— Le mie congratulazioni a entrambi, — disse Kayman, che era sceso dal veicolo e aveva osservato la scena. — Roger?
La testa si girò verso di lui, e sebbene nulla fosse cambiato nell’aspetto degli occhi, Kayman comprese che il cyborg lo stava guardando. — Volevo dire soltanto, — continuò, senza sapere bene come avrebbe finito la frase, — che mi… beh, mi dispiace dello scherzo che ti abbiamo fatto usando l’immagine di Dorrie per trasmetterti messaggi. Ho l’impressione che ti stiamo facendo troppe sorprese.
— Non importa, Don. — Il guaio della voce di Roger, pensò ancora una volta Kayman, era che non si poteva capire molto, dal tono.
— E dopo averti detto questo, — fece. — penso di doverti annunciare che abbiamo un’altra sorpresa per te. Molto bella, credo. Sulie Carpenter ci raggiungerà qui. La sua astronave dovrebbe arrivare tra cinque settimane.
Silenzio; nessuna espressione. — Oh, — disse finalmente Roger. — È molto bello. Sulie è una cara ragazza.
— Sì. — Ma la conversazione non sembrava avere altri sbocchi possibili, ormai, e Brad era impaziente di far eseguire a Roger una serie di piegamenti e di distensioni. Kayman si concesse i privilegi di un turista. Si voltò a guardare le montagne distanti, socchiuse gli occhi verso il sole fulgido, che neppure l’auto-oscuramento del visore rendeva perfettamente sopportabile, e poi girò intorno lo sguardo. Goffamente, riuscì a inginocchiarsi e a raccogliere una manciata di terra sassosa nella mano guantata. Il giorno dopo, sarebbe toccato a lui incominciare la raccolta sistematica di campioni da riportare sulla Terra: era uno dei compiti secondari della missione. Anche dopo mezza dozzina di sbarchi umani e una quarantina di missioni compiute da veicoli automatici, c’era ancora un’insaziabile richiesta di campioni marziani da parte dei laboratori terrestri. Ma in quel momento, Kayman si permise di fantasticare. C’era limonite in abbondanza, in quella sabbia, e i ciottoli di quarzo non erano rotondi; gli spigoli non erano aguzzi, ma non erano stati neppure allisciati dall’attrito. Grattò il suolo. Sopra c’era una polvere giallastra: sotto, il materiale era più scuro e grossolano. C’erano puntolini lucenti, quasi come il vetro. Quarzo? si chiese, e rastrellò ancora, pigramente, con le dita.
Restò immobile, cingendo con le mani un grumo arrotondato, irregolare di cristallo.
Aveva uno stelo. Uno stelo che spuntava dal suolo. E lo stelo si allargava e si divideva in minuti tentacoli scuri e ruvidi.
Radici.
Don Kayman balzò in piedi, girandosi di scatto verso Roger e Brad. — Guardate! — gridò, staccando l’oggetto con la mano guantata. — Buon Dio del cielo, guardate qui!
E Roger, che era semipiegato, si girò e balzò verso di lui. Una mano fece schizzar via lo scintillante oggetto di cristallo che volò roteando nell’aria per una cinquantina di metri, e piegò il metallo del guanto. Kayman sentì un acuto, fulmineo dolore all’avambraccio e vide l’altra mano avventarsi verso il vetro del casco come la zampa di un orso Kodiak infuriato; e fu l’ultima cosa che vide.
CAPITOLO SEDICESIMO
DELLA PERCEZIONE DEI PERICOLI
Vern Scanyon parcheggiò la macchina di traverso, sulle righe gialle che delimitavano lo spazio assegnatogli, balzò a terra e premette con il pollice il bottone dell’ascensore. Era sveglio da meno di venti minuti, ma non era affatto insonnolito. Era furibondo e preoccupato. La segretaria agli appuntamenti presidenziali l’aveva svegliato con una telefonata, per annunciargli che il presidente aveva fatto deviare il suo aereo dalla rotta per fermarsi a Tonka: «Per discutere i problemi del sistema percettivo del comandante Torraway». Per. fare sfuriate, più esattamente. Scanyon non aveva saputo nulla dell’improvviso assalto di Roger contro Don Kayman se non quando era salito in macchina per precipitarsi al palazzo del progetto ad attendere il presidente.
