— Avete i vostri esperti dei computer. O non riuscite a capire il sistema?
Un’altra pausa di silenzio. — Comandante, avrà quello che chiede. Attracchi con il nostro salvacondotto, se vuole in cambio quelle assicurazioni. Nella stazione ci sono difficoltà con i lavoratori indigeni. Chiedono di Konstantin.
— Gli hisa — mormorò Damon. Ebbe una visione improvvisa, terribile, degli indigeni di fronte ai confederati.
— Allontani le sue navi dalla stazione, comandante Azov. L’ Unity può restare all’attracco. Io arriverò dalla parte opposta, e lei faccia in modo che le sue navi non escano di sincronizzazione. Se qualcosa mi passa in coda, sparerò senza fare domande.
— D’accordo — rispose Azov.
— È pazzesco — disse Graff. — E adesso cosa ci abbiamo guadagnato? Non ci daranno mai carta bianca.
Signy Mallory non disse nulla.
PELL: MOLO BIANCO; 9/1/53; ore 0400 pg.; ore 1600 ag.
Sul molo c’erano militari della Confederazione, in uniforme da lavoro… verde, uno spettacolo surreale, su Pell. Damon scese la rampa, verso la fila di guardie della Norway che sorvegliavano l’accesso. Lontano, sul molo deserto, c’erano altri militari in assetto da combattimento… confederati. Varcò il perimetro, passò tra i soldati della Norway , e cominciò la traversata solitaria del molo invaso dai rottami. Sentì un rumore, dietro di lui, e si voltò a guardare.
Josh.
— Mi ha mandato la Mallory — disse Josh. — Ti dispiace?
Damon scosse la testa, lieto che lui lo accompagnasse dove era diretto. Josh si frugò in tasca e gli porse un nastro. — Te lo manda la Mallory — disse Josh. — E stata lei a regolare il computer. Dice che questo potrebbe servirti.
Damon prese il nastro, l’infilò nella tasca della divisa marrone dell’Anonima. La scorta di confederati li stava aspettando insieme alle truppe: erano vestiti di nero e con fregi d’argento. Damon riprese a camminare e quando fu più vicino rimase sconcertato nel vederli così eguali, così belli. Umani perfetti, tutti dello stesso modello.
— Che cosa sono? — chiese a Josh.
— Sono come me — disse Josh. — Meno specializzati.
Damon deglutì a fatica e continuò a camminare. I militari confederati si schierarono intorno a loro, senza una parola, e li scortarono lungo il molo. Piccoli gruppi di cittadini di Pell li guardarono passare. Konstantin , sentiva mormorare. Konstantin. Vide la speranza in alcuni di quegli occhi, e rabbrividì, sapendo che c’era ben poco da sperare. In alcune delle aree che attraversarono c’era il caos, intere sezioni con le luci spente, i ventilatori fuori uso, incendi sparsi e il fetore dei cadaveri. La gravità presentava ancora qualche piccola instabilità. Era impossibile sapere cosa fosse successo nel cuore del sistema di supporto vitale. Oltre un certo tempo, i sistemi incominciavano a deteriorarsi irrimediabilmente, quando cioè gli equilibri erano stati drasticamente stravolti. Priva di coordinamento, con la centrale bloccata, Pell si era affidata ai gangli periferiti, centri nervosi non interconnessi, sistemi automatici che lottavano per tenerla in vita. Senza equilibrio ed un minimo di regolazione, si sarebbero sfasati… come un corpo morente.
Entrarono nell’azzurro nove, dove c’erano altre forze della Confederazione, e salirono una rampa d’emergenza… c’erano morti anche lì, corpi disseminati lungo la salita; una salita lunga, dal nove in su, verso un’area dove operavano militari corazzati. Non potevano salire oltre; il comandante della scorta svoltò e li guidò nel livello due, nel corridoio fiancheggiato dagli uffici finanziari. Lì c’era un altro gruppo di militari e di ufficiali. Uno, con i capelli inargentati dal ringiovanimento e carico di gradi e decorazioni, si voltò verso di loro. Per Damon, fu un trauma riconoscere gli uomini che stavano dietro di lui. Ayres, l’inviato della Terra.
