Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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Mentre guidava in senso inverso sul ponte s’era trovato a pensare: In altre circostanze sicuramente ci innamoreremmo a vicenda. E scommetto che dopo pochi anni ci sposeremmo. È stupenda… e quello che farò è di non fare assolutamente niente. A quel pensiero s’era sentito triste, e romantico in modo meraviglioso.

Sapeva che se avesse insistito in quella direzione probabilmente Olivia sarebbe venuta a casa sua, e avrebbero fatto l’amore.

Ma anche detestando a morte il pensiero d’essere ancora vergine non se la sentiva di insistere con lei. Non l’avrebbe neppure velatamente suggerito. La cosa era troppo perfetta.

Rimasero seduti nella Corvette, posteggiata dietro il vecchio edificio dove lei alloggiava, e discussero di Kennedy, ridendo delle loro pause durante la crisi dei missili cubani; poi lui le strinse una mano e si guardarono in silenzio.

— Sai — le disse, — ci sono momenti che… — Tacque.

— Ti ringrazio — annuì lei. — Sapevo che sarebbe stato simpatico uscire con te. Molti altri, al tuo posto…

— Già. Be’, io sono fatto così. — Sogghignò. — Innocuo.

— Oh, no! Non innocuo in quel senso. Per niente.

Quello era il giro di boa. Adesso la cosa poteva dirottare in un senso o nell’altro. Lui lasciò cadere gli occhi su quel corpo flessuoso dall’incarnato un po’ scuro e seppe che era qualcosa di perfetto. Seppe che lei avrebbe accettato di venire a casa sua.

— Sei un romantico, non è vero? — chiese Olivia.

— Suppongo di sì.

— Anch’io. I romantici sono le persone più sciocche del mondo.

Lui sentì una vampata di rossore al volto e al collo. — Io amo le donne — mormorò. — Amo il loro modo di muoversi, di parlare. Le trovo incantevoli. — Si stava aprendo adesso, e più tardi se ne sarebbe pentito, ma ciò che provava era troppo autentico e insopprimibile, specialmente dopo una serata come quella. — Credo che molti uomini riescano a vedere una donna in qualche modo sacra. Non su un piedistallo o cose di questo genere. Ma solo troppo bella per esprimersi a parole. Essere amati da una donna e… be’, pensano che sia incredibile.

Olivia girò lo sguardo sul parabrezza e un lieve sorriso le aleggiò sul volto. Poi abbassò gli occhi sulla sua borsetta e si lisciò la lunga gonna azzurra con le mani. — Succede — disse.

— Già, certo — annuì lui. Ma non fra noi.

— Grazie — disse ancora Olivia. Lui le strinse una mano e le sfiorò una guancia con una carezza. Lei mosse il viso contro le sue dita come una gattinà e aprì la portiera dell’auto. — Ci vediamo in classe.

Non si erano neppure baciati.

— Cosa mi è accaduto da quei giorni? Tre mogli (la terza solo perché assomigliava a Olivia) e questo estraniarmi, questo ritirarmi in me stesso. Ho perduto molte, troppe illusioni.

Ci sono opzioni.

— Non capisco.

Cosa desideri rivivere?

— Se questo significa tornare al passato non vedo come sia possibile.

Tutto è possibile qui, nell’Universo Pensato. Simulazioni. Ricostruzioni dalla tua memoria.

— Potrei vivere un’altra vita?

Quando ci sarà tempo.

— Con la vera Olivia? Lei… dov’era, dov’è lei?

Questo non è noto.

— Allora lasciamo perdere. I sogni non m’interessano.

Ci sono altri ricordi in te.

— Sì…

Ma dove s’erano formati? Da dove venivano?

Il 17 novembre dell’anno 1943 Randall Bernard, ventiquattrenne, s’era unito in matrimonio con Tiffany Marnier in una chiesetta di Kansas City. Lei indossava un abito di seta bianca, guarnito di ricami in argento e merletti, fatto dalle mani di sua madre, niente strasciso, e i fiori erano rose rosse come il sangue. Avevano…

Avevano bevuto a un calice di vino, spezzato il pane, e s’erano scambiati la promessa. E il ministro (un teosofista che al termine degli Anni Quaranta si sarebbe convertito alla filosofia Vedanta) li aveva dichiarati uguali agli occhi della Divinità, e ora uniti nell’amore e nel rispetto reciproco.