— Buongiorno, Vern. — Jonny Freeling, anche lui, era spaventato e furioso. Scanyon gli passò davanti e si infilò nel suo ufficio.
— Avanti, avanti. — latrò. — E adesso, in parole semplici e chiare, cos’è successo?
Freeling ribatté risentito: — Non spetta a me…
— Freeling.
— I sistemi di Roger hanno un po’ esagerato le reazioni. A quanto pare, Kayman si è mosso all’improvviso, e i sistemi di simulazione hanno interpretato il gesto come una minaccia: Roger si è difeso e ha spinto via Kayman.
Scanyon spalancò gli occhi.
— Gli ha fratturato il braccio, — si corresse Freeling. — È stata una frattura semplice, generale. Nessuna complicazione. Guarirà perfettamente… Kayman dovrà arrangiarsi per un po’ con un braccio solo. È un peccato per Don, naturalmente. Non sarà molto comodo…
— Al diavolo Kayman! Perché non sapeva come doveva comportarsi, quand’era vicino a Roger?
— Ecco, lo sapeva. Ma aveva trovato qualcosa che pensava fosse una forma di vita indigena! Entusiasmante. E voleva semplicemente mostrarlo a Roger.
— Una forma di vita? — Gli occhi di Scanyon ebbero un baluginio di speranza.
— Una specie di pianta, pensano loro.
— Non ne sono sicuri?
— Beh, sembra che Roger l’abbia fatta schizzare via dalla mano di Kayman. Dopo Brad è andato a cercarla, ma non l’ha trovata.
— Gesù, — sbuffò Scanyon. — Freeling, mi dica una cosa. Che razza di incompetenti lavorano per noi? — Non era una domanda che potesse trovare un’adeguata risposta, e Scanyon non l’attese. — Tra venti minuti circa, — continuò, — il presidente degli Stati Uniti entrerà da quella porta, e vorrà sapere, parola per parola, che cos’è successo e perché. Non so cosa domanderà, ma in ogni caso c’è una sola risposta che non voglio dargli, ed è «Non lo so». Perciò mi dica, Freeling. Mi racconti daccapo cos’è successo, perché è andata male, perché non avevamo previsto che potesse andar male e come possiamo fare per essere maledettamente sicuri che la cosa non si ripeta. — Ci volle un po’ più di venti minuti, ma ebbero a disposizione il tempo sufficiente. L’aereo presidenziale atterrò in ritardo, e quando Dash arrivò Scanyon era pronto. Pronto persino all’espressione furiosa del presidente.
— Scanyon, — tuonò subito Dash, — l’avevo avvertita, basta con le sorprese. Questa volta è troppo, e credo che me la pagherà cara.
— Non si può mettere un uomo su Marte senza rischi, signor presidente!
Dash lo fissò negli occhi per un momento, poi disse: — Può darsi. Come sta il prete?
— Ha un radio fratturato, ma guarirà. C’è qualcosa di molto più importante. Ritiene di aver trovato vita su Marte, signor presidente!
Dash scosse il capo. — Lo so, una specie di pianta. Ma è riuscito a perderla.
— Per il momento. Kayman sa il fatto suo. Se dice di aver trovato qualcosa d’importante, l’ha trovato veramente. E lo ritroverà.
— Lo spero anch’io, Vern. Ma non cerchi di svicolare. Perché è successo?
— Un eccesso di controllo dei sistemi percettivi. È tutto qui, signor presidente. Non c’è altro. Per mettere Torraway in grado di reagire rapidamente e positivamente, abbiamo dovuto inserire alcuni elementi di simulazione. Perché presti attenzione ai messaggi urgenti, gli mostrano sua moglie che gli parla. Perché reagisca al pericolo, vede qualcosa di spaventoso. In questo modo la sua mente può reggere ai riflessi che abbiamo inserito nel corpo. Altrimenti impazzirebbe.
— E fratturare il braccio del prete non è stato un gesto pazzesco?
— No! È stato un incidente. Quando Kayman è scattato verso di lui, l’ha interpretato come una vera aggressione. E ha reagito. Bene, signor presidente, in questo caso è stato un errore, e ci è costato un braccio rotto. Ma se si fosse trattato di una minaccia vera? Una minaccia di qualunque genere? L’avrebbe sventata. Qualunque cosa fosse. Torraway è invulnerabile, signor presidente. Niente potrà mai coglierlo alla sprovvista.
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