— Chi è che mi sta guidando?
La risposta è chimica. Un flagellato gli porta un filamento di molecole-dati, e d’un tratto sa che a guidarlo sono quattro gruppi di linfociti-B primari, le versioni iniziali dei noociti. I linfociti-B primari hanno diritto a un posto in ogni gruppo di comando e sono trattati con grande rispetto; sono i precursori, anche se la loro attività è limitata. Sono primitivi in entrambi i significati della parola: meno sofisticati dei noociti recenti in struttura e funzioni, e gli antenati di tutti.
Tu puoi entrare nel PENSIERO UNIVERSO.
La voce svanisce a tratti come in una telefonata intercontinentale. Disturbata, incompleta.
L’impressione d’essere un gruppo di noociti ebbe bruscamente termine. Adesso Bernard non era più scorporizzato e contratto nel microcosmo delle cellule. I suoi pensieri semplicemente esistevano , e il luogo in cui essi esistevano era dolorosamente bello.
Se quello spazio aveva un’estensione, era illusoria. Le dimensioni sembravano definite da unità di memoria: le informazioni importanti per i suoi pensieri di quel momento erano a portata di mano, mentre altri argomenti erano più lontani. L’impressione generale era quella di una vasta libreria fitta di scaffali, sistemati sfericamente tutti intorno a lui. Condivideva il centro di quella sfera con un’altra presenza.
Umani, forma umana , disse la presenza. Un fiotto d’informazioni si precipitò addosso a Bernard, fornendolo di braccia, gambe, un corpo e un volto. Al suo fianco, seduto su quella che sembrava una sedia a sdraio, c’era un’immagine spettrale di Vergil Ulam. Il giovane gli sorrise senza vera emozione, asetticamente.
— Io sono il tuo Vergil cellulare. Benvenuto nel cerchio interno dei gruppi di comando.
— Tu sei morto — disse Bernard, con quella che gli parve solo un’approssimazione della sua voce.
— Così credo d’avere capito.
— Dove siamo?
— Traducendo rozzamente la catena di dati molecolari dei noociti, direi che siamo in un Universo Pensato. Io lo chiamo una noosfera. Ogni cosa che sperimentiamo qui è generata dal pensiero. Potremmo essere tutto ciò che vogliamo, o apprendere tutto ciò che desideriamo, oppure non pensare a niente. Non saremo limitati dalla mancanza di cognizioni o esperienze; tutto potrà esserci fornito. Trascorro molto del mio tempo in questo luogo quando non servo ai gruppi di comando.
Fra loro prese forma un dodecaedro di granito, dagli spigoli decorati con sbarre d’oro. Per qualche istante rotolò qua e là, poi si accostò alla pallida e traslucida figura di Vergil. Bernard non capì che genere di comunicazione vi fosse. Il dodecaedro svanì.
— Tutti noi qui prendiamo forme individuali, e molti di noi vi aggiungono abbellimenti e dettagli. I noociti non hanno nomi, Mr. Bernard; si identificano con sequenze di aminoacidi scelte fra introni di RNA ribosomatico. Suona complicato, ma in realtà è molto più semplice di un’impronta digitale. Nella noosfera tutti i ricercatori attivi devono avere un chiaro simbolo d’identità.
Bernard cercò di ritrovare in lui tracce del Vergil Ulam che aveva conosciuto e a cui aveva stretto la mano. Non sembravano essercene molte. Perfino la voce mancava dell’accento e delle lievi esitazioni che ricordava. — Non c’è molto di te qui, è così?
Il fantasma di Vergil scosse il capo. — Non tutto di me è stato trasferito al livello dei noociti, prima che le mie cellule ti infettassero. Spero che da qualche altra parte esistano registrazioni di me più complete. Questa è ben poco adeguata. Ci sarà circa un terzo di me, qui. Quello che è qui, comunque, è rispettato e protetto. L’ombra dell’antenato onorevole, la vaga memoria del creatore. — La sua voce a tratti svaniva, saltando o deformando qualche sillaba. L’immagine vibrava. — La speranza è che i noociti si riuniscano con quelli rimasti a casa mia, ritrovando altre parti di me. Non più che frammenti di una vaso ormai rotto.
