— Già, — fece il presidente; e dopo un attimo: — Può darsi. — Fissò al di sopra della testa di Scanyon per un momento e aggiunse: — E quell’altra storia?
— Quale storia, signor presidente?
Dash scrollò le spalle, irritato. — A quanto ne so, c’è qualcosa che non va in tutte le nostre proiezioni elaborate dai computer, specialmente nei sondaggi che abbiamo effettuato.
Un campanello d’allarme squillò nella testa di Scanyon. Disse, riluttante: — Signor presidente, sulla mia scrivania ci sono molte carte che non ho ancora finito di esaminare. Come sa, ho viaggiato molto…
— Scanyon, — disse il presidente, — ora vado. Voglio che per prima cosa lei dia un’occhiata alle carte sulla sua scrivania, trovi quella che m’interessa e la legga. Domattina alle otto, la voglio nel mio ufficio, e voglio che lei mi dica cosa sta succedendo: in particolare tre cose. Primo, voglio sentirmi dire che Kayman sta bene. Secondo, voglio che sia stata ritrovata quella cosa vivente. Terzo, voglio sapere la storia delle proiezioni dei computer, e che sia chiara. Arrivederci, Scanyon. Lo so che sono solo le cinque del mattino, ma non torni a letto.
Ormai avremmo potuto rassicurare Scanyon e il presidente, almeno riguardo ad una cosa. L’oggetto che aveva raccolto Kayman era effettivamente una forma di vita. Avevamo ricostruito i dati attraverso gli occhi di Roger, filtrato ed escluso le simulazioni, e avevamo visto ciò che aveva visto lui. Al presidente e ai suoi consiglieri non era ancora venuto in mente che fosse possibile riuscirci: ma gli sarebbe venuto in mente in futuro. Non si potevano distinguere i particolari minuti, dato il numero limitato di bits disponibili, ma l’oggetto aveva la forma di un carciofo, con foglie grossolane tese verso l’alto, e anche un po’ la forma di un fungo: sopra c’era una calotta trasparente di materiale cristallino. Aveva radici e, a meno che fosse un manufatto (zero virgola zero zero una probabilità, al massimo), doveva essere una forma di vita. Noi non la trovavamo molto interessante, a parte naturalmente il fatto che avrebbe rafforzato l’interesse generale per il progetto Marte. In quanto ai dubbi sulle simulazioni eseguite dai computer, il nostro interesse era assai maggiore. Avevamo seguito quello sviluppo già da diverso tempo, fin da quando uno studente laureato, un certo Byrne, aveva scritto un programma per i Sistemi 360, per ricontrollare il precedente ricontrollo effettuato dal suo calcolatore portatile su alcuni risultati dei sondaggi. A noi la cosa stava a cuore non meno che al presidente. Ma la probabilità di qualche conseguenza grave appariva troppo ridotta, soprattutto perché tutto il resto andava bene. Il generatore MHD era quasi pronto per le correzioni di rotta in vista dell’inserimento nella preorbita; avevamo scelto il luogo per installarlo, il cratere Voltaire, sulla luna Deimos. Non molto più indietro veniva il veicolo che trasportava il 3070 e i due membri umani dell’equipaggio, uno dei quali era Sulie Carpenter. E su Marte, avevano già cominciato a costruire installazioni permanenti. Erano un po’ indietro rispetto alla tabella di marcia. L’incidente capitato a Kayman li aveva costretti a rallentare, non solo per il danno causato a lui, ma anche per ciò che Brad aveva insistito per fare a Roger: smontare il computer a zaino e cercare se vi erano difetti o interferenze. Non ce n’erano. Ma Brad impiegò due giorni marziani per accertarsene; e poi, dato che Kayman ci teneva immensamente, persero diverso tempo a trovare la sua creatura vivente. La trovarono, o meglio trovarono dozzine di altri esemplari; e Brad e Roger lasciarono Kayman a bordo del modulo, intento a studiarle, mentre loro cominciavano a costruire le cupole.
Per prima cosa, fu necessario trovare un tratto di terreno che avesse caratteristiche geologiche accettabili. La superficie doveva essere il più possibile simile al suolo, ma sotto, a non grande profondità, doveva esserci uno strato di roccia solida. Impiegarono mezza giornata a piantare nel terreno spuntoni esplosivi e ad ascoltare gli echi, prima di essere sicuri di aver trovato il posto adatto.
