— Torna a giocare con i tuoi giocattoli — ringhiò lei. — I tuoi scalpelli, le tue infermiere, i tuoi pazienti. Vai a rovinare la vita a loro, e stai alla larga da me !
Un ricordo più antico.
— Papà. — Era in piedi accanto al letto, a disagio per quell’inversione dei ruoli poiché lì non era un medico ma un visitatore. La stanza odorava di disinfettante e di quello che doveva occultare il disinfettante, acqua di rose o qualcosa di ugualmente dolciastro. L’effetto era da camera mortuaria. Sbatté le palpebre e strinse una mano di suo padre.
Il vecchio (sembrava vecchio, era vecchio, come già svuotato della vita) aprì debolmente gli occhi. Aveva la cornea gialla, occhiaie gonfie, e la pelle color mostarda. Quello che se lo stava portando via un pezzo dopo l’altro era un cancro al fegato. Non aveva richiesto nessun trattamento straordinario, e Bernard aveva portato i suoi avvocati a fare quattro chiacchiere con la direzione dell’ospedale, tanto per assicurarsi che i desideri di suo padre non venissero ignorati (Vuoi che tuo padre muoia? Vuoi assicurarti che muoia più rapidamente? No, si capisce. Vorresti che vivesse per sempre? Sì, oh, sì! Ma questo è impossibile, no?).
Ogni due ore gli veniva dato un antidolorifico potente, una moderna variazione del cocktail di Brompton che era stato il più usato quando Bernard cominciava il suo internato.
— Papà, sono Michael.
— Sì. Ho la testa ancora chiara. Ti riconosco.
— Ursula e Gerald ti salutano.
— Saluta Gerald. Saluta Ursula.
— Come ti senti? (Come vuoi che si senta uno che sta morendo, idiota.)
— Mi sento un rottame adesso, Mike.
— Già. Be’…
— Ora devo parlare.
— Di cosa, papà?
— Tua madre. Perché non è qui?
— Mamma è morta, papà.
— Sì. Questo lo so. La mia mente è chiara. Solo che… non mi sto lamentando, bada… è solo che fa male. — Prese la mano di Bernard e la strinse più forte che poté… una stretta debole. — Qual è la prognosi, figliolo?
— Questo lo sai, papà.
— Non puoi trapiantarmi il cervello?
Bernard sorrise. — Non ancora. Ci stiamo lavorando su.
— Ho paura che non farete in tempo.
— Probabilmente non si farà in tempo.
— Tu e Ursula… andate bene?
— Ci stiamo accordando senza bisogno del tribunale, papà.
— E Gerald come l’ha presa?
— Male. È molto giù.
— Una volta volevo divorziare da tua madre.
Bernard lo fissò, accigliandosi. — Ah!
— Lei aveva una relazione. Ero inferocito. Ho imparato molto, anche. E non ho divorziato da lei.
Bernard non aveva saputo niente di quella faccenda.
— Sai, anche con Ursula…
— È tutto finito, papà. Entrambi abbiamo una relazione, e la mia è una cosa sempre più seria.
— Non si può possedere una donna, Mike. Sono meravigliose compagne se non vuoi possederle.
— Lo so.
— Davvero? Sì, forse sì. Pensai, quando scopersi dell’amante di tua madre, pensai che avrei voluto morire. Faceva male, quasi quanto questa cosa qui. Credevo che lei fosse di mia proprietà.
Bernard desiderò che la conversazione avesse preso un’altra direzione. — A Gerald non importa perdere un anno di scuola.
— A me importava. Io la stavo condividendo con un altro. Anche se una donna ha solo te, la stai condividendo con qualcosa. E per lei è lo stesso con te. Tutto quello che riguarda la fedeltà è un’impostura, una maschera. Mike. Conta il risultato che ottieni. Quello che fai, quanto abilmente lo fai, quanto sei bravo a mascherarti.
— Sì, papà.
— Dico…
— Che cosa? — chiese Bernard, riprendendogli la mano.
— Siamo stati insieme trent’anni dopo quella storia.
— Io non ne ho mai saputo niente.
— Non avevi bisogno di sapere. Io ero l’unico che aveva bisogno di saperlo, di accettarlo. E sto pensando ancora ad altre cose, Mike. Ricordi il bungalow? C’è un pacco di fogli in soffitta, sotto il lettino.
