Il presidente disse, in tono blando: — Continui, Scanyon.
— Bene, i suoi risultati sono stati diversi. Secondo le sue interpretazioni, l’opinione pubblica nei confronti della colonizzazione di Marte era, ecco, apatica. Ricorda, signor presidente, che a suo tempo vi fu qualche dubbio sui risultati? Quelli grezzi non erano per nulla incoraggianti. Ma quando li facemmo analizzare apparvero positivi a… come si dice? A due sigma. Non ho mai capito perché.
— E avete controllato?
— Certo, signor presidente! Io no, — si affrettò ad aggiungere Scanyon. — Non era compito mio. Ma so che gli studi vennero confermati.
Byrne s’intromise: — Tre volte, con tre programmi diversi. C’erano variazioni di poco conto, naturalmente. Ma tutti i risultati furono significativi e attendibili. Però, quando ho ripetuto l’analisi con il mio calcolatore portatile, non lo erano più. Ed ecco come stanno le cose, signor presidente. Se lei elabora le cifre con un grande computer della rete, uno qualunque, ottiene un risultato. Se le elabora con un piccolo apparecchio isolato, ne ottiene un altro.
Il presidente tamburellò con le nocche delle dita sul piano della scrivania. — Quali sono le sue conclusioni?
Byrne alzò le spalle. Aveva ventitré anni, e si sentiva intimidito dall’ambiente. Guardò Scanyon per invocare aiuto e non l’ottenne. Disse: — Questo dovrà chiederlo a qualcun altro, signor presidente. Io posso soltanto riferirle la mia congettura. Qualcuno sta manomettendo la nostra rete di computer.
Il presidente si passò un dito sul naso, con aria meditabonda, e annuì lentamente. Guardò Byrne per un momento e poi disse, senza alzare la voce: — Carousso, venga qui. Mr. Byrne, ciò che lei vede e sente in questa stanza è top secret. Quando se ne andrà, Mr. Carousso l’informerà dettagliatamente di ciò che significa: in sostanza, non dovrà parlarne con nessuno. Mai.
La porta dell’anticamera presidenziale si aprì ed entrò un uomo alto e solido che cercava di darsi un aspetto scialbo. Byrne lo fissò stupito: Charles Carousso, il capo della CIA. — Cosa mi dice di tutto questo, Chuck? — chiese il presidente. — E di lui?
— Abbiamo controllato Mr. Byrne, naturalmente, — disse l’uomo della CIA. Le sue parole erano meticolose, senza inflessioni. — Non c’è nulla di negativo sul suo conto… suppongo che le farà piacere saperlo, Mr. Byrne. E quello che dice è esatto. E non si tratta solo dei sondaggi della pubblica opinione. Le proiezioni del rischio d’una guerra, gli studi sul rapporto costi-efficienza… analizzati con la rete danno un risultato, analizzati con macchine calcolatrici indipendenti ne danno un altro. Sono d’accordo con Mr. Byrne. La nostra rete di computer è stata manomessa.
Il presidente strinse le labbra, come se volesse trattenere ciò che stava per dire. Si limitò a mormorare: — Voglio che lei scopra com’è successo, Chuck. Ma il problema più importante, adesso, è: chi è stato? Gli asiatici?
— No, signore! Questo lo abbiamo controllato. È impossibile.
— Col cacchio, è impossibile! — ruggì il presidente. — Sappiamo che avevano già intercettato le nostre linee una volta, con la simulazione dei sistemi di Roger Torraway!
— Signor presidente, quello è un caso completamente diverso. Abbiamo trovato la derivazione, e l’abbiamo neutralizzata. Era in un cavo a terra, in un collegamento non sensibile. I circuiti di comunicazione dei nostri grandi computer sono assolutamente impenetrabili. — Carousso lanciò un’occhiata a Byrne. — Lei ha un rapporto sulle tecniche relative, signor presidente: sarò lieto di aiutarla ad esaminarlo quando vorrà.
— Oh, non si preoccupi per me, — disse Byrne, sorridendo per la prima volta. — Tutti sanno che i collegamenti sono a protezione multipla. Se ha fatto fare indagini sul mio conto, certamente avrà scoperto che molti di noi studenti laureati cercano di inserirsi: e nessuno c’è mai riuscito.
