C. Cherryh - Stirpe di alieno

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Stirpe di alieno: краткое содержание, описание и аннотация

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Lo avevano chiamato Thorn, e ancora neonato lo avevano affidato al più grande giudice-guerriero di quel mondo, Duun, perché lo allevasse come un membro della loro razza. Ma ben presto Thorn si rende conto di essere diverso; la sua pelle è chiara e priva di morbida pelliccia argentea, le sue mani mancano di artigli, e in tutto quel mondo non esiste un’altra creatura simile a lui. Quando poi gli attentati alla sua vita si moltiplicano, fino a condurre l’intero pianeta a una strenua guerra civile, Thorn capisce che deve cercare nello spazio la risposta all’enigma della sua origine, ben sapendo che da lui può dipendere il futuro di due lontane civiltà.
Nominato per i premi Hugo e Locus in 1986.

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— Va bene. Fra un’ora. Si muoveranno un minuto dopo che sarai decollato dal tetto; avrò i consiglieri alla porta.

— Sorveglia Shbit, basta questo. Te lo riporterò.

— La Corporazione non lo prenderà!

— Speri di sì o speri di no?

Ellud rimase fermo, con la bocca aperta, e Duun uscì.

Thorn camminava in fretta. In un fagotto, sottobraccio, aveva un cambio d’abiti, per sé e per Duun, e il mantello grigio di Duun avvolto attorno ad articoli da bagno e legato con una corda; indossava abiti invernali nuovi: una giacca imbottita, pantaloni larghi e stivali imbottiti; Duun, che camminava in direzione dell’ascensore al suo fianco, era vestito allo stesso modo.

— Dove stiamo andando, Duun? — Era per metà una protesta e per metà una domanda, e la faceva per la terza volta. (Ho infranto qualche regola, ho fatto arrabbiare Duun?) Ma non riusciva a leggere dentro a Duun in quel momento, a parte il fatto che c’erano dei segreti, e Duun aveva una gran fretta di portarlo fuori. (Fuori?) Non si era più messo pantaloni e giacca dai tempi dei rigidi inverni di Sheon. E non aveva mai indossato stivali. Era solo l’inizio dell’autunno.

(Sa quello che ho detto a Sagot. Ho fatto qualcosa di sbagliato! Stiamo scappando ancora, come da Sheon. Ci stanno dando la caccia, uomini con fucili… Ma è assurdo. Non lo farebbero. Non ho parlato con nessuno con cui non dovessi. Non ho fatto niente…)

(Davvero?)

La porta dell’ascensore si aprì. Duun entrò per secondo e inserì la tessera per farlo funzionare. L’ascensore sfrecciò verso l’alto, attraverso tutti i piani fra loro e il tetto.

Le porte si aprirono nella cupola. Dietro le finestre c’era il vero cielo, delle nuvole grìgie e un elicottero con le pale che giravano. C’erano delle guardie ad aspettarli; aprirono la porta, lasciando entrare un vento gelido. — Tieni giù la testa! — gli gridò Duun, e si mise a correre, abbassandosi quando fu vicino all’elicottero. Thorn lo seguì di corsa, con il vento delle eliche che gli sferzava la faccia. Stette basso finché non ebbe raggiunto l’elicottero, e salì a bordo come Duun, il più in fretta possibile; si buttò su una poltrona e cominciò ad allacciarsi le cinture. (Come col simulatore. Ma questo è un elicottero vero.)

Il motore salì di giri, e l’elicottero si alzò quasi con rabbia. Tutto roteò vertiginosamente: le cime dei grattacieli di Dsonan, i crepacci profondi delle linee ferroviarie e delle strade di manutenzione, e il porto lontano con la luce grigia che brillava sull’acqua, sotto una macchia di nuvole.

— Andiamo all’aeroporto — gli disse Duun, gridandogli nelle orecchie — C’è un aeroplano che ci aspetta.

Thorn lo guardò, con le domande dipinte sul volto. Implorante.

— Andiamo ad Avenen — gridò Duun. — Il quartiere generale della Corporazione. Sarà meglio che ti abitui all’idea durante il viaggio. Ci verranno tutti gli hatani che riusciranno a radunare, e tu dovrai farlo, questa volta o mai più. Non ci sarà una seconda occasione.

Per cosa?

— Per avere la protezione della Corporazione.

