Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Sì — disse Bernard. — Ti ascolto.

Qualcosa di non formulato… un’evidenza…

— Due giorni fa — disse Gogarty con più vivacità, il volto arrossato dall’eccitazione — l’Unione Sovietica ha lanciato un attacco nucleare su larga scala contro il Nord America. Ma a differenza di quello su Panama, nessuna delle loro testate nucleari ha funzionato.

Bernard fissò Paulsen-Fuchs dapprima con stupore, poi risentito. Nessuno gli aveva detto una parola di quel fatto.

— I sovietici non sono dei costruttori di ICBM così incapaci, Michael. Avrebbe dovuto esserci un olocausto. Non c’è stato. Ora, io ho compilato parecchi grafici di quell’attacco, basandomi sulle osservazioni di cui disponiamo. Una fonte molto importante è stato un velivolo da ricognizione, che portava a bordo scienziati e giornalisti in un volo sull’America del Nord, collegato via satellite con l’Europa. Al momento dell’attacco il velivolo si trovava molto all’interno del territorio statunitense. Evidentemente è precipitato, ma non in seguito all’attacco stesso. Nessuno può essere certo sulla causa del disastro, ma il modo in cui i dati telemetrici e le comunicazioni si sono interrotti… i tempi, la successione degli eventi, tutto quadra con la mia teoria. Inoltre in varie parti del globo si sono verificati effetti peculiari. Silenzi radio, interruzioni nell’energia elettrica, fenomeni meteorologici. E anche intorno all’orbita geosincrona: due satelliti separati da 12.000 km di distanza hanno cessato di funzionare. Ho messo dati e coordinate di questi incidenti nel nostro computer, ed esso mi ha fornito questo profilo di campo quadrimensionale. — Tolse dalla sua cartella una grossa foto stampata da un computer.

Bernard strinse le palpebre per vederla meglio. La sua capacità visiva si acutizzò d’improvviso. Riuscì a distinguere perfino la grana della carta. — Sembra l’incubo di un sollevatore di pesi — commentò.

— Sì, un toroide un po’ contorto — fu d’accordo Gogarty. — Questa è la sola figura che abbia un senso alla luce delle informazioni inserite. E nessuno può dare un senso a questa figura… a parte me. Temo che non mi renderà molto popolare nell’ambiente scientifico, perché se ho ragione, e credo di averla, ci troviamo di fronte a un guaio ancora più grosso di quel che credevamo, Michael… o magari più piccolo, dipende da quale genere di guaio tu avevi previsto.

Bernard poteva sentire l’intensità con cui quel diagramma veniva assorbito in lui. I noociti avevano tralasciato il costante contatto con la sua mente già da alcuni secondi.

— Tu stai dando ai miei piccoli colleghi molto su cui riflettere, Sean.

— Già. E le loro reazioni?

Bernard chiuse gli occhi.

Dopo una ventina di secondi li riaprì e scosse il capo. — Non una parola — disse. — Mi spiace, Sean.

— Be’, non mi ero aspettato molto.

Paulsen-Fuchs diede uno sguardo all’orologio. — Non c’è altro, Dr. Gogarty?

— No. Solo un’ultima cosa. Michael, l’epidemia non si spanderà oltre il Nord America. O meglio, non oltre un cerchio di settemila chilometri di diametro se i noociti stanno lavorando su quell’area del globo.

— Perché no?

— A causa di ciò che ho detto. Ce ne sono già troppi di loro. Se si espandessero su un raggio maggiore creerebbero qualcosa di molto singolare: una porzione di spazio-tempo troppo intensamente osservata. Il territorio non avrebbe possibilità di evolversi. Troppi brillanti teorici, se mi spiego. Si verificherebbe una sorta di congelamento, un crollo nei livelli quantici. Una singolarità. Un buco nero di pensieri. Il tempo ne verrebbe gravemente distorto e gli effetti potrebbero distruggere la Terra. Sospetto che abbiano limitato la loro crescita proprio perché l’hanno capito. — Gogarty si asciugò la fronte con un fazzoletto e sospirò.