Il bungalow nel Maine era stato venduto dieci anni prima.
— Stavo scrivendo delle cose — continuò l’uomo dopo avere deglutito a fatica e dolorosamente. Ebbe una smorfia e gli sfuggì un gemito. — Cose di quando ero un medico.
Bernard sapeva di quei fogli. Li aveva trovati e letti durante il suo internato. Adesso erano in uno schedario del suo ufficio di Atlanta.
— Li ho io, papà.
— Bene. Li hai letti?
— Sì. — E sono stati importanti per me, padre. Mi hanno aiutato a capire ciò che volevo fare in neurologia, la direzione che volevo prendere… diglielo! Diglielo!
— Bene. Io l’ho sempre saputo questo di te, Mike.
— Che cosa?
— Quanto ci volevi bene. Solo che non sei espansivo, vero? Non lo sei mai stato.
— Ti voglio bene. Volevo bene alla mamma.
— Lei lo sapeva. Non era infelice quando è morta. Bene. — Ebbe di nuovo una smorfia. — Adesso devo dormire. Sei sicuro di non potermi trovare un altro corpo, giovane e forte?
Bernard annuì. Diglielo.
— I tuoi scritti sono stati molto importanti per me, papà.
Non lo aveva più chiamato papà da quando aveva tredici anni, solo padre. Ma il vecchio ( vecchio ) non lo sentì. S’era addormentato. Bernard raccolse il soprabito e la valigetta e uscì, passando dalla stanza delle infermiere per domandare — contro ogni sua abitudine — per quando si prevedeva la prossima iniezione di antidolorifico.
Suo padre era morto alle tre del mattino successivo, nel sonno e da solo.
E più indietro…
Olivia Ferguson, come lui snella, come lui elegante, come lui diciottenne, un nome che ben dipingeva il suo aspetto, capelli neri compressi contro il paggiatesta della Corvette, si volse a fissarlo con una luce divertita nei grandi occhi verdi. Lui la guardò e le restituì il sorriso, e quella era certo la sera più inebriante del mondo, e il mondo era meraviglioso: per la terza volta stava portando fuori una ragazza. Anche se fra i due l’unica vergine era lui… cosa, tuttavia, che in quell’occasione non aveva però la minima importanza. L’aveva avvicinata sotto la torre campanaria del campus della Berkeley U.C. vedendola ferma a esaminare uno degli orsi di bronzo, e quando le aveva chiesto un appuntamento lei l’aveva scrutato con genuina simpatia.
— Ho già un ragazzo — era stata la risposta. — Voglio dire, non potrebbe essere niente di…
Deluso, ma sempre preparato a essere galante, lui aveva sospirato: — Be’, in questo caso sarà soltanto una serata fuori. Due nella città. Amici. — Praticamente non la conosceva, era con lei in classe al corso d’inglese. La più bella ragazza della classe: alta e flessuosa, riservata ma non di modi scostanti. Olivia aveva sorriso e annuito. — Okay.
E adesso lui assaporava l’amicizia, libero dagli obblighi del corteggiamento; la prima volta che si sentiva su un piede di parità con una donna. Il suo fidanzato, gli spiegò lei, era in Marina, distaccato al Cantiere Navale di Brooklyn. La famiglia abitava a Staten Island, nella stessa casa dove un tempo Herman Melville aveva trascorso un’estate.
Il vento le agitava i capelli senza scompigliarli… miracolosi, splendidi capelli che (in teoria) sarebbe stato delizioso carezzare facendoseli scorrere fra le dita. Avevano chiacchierato sin dal momento in cui lui l’aveva prelevata, all’appartamento che Olivia divideva con altre due ragazze accanto al vecchio e candido Clairemont Hotel. Poi avevano varcato il Golden Gate per andare a cena a Marin, in un piccolo ristorante conosciuto per le specialità di mare, il Klamshak, e s’erano attardati a parlare: la scuola, i loro progetti, e quello che significava sposarsi al giorno d’oggi (lui non lo sapeva, e non s’era preoccupato di fingere un atteggiamento sofisticato). S’erano trovati d’accordo sul fatto che la cucina era buona e l’arredamento non troppo originale: reti e attrezzi da pesca alle pareti, conchiglie di plastica, pesci imbalsamati, la prua di una barca e l’immancabile ruota di timone. Neppure per un momento s’era sentito goffo, o giovane, o comunque inesperto.
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