Poi, laboriosamente, vennero sistemati i generatori solari, e l’acqua contenuta nelle rocce sotto la superficie uscì per ebollizione. Quando la prima, minuscola piuma di vapore apparve sull’imboccatura del tubo, gridarono di gioia. Sarebbe stato facile lasciarsela sfuggire. L’aria marziana, estremamente secca, si impadroniva di ogni molecola, via via che usciva dal condotto. Ma piegandosi accanto alla valvola, si poteva scorgere una vaga nebulosità irregolare che distorceva la visibilità. Era vapore acqueo.
La fase successiva consistette nello stendere tre grandi pellicole monomolecolari: prima la più piccola e in alto la più grande. Quest’ultima venne fissata al terreno tutto intorno all’orlo, in modo che non vi fossero perdite. Poi portarono fuori le pompe, a bordo della jeep dalle ruote a canestro e le misero in moto. L’atmosfera marziana era estremamente rarefatta, ma esisteva; le pompe avrebbero finito per riempire le cupole, in parte con l’anidride carbonica e l’azoto atmosferici compressi, in parte, con il vapore acqueo che veniva estratto per ebollizione dalle rocce. Naturalmente, non c’erano quantitativi apprezzabili d’ossigeno, ma non era necessario che lo trovassero. Lo avrebbero prodotto, esattamente nello stesso modo con cui ha prodotto il suo ossigeno la Terra: grazie all’intercessione della fotosintesi vegetale.
La cupola esterna avrebbe impiegato quattro o cinque giorni per riempirsi, alla pressione preventivata di un quarto di chilogrammo. Allora avrebbero cominciato a riempire la seconda, sin quasi a un chilogrammo: in questo modo, nello spazio sempre più ridotto dell’intercapedine esterna, la pressione sarebbe salita a circa mezzo chilo. Infine, avrebbero riempito la cupola interna alla pressione di due chilogrammi, e avrebbero ottenuto in tal modo un ambiente in cui gli esseri umani potevano vivere senza tute pressurizzate, e persino respirare, non appena le colture vegetali avessero fornito loro qualcosa di respirabile.
Naturalmente, Roger non ne aveva bisogno. Non aveva bisogno di ossigeno; e neppure delle piante per nutrirsi, o almeno non ne avrebbe avuto molto bisogno né per lungo tempo. Poteva continuare, forse in eterno, a vivere dell’immancabile energia solare che provvedeva a fornirgli quasi tutta la sua energia, più quella che gli sarebbe stata trasmessa a mezzo di microonde dal generatore MHD, quando questo fosse stato sistemato al suo posto. Quel po’ che era necessario per la minuscola parte residua di lui ancora animalesca poteva venire facilmente fornito per molto tempo dagli alimenti concentrati portati dall’astronave; e soltanto allora, all’incirca dopo un paio d’anni marziani, Roger avrebbe incominciato a dipendere dai prodotti delle vasche idroponiche e dai semi che già stavano germogliando nelle serre fredde sigillate sotto le cupole.
Tutto questo lavoro richiese parecchi giorni, poiché Kayman non poteva essere di grande aiuto. Infilare e sfilare la tuta a pressione per lui era una tortura, perciò lo lasciavano quasi sempre a bordo del modulo. Quando venne il momento di portare alla cupola i serbatoi del liquame scrupolosamente prelevato dalla loro toeletta, Kayman diede una mano agli altri due. — Esattamente una mano, — osservò, mentre cercava di maneggiare il rastrello dal manico di magnesio, agganciandolo con il braccio illeso.
— Te la cavi benissimo, — lo incoraggiò Brad. Ormai nella cupola interna la pressione bastava a sollevare l’involucro fin sopra le loro teste, ma non permetteva di togliersi le tute. Ma forse era un bene, pensò Brad: in quel modo non avrebbero sentito il puzzo del liquame che stendevano con i rastrelli nel suolo sterile.
Quando la cupola raggiunse l’estensione massima, la pressione era salita a cento millibar. Equivale alla pressione dell’atmosfera terrestre a circa sedici chilometri sul livello del mare. Non è un ambiente in cui un uomo indifeso possa sopravvivere e lavorare molto a lungo: tuttavia, in un ambiente del genere, egli morirà soltanto se qualcosa lo uccide. Metà di tale pressione gli sarebbe letale immediatamente: la temperatura corporea sarebbe sufficiente a far evaporare i liquidi del suo organismo.
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