescolanza o di intreccio del materiale con il mentale: una Monade Gigante, la definì uno di loro.
Comunque, dissi a me stessa: Greta, se questa è l’Introversione, a me non garba affatto. Non è affatto piacevole essere tagliati fuori dal cosmo, vagare alla deriva, e conoscere questa situazione. Una lancia di salvataggio sperduta in mezzo al Pacifico, o un’astronave nel vuoto tra le galassie sono uno scherzo, al confronto.
Mi domandai perché mai i Ragni mettessero in tutti i Mantenitori l’interruttore dell’Introversione, visto che non veniva mai usato nel corso dell’addestramento e che dovevamo azionarlo soltanto in casi di emergenza estrema, quando le uniche alternative erano l’Introversione o la resa ai Serpenti, e per la prima volta ne compresi la ragione, abbastanza evidente.
L’Introversione era come l’apertura dei portelli per far inabissare deliberatamente la nave: il suo scopo principale era quello di impedire che il nemico si impadronisse di segreti militari e di materiale bellico. Metteva il Locale in una situazione dalla quale neppure l’Alto Comando dei Ragni avrebbe potuto salvarlo: il Locale si limitava ad affondare sempre più giù (o su? Fuori?) nel Vuoto.
Se le cose stavano così, le nostre possibilità di tornare indietro erano pressappoco uguali alla possibilità che io tornassi bambina a giocare a pallone in riva al mare, nel Piccolo Tempo.
Mi avvicinai maggiormente a Sid e mi appoggiai alla sua spalla, strofinando la guancia sul velluto grigio e bisunto del suo farsetto ricamato in oro. Lui abbassò lo sguardo su di me, e io gli feci: — Siamo molto lontani da King’s Lynn, eh, Sid?
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