— Dev’essere una specie di malattia — dissi io.
Mi aspettavo che Alis sorridesse, come aveva fatto con le mie altre citazioni di battute da film, ma non sorrise.
— Una malattia. — Era molto seria. — Solo che non è nemmeno quello, esattamente. È… Quando lui balla, non si limita a farlo sembrare così semplice. È come se tutti i passi e la musica e le prove siano servite soltanto da allenamento, e invece quello che fa in quel momento sia la realtà. È come se lui sia andato oltre il ritmo e il tempo dei passi e le movenze e abbia raggiunto quell’altro posto… Se solo potessi arrivarci anch’io, fare quello che fa lui…
Smise di parlare. Fred Astaire avanzava verso noi dalla nebbia in frac e cappello a cilindro, e con la punta del bastone spingeva sulla fronte il cappello. Guardai Alis.
Stava fissando Fred Astaire con quell’aria persa, trepidante, che aveva nella mia stanza mentre guardava Fred ed Eleanor, fianco a fianco, vestiti di bianco, volteggianti eppure immobili, muti, al di là del movimento, al di là del…
— Andiamo. — Le afferrai la mano. — È la nostra fermata. — E seguii le frecce verdi che ci guidavano all’uscita.
SCENA: Première hollywoodiana al Cinematografo Cinese Grauman. Fasci di luce dei riflettori che s’intersecano nel cielo notturno, palme, fan che urlano, limousine, smoking, pellicce, flash di macchine fotografiche.
Sbucammo in Hollywood Boulevard, all’angolo tra Caos e Sovraccarico Sensoriale, il peggiore posto possibile per un flash.
Una scena alla DeMille, come sempre. Facce e turi e battitrici libere e svitati e migliaia di comparse che si aggiravano tra le videosale e le spelonche della RV. E tra gli schermi: roto e megaschermi e videolosanghe e ologrammi, tutti con trailer montati alla Psycho da Vincent.
Davanti al Cinema Cinese Trump c’erano due grandi rotoschermi che facevano pubblicità all’ultimo remake di Ben Hur. Su uno dei due, Sylvester Stallone in gonnellino bronzeo e sudore digitalizzato, proteso in avanti sulla biga, frustava i cavalli.
Non si riusciva a vedere l’altro roto. Di fronte c’era un’insegna al neon che diceva LIETO FINE e un oloschermo con Scarlett O’Hara avvolta nella nebbia che diceva: — Ma Rhett, io ti amo.
— Francamente, mia cara, ti amo anch’io — rispondeva Clark Gable, e la stritolava tra le braccia. — Ti ho sempre amata!
— Nel cemento ci sono le stelle — dissi ad Alis, e puntai l’indice. C’era troppa folla per vedere il marciapiede, e tanto meno le stelle. La trascinai sulla strada, che era altrettanto affollata, ma se non altro lì la gente si muoveva. La guidai verso le videosale.
Gli imbonitori delle spelonche RV ci misero in mano gettoni, due dollari di fuga dalla realtà, e un River Phoenix spacciava. — Erba? Neve? Ero?
Comperai un po’ di chocha e la mandai subito giù, sperando che ritardasse un flash finché non fossimo tornati alla casa dello studente.
La folla si diradò un poco. Riportai Alis sul marciapiede. Superammo una spelonca RV che prometteva: — Cento per cento di collegamento corporeo! Cento per cento di realismo!
Cento per cento di realismo, come no. Stando a Hedda, che sa tutto, il simsesso richiede più memoria di quanta se ne possano permettere la maggioranza delle spelonche RV. Metà delle spelonche infilano un casco dati in testa al cliente, aggiungono un po’ di rumore per dare l’impressione dell’immagine in realtà virtuale, e mettono al lavoro una battitrice libera.
Trainai Alis oltre la spelonca, diritta verso un gregge di turi che stavano di fronte a una cabina con l’insegna È NATA UNA STELLA e guardavano a occhi aperti il promo. — Fai avverare i tuoi sogni! Diventa una stella del cinema! 89,95 dollari, disco incluso. Autorizzato dagli studiosi Digitalizzazione di qualità professionale!
— Non so. Secondo te cosa dovrei scegliere? — stava chiedendo una turi grassa, mentre scorreva il menu.