E Dayin Jacoby. Se avesse avuto in mano una pistola, gli avrebbe sparato. Non l’aveva. Si fermò a fissarlo, e Jacoby diventò paonazzo.
— Signor Konstantin — disse l’ufficiale.
— Il comandante Azov? — Damon aveva riconosciuto i gradi.
Azov gli tese la mano. Damon la strinse, con amarezza. — Maggiore Talley — disse Azov, e porse la mano a Josh. Josh accettò il saluto. — Lieto di riaverla con noi.
— Signore — mormorò Josh.
— Le informazioni della Mallory sono esatte? Mazian è diretto verso Sol?
Josh annuì. — Non è un inganno, signore. Credo sia vero.
— Gabriel?
— Morto, signore. Ucciso dagli uomini di Mazian.
Azov annuì, aggrottò la fronte, e guardò di nuovo Damon. — Le offro una possibilità — disse. — Crede di poter rimettere in ordine la stazione?
— Tenterò — disse Damon. — Se mi lascia andare lassù.
— È appunto il nostro problema — disse Azov. — Non possiamo entrare. Gli indigeni hanno bloccato gli accessi. Non si sa quali danni abbiano fatto là dentro, né quali scontri potrebbero esserci, con loro.
Damon annuì lentamente, e si voltò a guardare la porta della rampa. — Josh viene con me — disse. — E nessun altro. Rimetterò a posto Pell. Le sue truppe potranno seguirci… quando sarà tutto tranquillo. Se si comincia a sparare, potreste perdere la stazione, e a questo punto non lo vorreste, vero?
— No — riconobbe Azov. — Non lo vorremmo.
Con un cenno, Damon si mosse verso le porte e Josh gli si affiancò. Dietro di loro, un altoparlante cominciò a richiamare le truppe, che uscirono dalla rampa e che loro incrociarono mentre salivano. In alto era tutto sgombro, le porte del settore azzurro uno erano chiuse. Damon spinse il pulsante: non reagiva. L’aprì con il comando manuale.
Dietro la porta erano seduti gli indigeni, i quali tutti insieme formavano una massa che riempiva il corridoio principale e quelli laterali. — Konstantin-uomo — esclamò uno, alzandosi all’improvviso. Era ferito, come molti altri, e sanguinava per le ustioni. Balzarono in piedi, e tesero le mani verso di lui quando entrò, per toccarlo, dondolandosi per la gioia e lanciando grida nella loro lingua.
Damon passò in mezzo a loro, seguito da Josh. Ce n’erano altri nel centro di comando, al di là delle finestre, seduti ai banchi, in tutti gli angoli. Damon raggiunse la porta, bussò sul vetro. Gli hisa alzarono la testa, sgranarono gli occhi, solenni e calmi… e di colpo si animarono, saltarono in piedi, danzarono, lanciarono grida che il vetro smorzava.
— Aprite la porta — disse Damon. Non potevano sentirlo, ma lui indicò l’interruttore, perché avevano chiuso dall’interno.
Uno di essi capì. Damon passò in mezzo a loro, si lasciò abbracciare e toccare, e all’improvviso con una mano serrata intorno alla sua, si sentì stringere a un petto peloso. — Io Satin — gli disse l’hisa, sogghignando. — Me occhi caldi, caldi, caldi, Konstantin-uomo.
E dall’altra parte, Denteazzurro. Riconobbe l’ampio ghigno e il vello irsuto, e abbracciò l’indigeno. — Tu madre manda — disse Denteazzurro. — Lei bene, Konstantin-uomo. Lei dice chiudere porte stare qui e non muovere, fare loro mandare cercare Konstantin-uomo, fare tutto a posto in Lassù.
Damon riprese fiato, e andò alla consolle centrale, seguito da Josh. C’erano cadaveri umani sul pavimento. C’era Jon Lukas, ucciso da un colpo alla testa. Sedette al quadro centrale, cominciò a premere i tasti, a ricostruire… prese il nastro ed esitò.
Il dono della Mallory. A Pell. Alla Confederazione. Il nastro poteva contenere qualunque cosa… trappole per la Confederazione… il comando d’autodistruzione…
Si passò una mano sul volto; finalmente si decise e inserì il nastro. Il meccanismo l’assorbì, irrimediabilmente.
Читать дальше