L’uomo della CIA annuì. — In effetti, signor presidente, noi li lasciamo fare; è un buon collaudo pratico per la nostra sicurezza. Se persone come Mr. Byrne non riescono a trovare un modo di superare i blocchi, non credo che possano farlo gli asiatici. I blocchi sono impenetrabili. Devono esserlo. Controllano circuiti che vanno dalla Macchina di Guerra a Butte, all’Ufficio Censimenti, all’UNESCO…
— Un momento! — gridò il presidente. — Vuol dire che i nostri calcolatori sono collegati tanto con l’UNESCO, che usano anche gli asiatici, e con la Macchina di Guerra.
— Non vi sono assolutamente possibilità di fughe.
— Una fuga c’è stata, Carousso!
— Ma non a favore degli asiatici, signor presidente.
— Ha appena finito di dirmi che c’è un cavo che esce dai nostri computer e arriva alla Macchina da Guerra, e un altro che va diritto diritto dagli asiatici, passando attraverso l’UNESCO.
— Comunque, signor presidente, le garantisco che non si tratta degli asiatici. Lo sapremmo, altrimenti. Tutti i computer principali sono in una certa misura collegati tra loro. E come dire che c’è una strada che va da un posto qualunque a qualunque altro posto. Certo, c’è. Ma ci sono anche i posti di blocco. È assolutamente impossibile che la Nuova Asia Popolare possa accedere alla Macchina da Guerra, o a quasi tutti quegli studi. E comunque, se fosse così, lo avremmo saputo dai nostri informatori. Gli asiatici non l’hanno fatto. E in ogni caso, signor presidente, — continuò Carousso, — lei sa trovare un motivo per cui la Nuova Asia Popolare altererebbe i risultati per indurci a colonizzare Marte?
Il presidente tamburellò con i pollici, guardandosi intorno. — Sono disposto a seguire la sua logica, Chuck. Ma se non sono stati gli asiatici a manomettere i nostri computer, allora chi è stato?
Il capo della CIA rimase chiuso in un cupo silenzio.
— E in nome di Cristo, — ringhiò Dash, — perché ?
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
UN GIORNO NELLA VITA DI UN MARZIANO
Roger non poteva vedere la dolce pioggia di energia a microonde che scendeva da Deimos, ma la percepiva come un piacevole tepore. Quando era vicino, spiegava le ali, assorbendo nuova forza. Quando era fuori dal raggio, ne portava con sé una parte, negli accumulatori. Non aveva motivo di accumularne altra, adesso. Nuova energia scendeva dal cielo ogni volta che Deimos si trovava sopra l’orizzonte. Vi erano solo poche ore al giorno in cui nel cielo non vi erano né il sole né la più lontana delle due lune, e la sua capacità accumulata era più che sufficiente per quei brevi periodi di astinenza.
Dentro le cupole, naturalmente, le antenne di sottilissime lastre metalliche rubavano l’energia prima che giungesse a Roger, e perciò egli limitava il tempo che vi trascorreva insieme a Brad e a Kayman. Non gli dispiaceva affatto. Preferiva così. Ogni giorno, del resto, l’abisso tra loro si allargava. Brad e Kayman sarebbero ritornati al loro pianeta: Roger sarebbe rimasto sul suo. Questo non lo aveva ancora annunciato, ma ormai era deciso. La Terra cominciava a sembrargli un posto simpatico, bizzarro ed estraneo, che un tempo aveva visitato ma che non gli era piaciuto molto. Le sofferenze ed i pericoli dell’umanità terrestre non lo riguardavano più. Neppure quando erano state le sue sofferenze e le sue paure.
Dentro la cupola Brad, che portava indosso un paio di slip e una bombola d’ossigeno, piantava allegramente pianticelle di carote tra i filari di avena siberiana. — Vuoi darmi una mano, Rog? — La voce era alta e acuta nell’atmosfera rarefatta: spesso traeva boccate di ossigeno dal boccaglio appeso vicino al suo mento; e allora, quando espirava, la sua voce era un poco più profonda, ma sempre strana.
— No. Don vuole che gli raccolga altri campioni. Starò fuori tutta la notte.
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