Dapprima pensare a se stesso è un crearsi d’immagini granulose e discontinue. Se una cosa simile può essere, lui visualizza se stesso alla base chimica dell’universo, dove tutti gli atomi e le molecole si combinano e si separano scambiandosi rumori silenziosi come guizzanti pesci abissali. È sospeso dentro complesse attività senza suono, incapace di valutare la situazione e incerto su quale sia la sua identità attuale. Parte delle sue facoltà sono momentaneamente escluse. Ma d’un tratto… un sussulto! Lui può analizzare, valutare. I pensieri tornano a folate come foglie spinte dal vento in un prato. Un altro sussulto! Ora è un pigro flusso di gelatina che circola e cola in una tazza fredda.
Il viaggio di Bernard non è ancora neppure all’inizio. Si trova sempre nell’interfaccia, non grande e non piccolo. C’è una parte di lui che continua a giacere nel suo cervello-universo, che continua a inviare i pensieri lungo le cellule invece che dentro le cellule.
La sospensione rotea in un vortice d’incoscienza, i suoi pensieri vengono spinti come un filo nella cruna di un minuscolo ago
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La piccola esplosione che lo proietta oltre l’interfaccia lascia improvvisamente il posto all’ordine e a un senso di semplicità. Non c’è luce, però esiste il suono. Le cellule pulsano, si separano, si contraggono sotto la spinta del fluido. Lui è nel suo stesso sangue. Può tastare e udire le cellule che stanno costruendo il suo nuovo essere, e quelle che non sono direttamente parte di lui. Può udire il fruscio dei microtuboli che si diramano nel suo citoplasma. E ciò che di più notevole riesce a sentire — il sottofondo di ogni sensazione — è il citoplasma stesso.
Questa è infatti la base del suo essere, l’elettrica e fluente sensazione di vita pura. È conscio dell’affilato equilibrio fra l’animazione e la gelatina morta, che affonda le radici nell’ordine, nella gerarchla, nell’interazione. Cooperazione. Lui è un individuo e nello stesso tempo ognuno dei suoi compagni di squadra, gli altri gruppi di centinaia di cellule a monte e a valle del flusso. I compagni più a valle sono come distanti, come chimicamente isolati, quasi fossero nelle profondità di un pozzo; i compagni più a monte sono ricchi e intensi.
Non può decifrare la meccanica dei suoi pensieri più di quanto non lo poteva nel suo cervello-universo. I pensieri emergono dalle reazioni chimiche, dagli interscambi con i compagni di gruppo e dai processi interni alle cellule. Unirsi è pensare, l’interazione è il linguaggio.
Le sensazioni lungo le membrane delle sue cellule sono intense. È lì che lui riceve, avverte la pressione chimico-elettrica dei messaggi molecolari dall’esterno. Contatta un °frammento di dati ° sotto forma di un plasmide, lo ingloba per estrarne informazioni, lo assorbe nel suo corpo e duplica quelle parti di lui che saranno necessarie ad altri suoi compagni. Adesso i plasmidi arrivano rapidamente, e intanto che li ingloba e ne assorbe le molecole, come libri da aggiungere a una biblioteca, sente che a lui ritornano pezzi e frammenti di Michael Bernard.
L’immenso Bernard è contenuto in un gruppo di un centinaio di cellule. Ora può rendersi conto che al livello dei noociti c’è davvero un essere umano: lui stesso.
Benvenuto.
— Grazie.
Individua i compagni del gruppo dalle differenze nel sapore, e sono sapori di ogni genere, ricchi e dolci. Il senso di cameratismo è sopraffacente. Lui ama il suo gruppo (come potrebbe amare qualcos’altro?). Ne è parte integrale, tanto amato quanto necessario.
Bruscamente avverte il sapore della parete d’un capillare. Lui è inserito in una squadra di ricerche, e veicola informazioni provenienti da esso fabbricando pacchetti di acidi nucleici. Assorbire, ristrutturare, veicolare, assorbire…
Estrudersi. Passare all’esterno.