Un techno dall’aria annoiata, in camice bianco e pompadour alla James Dean, diede un’occhiata al film che la donna indicava, le passò un fagotto di plastica, e le fece cenno di entrare in un cubicolo con una tendina.
La donna si fermò a mezza strada. — Potrò vederlo sul mio impianto, giusto? Sul cavo a fibre ottiche?
— Sicuro — rispose James Dean, e aprì la tendina.
— Hai dei musical? — chiesi. Chissà se James avrebbe mentito anche a me come aveva fatto con la turi. Che non sarebbe finita su un disco. Sui supporti per i cavi a fibre ottiche possono finire solo le modifiche autorizzate dagli studios. I copia-e-incolla e i lavori da terra bruciata. La donna avrebbe ricevuto una cassetta della scena e l’ordine di non farne copie.
James assunse un’espressione vacua. — Musical?
— Dove ballano e cantano, hai presente? — dissi, ma la turi era di ritorno. Indossava una specie di tunica bianca troppo corta e una parrucca castana, con trecce che le giravano attorno alle orecchie.
— Mettiti qui — disse James Dean, indicando una cassa di plastica. Allacciò una cintura dati all’abbondante pancia della donna, si spostò a un vecchio miscelatore per digitrasparenti e lo accese.
— Guarda lo schermo — ordinò, e tutti i turi si spostarono per poterlo vedere. Una raffica di raggi laser, e Luke Skywalker apparve su una soglia sospesa sul nulla. Teneva il braccio attorno a uno spazio azzurro e vuoto.
Lasciai Alis a guardare e sgomitai fino al menu. Ombre rosse , Il Padrino , Gioventù bruciata.
— Okay, pronta — disse James Dean, battendo su una tastiera. La donna apparve sullo schermo a fianco di Luke. — Bacialo sulla guancia e scendi dalla cassa. Non devi saltare. Farà tutto la cintura dati.
— Ma non si vedrà nel film?
— La macchina la taglierà.
Non avevano un solo musical. Nemmeno Ruby Keeler. Tornai da Alis nella calca.
— Okay. Azione — disse James Dean. La grassa turi sbaciucchiò l’aria, ridacchiò, e saltò giù dalla cassa. Sullo schermo, baciò la guancia di Luke, e poi i due si lanciarono sopra un abisso ad alta tecnologia.
— Vieni — dissi ad Alis. La riportai in strada e la guidai alla Città dei Provini.
C’era un multischermo pieno di facce di star, e un vecchio con gli occhietti a punta, come una penna a sfera. — Diventa una stella! Metti la tua faccia sullo schermo! Chi vuoi essere, ragazza? — chiese, sbirciando lascivo Alis. — Marilyn Monroe?
Ginger Rogers e Fred Astaire stavano fianco a fianco sulla fila in basso dello schermo. — Quello — dissi io. Uno zoom, e i due riempirono tutto lo schermo.
— Siete fortunati a essere venuti stasera — disse il vecchio. — Sta per cominciare una zuffa legale su Fred. Cosa volete? Foto di scena o sequenza?
— Sequenza — risposi. — Solo lei. Non tutti e due.
— Mettiti di fronte allo scanner — disse il vecchio, puntando l’indice — e lasciami fare una scansione del tuo sorriso.
— No, grazie. — Alis mi guardò.
— E dai. Avevi detto che vuoi ballare nei film. Questa è la tua occasione.
— Tu non devi fare niente — disse il vecchio. — A me serve solo un’immagine da digitalizzare. Il resto lo fa lo scanner. Non devi nemmeno sorridere.
Prese Alis per il braccio, e io mi aspettai che lei si liberasse con uno strattone, ma non reagì.
— Voglio ballare nei film — disse, guardandomi — non fare digitalizzare la mia faccia sul corpo di Ginger Rogers. Voglio ballare.
— Ballerai — disse il vecchio. — Lì sullo schermo, e ti vedranno tutti. — Agitò la mano in direzione delle migliaia di comparse. Non ce n’era una sola che guardasse il suo schermo. — E su disco ottico.
— Tu non capisci — mi disse Alis. I suoi occhi erano gonfi di lacrime. — La rivoluzione CG…
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