Si voltò verso la parete a specchio. La sua gonna si gonfiò, e la sua immagine riflessa evocò quella di Eleanor Povvell a fianco di Fred Astaire sul pavimento nero, lucido, con la mano che…
Ricacciai indietro il ricordo, fissai l’altra parete, sulla quale stava scorrendo il trailer del nuovo Star Trek. Il flash batté in ritirata, e io mi girai verso Alis.
Stava guardando l’insegna delle stazioni. Pasadena lampeggiava. Una fila di frecce verdi guidava alle uscite, e i turi le stavano seguendo. Si dirigevano all’uscita di sinistra, verso Disneyland.
— Dove andiamo? — chiese Alis.
— A fare turismo. Le case delle star. Che dovrebbero abitare al cimitero di Forest Lawn, solo che non stanno più lì. Sono tornate sullo schermo e lavorano gratis.
Agitai la mano in direzione di una parete, dove stava scorrendo il trailer del remake di Pretty Woman , ovviamente interpretato da Marilyn Monroe.
Marilyn apparve vestita di rosso, e la Marilyn smise di allenarsi col broncio e si avvicinò a guardare. Marilyn tirò una lumaca a un cameriere, andò a fare shopping in Rodeo Drive per comperarsi un vestito bianco col top, sfumò su un tremulo bacio a Clark Gable.
— Tra poco su tutti gli schermi nella parte di Lena Lamont in Cantando sotto la pioggia — dissi. — Spiegami perché odii Gene Kelly.
— Non lo odio. Non esattamente. — Alis rifletté. — Un americano a Parigi è orribile, e anche certi numeri di Cantando sotto la pioggia , ma quando balla con Donald O’Connor e Frank Sinatra è in gamba. È solo che lo fa sembrare così “faticoso”.
— E non lo è?
— No, “lo è”. È questo il punto. — Lei aggrottò la fronte. — Quando salta o esegue passi complicati, agita le braccia e sbuffa e ansima. È come se volesse farti capire quanto sia faticoso. Fred Astaire non lo fa. I suoi numeri sono molto più difficili di quelli di Gene Kelly, i passi sono “tremendi,” ma sullo schermo non si vede niente di tutto questo. Quando balla lui, non sembra nemmeno che si stia sforzando, che stia lavorando. Sembra tutto così semplice, inventato all’istante…
L’immagine di Fred ed Eleanor si fece di nuovo avanti. Vestiti di bianco, facevano il tip tap rilassati, senza il minimo sforzo, sul pavimento costellato di scie luminose…
— E lo fa sembrare così facile che anche tu hai pensato di venire a Hollywood e poterlo fare — dissi.
— Lo so che non sarà facile. — Il suo tono era tranquillo. — Lo so che non si girano più molti livefilm…
— Non se ne gira più “nessuno”. Non esiste più “un solo” livefilm. A meno di andare a Bogotà. O a Pechino. È tutta computer grafica. Non c’è bisogno di attori.
O di ballerine, pensai, ma non lo dissi. Speravo ancora di potermela scopare, se fossi riuscito a restarle attaccato fino al flash successivo. Mi stava venendo un’emicrania da esplodere, e come effetto collaterale non era prevista.
— Ma se è solo computer grafica — stava dicendo Alis, pacata — possono fare tutto quel che vogliono. Compresi i musical.
— E cosa ti fa pensare che vogliano farlo? Non c’è più stato un solo musical dal 1996.
— Stanno mettendo sotto copyright Fred Astaire. — Alis gesticolò in direzione dello schermo. — Lo vorranno per qualcosa, no?
Ma certo, per qualcosa, pensai. Il sequel di L’inferno di cristallo. O per dei pornohorror.
— Te l’ho detto, lo sapevo che non sarebbe stato facile. — Alis si mise sulla difensiva. — Lo sai cosa hanno detto di Fred Astaire quando è arrivato a Hollywood? Tutti hanno detto che era finito, che l’unica ad avere talento era sua sorella, che lui poteva andare bene per il vaudeville ma nel cinema non ce l’avrebbe mai fatta. Dopo il suo primo provino qualcuno scrisse “Trent’anni, sulla via della calvizie, sa ballicchiare”. Pensavano che anche lui non ce l’avrebbe fatta, e guarda com’è andata.
