Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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Non riuscì a comprendere le parole; erano più forti, ma i due uomini gridavano contemporaneamente e il risultato era un caos. Il suo corpo non ne fu affatto influenzato: continuò la sua avanzata mortale, furtiva.

— Non riesco a vederti, Roger.

— Sono a dieci metri da voi… a sud? Sì, a sud! Sto strisciando. Sul terreno.

Il vetro del visore del prete scintillò nella luce delle stelle girandosi verso di lui; poi Kayman si voltò e si lanciò a corsa.

Il corpo di Roger si rialzò, si accinse a balzare all’inseguimento del prete. — Più forte! — urlò Roger. — Oh, Cristo! Non riuscirai a fuggire… — Anche illeso, anche alla luce del giorno, anche senza l’impedimento della tuta, Kayman non avrebbe avuto possibilità di sfuggire ai meccanismi perfettamente funzionanti del corpo di Roger. In una situazione simile, fuggire era tempo sprecato. Roger senti i propri muscoli tendersi per un balzo, sentì le proprie mani avventarsi per afferrare e distruggere…

L’universo turbinò intorno a lui.

Qualcosa l’aveva colpito alle spalle. Crollò in avanti, bocconi: ma i suoi riflessi fulminei gli fecero compiere un mezzo giro su se stesso mentre cadeva, per artigliare la cosa che gli era balzata sulla schiena. Brad! E poté sentire che Brad lottava freneticamente con qualcosa, con una parte del…

E la sofferenza più grande lo colpì; e perse conoscenza, come se si fosse spento un interruttore.

Non c’erano suoni. Non c’era luce. Non c’erano i sensi del tatto, dell’odorato e del gusto. Roger impiegò molto tempo per rendersi conto di essere conscio.

Una volta, quando non si era ancora laureato e partecipava a un seminario di psicologia, si era offerto volontario per trascorrere un’ora in una vasca a privazione sensoriale. Gli era parsa un’eternità: nessuna sensazione giungeva fino a lui, nient’altro che i suoni sommessi del suo corpo funzionante: il tonfo sommesso del polso, un fruscio nei polmoni. E adesso non c’era neppure quello.

Per molto tempo. Roger non sapeva immaginare per quanto continuasse così.

Poi percepì un vago fremito nel suo spazio personale interiore. Era una sensazione strana, difficile da identificare: come se fegato e polmoni si scambiassero posto, delicatamente. Continuò così per un po’ di tempo, e Roger comprese che gli stavano facendo qualcosa: cosa, non era in grado di intuirlo.

E poi una voce: — … si doveva far atterrare subito il generatore sulla superficie. — Kayman?

E una risposta: — No. In quel modo poteva operare solo in linea di visuale, cinquanta chilometri al massimo. — Quella era sicuramente Sulie Carpenter!

— E allora dovevano esserci dei satelliti relay.

— Non credo. Sarebbe costato troppo. E avrebbe richiesto troppo tempo, comunque… anche se finirà proprio così, quando la Nuova Asia Popolare e i russi e i brasiliani porteranno tutti qui i loro teams.

— Beh, è stata una sciocchezza.

Sulie rise. — Comunque, adesso tutto andrà per il meglio. Titus e Dinty hanno staccato tutta la baracca da Deimos e la stanno mettendo in un’orbita sincrona. Resterà sempre sulla verticale, al massimo con una deviazione non eccessiva. E Titus e Dinty terranno il raggio bloccato su Roger… come?

Adesso, era la voce di Brad. — Ho detto, smettila di chiacchierare per un momento. Voglio accertare se adesso Roger può udirci. — Di nuovo quel fremito interno e poi: — Roger? Se mi senti, muovi le dita.

Roger tentò, e si accorse che se le sentiva di nuovo.

— Magnifico! Okay, Roger. Sei a posto. Ho dovuto farti un po’ a pezzi, ma adesso è tutto sistemato.

— Può sentirmi? — Era la voce di Sulie; Roger agitò le dita, entusiasticamente.

— Ah. Vedo che puoi sentirmi. Comunque sono qui, Rog. Sei rimasto privo di sensi per circa nove giorni. Avresti dovuto vederti. C’erano pezzi tuoi un po’ dappertutto. Ma Brad è convinto di averti rimesso insieme.

Roger tentò di parlare, senza riuscirvi.