Questa è l’istruzione che gli viene data. Lascia il capillare e penetra nel tessuto.
Lasciare un frammento di plasmide nel flusso di dati.
Si è spinto fra le cellule del capillare — cellule connettive, non noociti — e si ferma nella parete. Ora attende l’arrivo di dati sotto forma di strutture proteiche, ormoni e ferormoni, catene di acidi nucleici, o forse dati in forma di cellule °costruite°, virus o batteri addomesticati. Ha bisogno non solo di nutrimento base, facilmente ottenibile dal siero sanguigno, ma del rifornimento di enzimi che gli consentono di assorbire e analizzare i dati, di pensare. Gli enzimi sono forniti da batteri che li fabbricano e li distribuiscono.
Il sangue è un’autostrada, una sinfonia d’informazioni e di istruzioni. È una delizia analizzare e modificare quel ricco brodo. Le informazioni hanno il loro sapore e ciascuna è un pensiero vivente, capace di modificarsi nel sangue a meno che non venga costruita con cura, sfrondata dei sovrappiù e ben compattata. Le parole non potrebbero comunicare ciò che lui sta facendo. Il suo intero essere vive nelle chiacchiere che assorbe analizzando e processando.
E mentre pensa attraverso i suoi sottili processi mentali — molecole che pensano alle molecole, registrando se stesse — sente arrivare la vertiginosa spirale delle rivelazioni in termini che fino a quel momento non esistevano dentro di lui. È come ricevere la parola di Dio diretta a un albero, e portarla giù a quell’albero, e vederlo fiorire arrossendo di confusa emozione.
Tu sei il potere, il potere buono, il più ricco di tutti i sapori… il supremo messaggio dall’alto.
I suoi compagni lo avvicinano, si raggruppano intorno alle sue appendici nel sangue, si affollano. Lui è come un novizio in un monastero, improvvisamente ispirato dal respiro di Dio. I monaci si radunano, pregano per avere un tocco da lui, un segno di redenzione e uno scopo. È intossicante. Li ama perché sono la sua squadra; loro fanno perfino più che amarlo soltanto, poiché lui è la Sorgente.
Il gruppo di comando sa che lui, lui stesso, è parte di una gerarchla più vasta, ma quest’informazione non lo sminuisce né lo abbassa di livello ai loro occhi. I gruppi comuni Io considerano con timore reverenziale.
Tu sei il flusso della vita. Tu hai la chiave che °apre° e °chiude°, la chiave della pulsazione e del silenzio.
— Più avanti — dice lui. — Conducetemi più avanti e mostratemi la vostra vita.
— Suzy. Svegliati.
Gli occhi di Suzy si aprirono pian piano. Davanti a lei erano in piedi Kenneth e Howard. La ragazza sbatté le palpebre e girò lo sguardo sulle pareti azzurre della sua camera da letto. Sentì il suo cuscino sotto la nuca. — Kenny? — sussurrò.
— Mamma ti aspetta.
— Howard!
— Alzati, su, Fiorellino. — Era così che Kenneth la chiamava sempre. Scostò la coperta, poi se la tirò di nuovo addosso: aveva ancora la blusa, ma dalla vita in giù era nuda. A parte gli stivaletti.
— Devo vestirmi — disse.
Howard le porse i jeans. — Fai presto. — I due uscirono dalla camera da letto e chiusero la porta. Lei mise fuori le gambe e infilò i piedi nei pantaloni, poi si alzò e li tirò su chiudendo la lampo e il bottone. Il ginocchio non le faceva più male. Il gonfiore era sparito, e tutto quanto sembrava bello e a posto. Aveva anche un buon sapore in bocca. Cercò attorno la torcia elettrica e la radio. Erano sul pavimento ai piedi del letto. Le raccolse, aprì la porta e uscì in corridoio. — Kenny?
Howard la prese dolcemente per un braccio conducendola verso la porta della camera da letto della madre. Era chiusa. Kenneth girò la maniglia, spinse il battente e i tre entrarono nell’ascensore. Howard premette il pulsante per il ristorante e i vestiboli dell’ultimo piano.
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