La sua figura divenne più evanescente. — Ora devo andare. Sta arrivando qualcos’altro. Qui ci saranno sempre parti di me, ma sospetto che sia tu ad avere la precedenza adesso. Stammi bene.
Bernard rimase solo nella noosfera, circondato da opzioni dalle quali ben difficilmente avrebbe saputo come trarre un vantaggio. Allungò una mano verso le informazioni circostanti. Esse parvero precipirarsi su di lui, come onde di luce che balenavano fra lo zenith e il nadir. Eserciti di dati si univano e si ordinavano, e i suoi ricordi crescevano intorno a lui come un castello di carte, ciascuna rappresentata da una linea di luce.
Le linee gli si rovesciarono addosso.
Lui era stato un essere pensante…
— È un giorno come un altro per te, non è così? — Nadia si volse e salì con passo flessuoso sulla scala mobile del tribunale.
— Non il più divertente — disse lui. Si lasciarono trasportare verso il pianterreno.
— Proprio un giorno come un altro, allora. — Lei aveva un lieve profumo di lavanda, di tè, di pulito. Era sempre stata bella ai suoi occhi, e senza dubbio anche agli occhi degli altri: piccola, bruna, snella, non attraeva immediatamente l’attenzione. Ma pochi minuti in una stessa stanza con lei toglievano ogni dubbio: molti uomini avrebbero fatto carte false per trascorrere ore, giorni, mesi con lei.
Ma non anni. Nadia si annoiava in fretta di tutto, anche di Michael Bernard.
— Torna pure ai tuoi affari, certo — disse lei a mezza discesa. — Alle tue interviste. Ma bada a quel che dirai!
Lui non rispose. Annoiata, Nadia diventava pungente e tormentosa.
— Bene. Adesso ti sei liberato di me — disse lei verso il fondo. — E io mi sono liberata di te.
— Io non sarò mai libero da te — disse Bernard. — Tu hai sempre rappresentato qualcosa d’importante per me. — Lei ruotò sui tacchi altissimi e gli presentò la parte posteriore del suo immacolato abito azzurro di sartoria. Lui la afferrò per un braccio non troppo gentilmente, costringendola a voltarsi faccia a faccia. — Tu eri la mia ultima possibilità d’essere normale. Non amerò più un’altra donna come ho amato te. Bruciavi. Ne amerò altre, ma senza più compromettermi con loro. Non sarò più così ingenuo. — Scesero dalla scala mobile,
— Stai parlando a vanvera, Michael — disse Nadia, stringendo le labbra. — Lasciami andare.
— All’inferno, ti lascio andare! — sibilò lui. — Hai avuto un milione e mezzo di dollari. Dammi qualcosa in cambio.
— Vai a farti fottere! — disse lei.
— Non ti piace fare scene in pubblico, no?
— Stammi lontano!
— Fredda, dignitosa. Eppure potrei costringerti a darmi qualcosa in pagamento, proprio adesso, per quello che mi hai preso.
— Tu, bastardo!
Lui ebbe un tremito e la schiaffeggiò. — Questo per avermi tolto ogni ingenuità. Per tre anni: il primo, meraviglioso… l’ultimo, una regale miseria.
— Io ti ammazzo ! — ansimò lei. — Nessuno…
Lui le girò un polpaccio dietro le gambe e la spinse. Nadia cadde a sedere con uno strillo. A gambe spalancate, annaspando sugli scalini dietro di lei, lo fissò rabbiosamente. — Tu, sporco…
— Bruto — terminò lui. — Fredda e razionale brutalità. Non molto diversa da quello che hai fatto subire a me. Ma tu non usavi la forza fisica. Ti divertivi a provocarla.
— Taci — Nadia alzò una mano, e lui la aiutò a rimettersi dignitosamente in piedi.
— Scusami — le disse. In quei tre anni trascorsi insieme non l’aveva mai colpita una sola volta. Sentì una stretta al cuore.
— Scusami un corno. Sei tutto quello che ho sempre detto, tu, bastardo. Tu, miserabile bambinetto !
— Scusami — ripeté lui. La folla di gente che c’era nell’atrio li osservava. Sguardi accigliati, mormoni di disapprovazione. Grazie a Dio non c’erano giornalisti.
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