Corsero dall’elicottero fino a un edificio dove si tolsero i vestiti imbottiti e indossarono delle tute aderenti. Degli attendenti, impersonali quanto i medici, gli strinsero le allacciature, due alla volta, con fretta brutale; poi gli sistemarono le maschere, che penzolavano dal collo, e i caschi con dentro un microfono. — Corri — disse Duun, chinandosi a raccogliere i bagagli, e corsero fuori dalla porta che gli attendenti tenevano aperta per loro. Si ritrovarono in un hangar pieno di rumore, aperto alle due estremità, dov’era in attesa un aereo con le eliche che giravano al minimo: una macchina con il muso che si abbassava, e ali tozze, rivolte all’indietro. — Questo ha bisogno di una pista per decollare — gridò Duun. — Dovremo uscire da qui… gira dietro alle ali, c’è una scaletta.

C’era, appoggiata all’aereo. La calotta era alzata. Duun gettò il bagaglio a una guardia e si arrampicò sulla scaletta; e Thorn gli tenne dietro, ostacolato dalla tuta che gli impediva i movimenti. Ansimando e strisciando sul fianco dell’aereo, raggiunsero il piano alare. C’era un posto per il pilota, uno per il secondo pilota, e altri due posti dietro, in una cabina che sembrava grande appena per i due posti davanti. Duun passò sopra una delle poltroncine e si sedette sulla seconda, afferrò delle complicate cinture di sicurezza e se le legò. Thorn si infilò in quella a fianco; le cinture erano simili a quelle del simulatore. L’attacco per il tubo della maschera era fra le gambe: Duun glielo mostrò e lo inserì. — Comando per le comunicazioni — la voce di Duun gli arrivò dalla cuffia e il viso di Duun, dentro al casco e dietro la maschera con l’interruttore a tre posizioni e il pulsante sul fianco in bella evidenza, gli apparve irriconoscibile: sembrava la testa di un insetto. La calotta scivolò in avanti, con un sibilo di comandi idraulici. Il pilota girò la testa e fece un segno con la mano a Duun, che rispose con un altro segno. Il pilota si voltò, e il suo secondo spinse i motori al massimo: le turbine girarono più in fretta e l’aereo cominciò a rollare sempre più veloce, fuori dell’hangar, sotto il cielo coperto, con il carrello che sobbalzava sulla pavimentazione irregolare, e il paesaggio di Dsonan, alla loro sinistra, irreale come la vista da una finestra.

Più veloce: uscirono su una lunga distesa di cemento, e il sibilo del motore si fece più forte. L’accelerazione li schiacciò contro gli schienali, mentre l’aereo compiva la sua corsa e si sollevava rombando sopra il fiume. Eseguì poi una brusca virata, mostrando per un lungo vertiginoso momento il corso d’acqua, finché il pilota non decise di raddrizzarlo, puntando verso l’alto.

— Dei — disse Thorn. Il cuore gli batteva forte, mentre le nuvole sfrecciavano accanto a loro, e ancora l’aereo saliva. (Perché così in fretta? Perché così all’improvviso? Cosa ha in mente Duun?) — A che velocità arriva questo aereo?

— Più di mach due, se necessario. È un aereo corriere… armato, se vuoi saperlo. E nel caso tu voglia sapere qualcos’altro: sì, c’è una ragione. Ci sono problemi a terra che mi preoccupano. Non mi aspetto guai veri e propri, ma c’è la remota possibilità di guai anche quassù. C’è un’unità ghota nella provincia di Hoguni che ha uno di questi, e non so da chi prenda gli ordini.

— Ghota? Non sono guardie?

— Assoldate. Una corporazione di guerrieri. I kosan e i ghota. I nostri amici qui davanti a noi sono kosanin; assumono un servizio a vita. Invece i ghotanin si affittano; non fidarti mai di loro, finché non sai quanto dura il loro contratto e se sei il solo a pagarli. Sono come le mogli annuali; sempre alla ricerca del migliore offerente. I kosanin non militano con loro. È per questo che sono in unità separate.

— Duun-hatani, forse non so abbastanza!

— Qualsiasi cosa tu faccia, non mentire e non tirarti indietro. Nessuno conosce mai abbastanza. È tutto quello che posso dirti ora. Due regole. E una terza: ricordati di Sheon. Ricorda il pugnale sul tuo cuscino. Ricorda il gioco della pietra. E sii sempre cortese.

Arrivarono stridendo su una pista che si spingeva nel mare, frenarono con grande sforzo e girarono bruscamente verso un gruppo di edifici e di aerei, di tutte le dimensioni, per lo più piccoli.

E nessuno affusolato come il loro. — Bene — disse Duun — nessuno è arrivato prima di noi; ci sono soltanto i locali e i visitatori occasionali.

Thorn si guardò intorno. Sulla maggior parte degli apparecchi erano dipinte le insegne. Alcune a strisce, ma la maggior parte erano bianche. Un elicottero li attendeva, con le eliche che giravano.

— È il nostro?

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