Il ricordo era ingiallito come una vecchia fotografia e scarso di particolari. Ma era lì, una cosa anteriore alla sua nascita, una cosa che lui poteva vedere. E poté vedere la loro notte nuziale, meravigliato di quel rapido sguardo sull’atto da cui lui era stato creato, e di quanto poco fossero cambiate le cose fra un uomo e una donna, stupito della passione e del piacere di sua madre e dei modi esperti e precisi, scientifici, di suo padre che perfino a letto continuava a essere un medico…

E poi suo padre era andato in guerra, arruolato come ufficiale medico in Europa, e al seguito della Terza Armata di Patton aveva marciato nelle Ardenne e attraversato il Reno presso Coblenza — 65 miglia in tre giorni — e ora suo figlio rivedeva cose e fatti che non poteva materialmente avere visto mai. E vedeva perfino cose che neppure suo padre poteva avere visto.

Un soldato in mutande che barcollava nella penombra d’un corridoio in un bordello di Parigi; non suo padre, né qualcuno che lui conosceva…

Scura come un’ombra, ma precisa nei contorni, una donna che cullava un bambino stagliata nella luce arancione di una finestra dai vetri giallastri…

Un uomo che pescava con i cormorani in riva a un fiume, nel grigiore dell’alba…

Un bambino alla finestra di un granaio, intento a guardare il cortile sottostante dove alcuni uomini stavano macellando un grosso manzo nero dai bianchi occhi spalancati…

Uomini e donne che si toglievano lunghi abiti candidi, gettandosi poi a nuoto in un fiume fangoso orlato da spunzoni di roccia rossa…

Un uomo in piedi su un’altura, con un corno da segnalazione in mano, che spiava un branco di antilopi al pascolo su una pianura erbosa…

Una donna che sgravava in un oscuro luogo sotterraneo, illuminato da torce, sorvegliata da un circolo di facce sporche e ansiose…

Due vecchi che litigavano per il possesso di alcuni idoli scolpiti nell’argilla, in mezzo a un circolo disegnato sulla sabbia…

— Io non ricordo queste cose. Loro non sono me, io non ricordo queste cose. Loro non sono me, io non ho fatto quelle esperienze…

Si strappò via da quel flusso d’informazioni. Alzò entrambe le mani al baluginante cerchio di luci che roteavano su di lui, così calde e attraenti. Da dove venivano? Ne sfiorò alcune, e nel gruppo d’un centinaio di cellule che componevano il suo corpo sentì la risposta.

Non tutti i ricordi provengono dalla vita di un individuo.

— Da dove, allora?

I ricordi sono immagazzinati nei neuroni interattivi, trattenuti in forma di cariche potenziali, poi scaricati in forma chimica nella cellula, poi ridotti a livello molecolare. Infine depositati negli introni di ogni singola cellula.

Le immagini che balenavano in lui erano quasi dolorose nella loro completezza e intensità.

Nei batteri simbiotici e nei virus (prodotti naturalmente in tutti gli organismi animali, e diversi per ogni specie) è impiantata la memoria molecolare trascritta negli introni. Essi abbandonano un individuo e passano in un altro individuo, lo infettano, trasferiscono la memoria alle sue cellule somatiche. Quasi ogni memoria resta depositata in forma chimica, e poche tornano alla memoria-attiva.

— Attraverso le generazioni?

Attraverso i millenni.

— Gli introni non sono sequenze di scarto…

No. Sono depositi di memorie altamente concentrate.

Vergil Ulam dunque non aveva creato dal niente le sue mutazioni nelle cellule. S’era imbattuto in una funzione naturale: il trasferimento della memoria razziale. Aveva operato su un sistema già esistente.

Non m’importa! Basta con le rivelazioni. Basta con le visioni interiori. Ne ho avuto abbastanza. Cosa mi sta succedendo? Cosa sto diventando? A che serve una rivelazione quando ne usufruisce un pazzo?

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