— Come hanno potuto impedire l’esplosione delle testate nucleari? — domandò Bernard.

— Direi che hanno trovato il modo di creare sacche di osservazione molto potenti. Hanno usato triliardi di osservatori per stabilire una piccola sacca temporanea di spazio-tempo alterato. Una sacca in cui le leggi fisiche sono abbastanza diverse da non consentire la detonazione di bombe atomiche. La sacca non sarà durata a lungo (il resto dell’universo era in violento disaccordo con essa) ma a sufficienza per prevenire l’olocausto.

— C’è un’altra questione cruciale — continuò poi. — I tuoi noociti sono in comunicazione col Nord America?

Bernard ascoltò ma non ebbe risposta. — Non lo so.

— Loro possono essere in comunicazione, lo sai, senza bisogno di radio o altri mezzi a noi familiari. Se riescono a controllare gli effetti sulla complessità locale da loro stessi creata, possono originare sottili distorsioni nel continuum temporale. E temo che non abbiamo strumenti abbastanza sensibili da captare segnali di questo genere.

Paulsen-Fuchs si alzò e si toccò l’orologio con fare significativo.

— Paul — disse Bernard. — È per questo che mi censurate le notizie? Perché non sono stato informato dell’attacco nucleare sovietico?

Paulsen-Fuchs non rispose. — C’è altro che tu possa fare per Mr. Gogarty? — chiese.

— Non in questo momento. Io…

— Allora ti lasciamo alle tue meditazioni.

— Aspetta un secondo, Paul. Che diavolo sta succedendo? È chiaro che a Mr. Gogarty piacerebbe dedicarmi altro del suo tempo, e lo stesso vale per me. Perché tutte queste limitazioni?

Gogarty spostava gli occhi dall’uno all’altro, visibilmente imbarazzato.

— La sicurezza, Michael — disse Paulsen-Fuchs. — Sono pignoli, lo sai.

La reazione di Bernard fu una risata improvvisa, secca come un latrato. — Lieto d’averti incontrato, professor Gogarty — disse.

— Anch’io — annuì Gogarty. Il microfono della camera d’osservazione fu spento e i due uomini uscirono. Bernard spostò la tenda del cesso e orinò. Il colore del liquido era d’un rosso porporino.

Non sei tu che li dirigi? Sono loro a comandare te?

— Se non l’aveste ancora capito, io sono un semplice mortale. Che succede alla mia orina? È purpurea.

Fenoli e chetoni vengono scaricati. Noi dobbiamo TRASCORRERE PIÙ TEMPO a studiare la vostra situazione gerarchica.

— Io sono un pesce piccolo — disse lui ad alta voce. — Più piccolo ancora, adesso.

XXXV

Il fuoco scoppiettava gagliardamente, proiettando le tre alte ombre nere sulle storiche e antiche costruzioni di Fort Tejon. In piedi e con le spalle alla fiamma, la leggera gonna che le svolazzava attorno nella fredda brezza serotina, April Ulam si strinse le braccia al petto. Jerry depose il ramo con cui aveva attizzato i ceppi e si volse al fratello. — Allora cos’è che abbiamo visto?

— L’inferno — dichiarò fermamente John.

— Abbiamo visto Los Angeles, signori — disse April dal buio.

— Io non ho riconosciuto niente - sbottò John. — Non era neanche come Livermore, o i campi delle fattorie. Voglio dire…

— Non c’era niente di reale là — terminò Jerry per lui. — Solo un gran… roteare.

April si avvicinò e sedette su un ciocco aggiustandosi la veste sulle ginocchia. — Penso che ciascuno di noi dovrebbe dire ciò che ha visto, descrivendolo meglio che può. Comincerò io, se volete.

Jerry scosse le spalle. John continuò a fissare nel fuoco.

— Credo d’avere riconosciuto la forma della San Fernando Valley. Sono dieci anni dall’ultima volta che ho visitato Los Angeles, ma non ho scordato quelle colline, e c’erano anche Burbank e Glendale… solo che non ricordo bene com’erano a quel tempo. C’era molto smog e faceva caldo, al contrario di oggi.

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