La voce di Brad: — Ti restituirò la vista tra un minuto. Vuoi sapere cos’era successo? — Roger agitò le dita. — Non ti eri allacciato i pantaloni… più o meno. Avevi lasciato scoperti i terminali di ricarica, e un po’ di quella sabbia, che è quasi tutta ossido di ferro, deve essere entrata provocando un corto circuito parziale. Perciò sei rimasto con poca energia. … che succede?

Roger agitava le dita, freneticamente. — Non so cosa vuoi dire, ma fra poco potrai parlare di nuovo. Cosa?

La voce di Don Kayman: — Penso che forse vuol sentire parlare Sulie. — Roger smise subito di muovere le dita.

La risata di Sulie, e poi: — Mi sentirai anche troppo spesso, Roger. Io resto. E di tanto in tanto avremo compagnia, perché tutti hanno intenzione di creare una colonia quassù.

Don: — A proposito, ti ringrazio di avermi avvertito. Sei dotato di una forza spaventosa, Roger. Non avremmo avuto una sola possibilità di salvarci se tu non ci avessi detto quel che succedeva. E se Brad non fosse riuscito a bloccare tutto e subito. — Il prete ridacchiò. — Sei un gran figlio d’un cane, sai? Ti ho tenuto sulle ginocchia per tutto il tragitto di ritorno, a cento chilometri orari, cercando di stare aggrappato con una mano e di impedire che tu schizzassi via, per pura forza di volontà…

— Un momento, — l’interruppe Brad. Roger sentì di nuovo il fremito interiore, e all’improvviso ci fu la luce. Vide sopra di lui la faccia del suo amico Brad, che subito volle sapere: — Come ti senti?

Roger buttò le gambe giù dal bordo del tavolo e si raddrizzò a sedere. Provò a parlare: — Benissimo, mi pare.

Guardò oltre le spalle di Brad e vide ciò che aveva cercato. Era Sulie Carpenter. Non somigliava più tanto a… a Dorrie? Per un momento Roger stentò a ricordare il nome. Gli occhi erano di un colore diverso, e anche i capelli. Indossava una maglietta a maniche corte, macchiata di grasso, e un paio di calzoni scozzesi: aveva l’aria stanca, ma felice, ed era bellissima.

Roger domandò: — Davvero intendi restare?

— Uh-uh. — Sulie si avvicinò, lo toccò. — Fino all’arrivo della prossima astronave. O finché rimarrai qui tu. Puoi scegliere. Credo, — aggiunse ironicamente, — che ci attendano momenti complicati, caro Rog. Queste relazioni miste sono sempre difficili. Ma troveremo la soluzione… ed è quello che voglio. Penso sia questo, che ho sempre voluto fin dall’inizio.

Ed era stato effettivamente così, come avevamo sempre saputo. Fin dall’inizio. Ci eravamo dati parecchio da fare per trovare Sulie Carpenter.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

UOMO PIÙ NOI

Ci eravamo dati parecchio da fare per realizzare ogni punto del programma, ed eravamo molto soddisfatti.

Naturalmente, gli esseri umani non lo sapevano, e forse non l’avrebbero neppure creduto. Gli esseri umani non sapevano che l’intelligenza delle macchine era capace di autocoscienza, tanto per incominciare. Ci eravamo dati parecchio da fare anche per evitare che lo scoprissero. Finché credevano che i computer non erano altro che utensili, come un piccone o una padella, avrebbero continuato ad affidarci tutti i loro calcoli e le loro informazioni, e avrebbero accettato senza discutere le interpretazioni che fornivamo loro.

Era questo che aveva permesso a noi, la rete mondiale dei computer, di creare il programma Man Plus.

Il programma era riuscito. Roger Torraway era su Marte e vi sarebbe rimasto. Ormai era venuto il momento per una valutazione definitiva. Ci collegammo tutti. Usammo tutte le risorse di tutti i fratelli della rete, in ogni attimo di tempo che riuscivamo a rubare. Oltre ottomila grandi computer analizzarono parti del problema, a Detroit e a Brasilia e a Nagoya e a Irkutsk. Non potevamo servirci dei nostri fratelli marziani in collegamento diretto: né il fratello portatile sul dorso di Roger né il fratello 3070 in orbita. La differenza di tempo lo rendeva impossibile. Ma accettammo i loro input a tempo reale e modificammo di conseguenza la proiezione finale.

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