Non le dissi che per Fred esistevano film nei quali ballare, ma probabilmente lei me lo lesse in faccia, perché continuò: — Era pronto a lavorare sodo, e sono pronta anch’io. Lo sapevi che provava i suoi numeri per settimane, ancora prima che cominciassero le riprese? Con le prove per Girandola ha fatto fuori sei paia di scarpe da tip tap. Io sono pronta a provare con lo stesso impegno. So di non essere abbastanza brava. E devo prendere lezioni di balletto classico. Ho studiato solo jazz e tip tap. E non conosco ancora molte routine. E devo trovare qualcuno che mi insegni tango, valzer, e tutto il resto.
“Dove?” pensai. A Hollywood non c’era un maestro di ballo da vent’anni. O un coreografo. O un musical. La CG poteva avere ucciso i livefilm, ma non aveva ucciso il musical. Quello era morto da sé negli anni Sessanta.
— Dovrò anche trovare un lavoro per pagarmi le lezioni di danza — stava dicendo lei. — La ragazza che parlava con te al party, quella che sembrava Marilyn Monroe, ha detto che magari potrei trovare un lavoro come faccia. Cosa fanno le facce?
Vanno ai party, cercano di farsi notare da qualcuno disposto a metterle in un taglia-e-incolla in cambio di una scopata, spacciano chocha , pensai. Mi sarebbe piaciuto averne un po’.
— Sorridono e parlano e prendono un’aria triste intanto che un techno o l’altro registrano una scansione.
— Una specie di provino cinematografico? — chiese Alis.
— Una specie di provino cinematografico. Poi il techno digitalizza la scansione della tua faccia e la incolla in un remake di È nata una stella e tu diventi la nuova Judy Garland. Però c’è un piccolo particolare. Perché farlo se lo studio ha già Judy Garland? E Barbra Streisand. E Janet Gaynor. E sono tutte sotto copyright, sono già star, quindi perché gli studios dovrebbero correre rischi con una faccia nuova? E perché correre rischi con un film nuovo quando si può fare un sequel o una copia o un remake di qualcosa che è già di loro proprietà? E già che ci siamo, perché non fare remake dei remake? Hollywood, il top del riciclaggio!
Sventolai la mano in direzione dello schermo sul quale l’ILMGM reclamizzava le sue future uscite. — Il fantasma dell’opera — disse la voce fuori campo. — Con Anthony Hopkins e Meg Ryan.
— Ma guarda — dissi. — L’ultimo parto di Hollywood. Il remake di un remake di un film muto!
Il trailer finì, e la sequenza ricominciò da capo. Il leone digitalizzato emise il suo ruggito digitalizzato, e sopra la sua criniera una scritta laser digitalizzata annunciò a lettere dorate: TUTTO È POSSIBILE!
— Tutto è possibile — dissi — se hai i digitalizzatori e i Cray e la memoria e i cavi a fibre ottiche per trasmettere a uno schermo quello che hai fatto. E i copyright.
Le parole dorate svanirono nella nebbia, e Scarlett avanzò verso noi, reggendo delicatamente la sua gonna a crinolina.
— Tutto è possibile, ma solo agli studios. Sono proprietari di tutto, controllano tutto, hanno…
Mi interruppi. Pensai: impossibile che si lasci scopare dopo questa tirata. Perché non le hai semplicemente detto, chiaro e tondo, che il suo piccolo sogno è impossibile?
Ma lei non mi ascoltava. Guardava lo schermo, sul quale le bestie da copyright stavano sfilando per l’ispezione. Aspettava che apparisse Fred Astaire.
— La prima volta che l’ho visto, ho capito cosa volevo — disse, gli occhi puntati sulla parete. — Solo che “volere” non è il verbo giusto. Insomma, non è come volere un vestito nuovo…
— O un po’ di chocha — dissi io.
— Non è nemmeno quel tipo di voglia. È… In Cappello a cilindro c’è una scena in cui Fred Astaire sta ballando nella sua camera d’hotel e Ginger Rogers ha la camera sotto la sua, e così sale sopra per lamentarsi del rumore, e lui le dice che a volte si mette a ballare senza nemmeno rendersene conto, e “lei” dice…
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