Greg Bear - L'ultima fase

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Senza esitare.

XXIX

Diario elettronico di Michael Bernard

15 Gennaio: Oggi hanno cominciato a parlare con me. Dapprima non senza difficoltà, ma sempre più facilmente col trascorrere delle ore.

Come descrivere l’esperienza delle loro voci? Hanno finalmente attraversato la barriera sangue-cervello, ed esplorato l’immensa frontiera costituita dalla mia mente, e scoperto lo schema che sta dietro le attività bioelettriche di questo mondo (lo schema che sono io) e scoperto che le informazioni sul loro passato e sulla loro origine sono vere, e che fuori di me esiste un mondo macroscopico…

E dopo aver appreso tutto ciò, essi dovevano comprendere cosa significa essere un uomo. Perché solo così potevano comunicare con questo loro Deus ex Machina. Incaricando decine di milioni di studiosi di lavorare a questo progetto, credo solo negli ultimi tre giorni, hanno chiarito la situazione e adesso chiacchierano con me non più stranamente che se fossero (ad esempio) aborigeni australiani.

Mi siedo alla scrivania e quando viene il momento stabilito converso con loro. In parte lo faccio in inglese (credo che loro captino la fase pre-vocale, quella che subito dopo la mia mente trasforma in parole), in parte in immagini visive, in parte con impressioni sensorie: più che altro il senso del gusto da cui sono particolarmente attratti.

Non ho ancora afferrato la complessità della popolazione che vive dentro di me. Si dividono in molte classi: i noociti originali e i loro derivati, quelli trasformati subito dopo l’invasione, le categorie di cellule mobili molte delle quali evidentemente nuove nel mio corpo, di nuova concezione e con nuove funzioni; le cellule fisse, forse non dotate d’individualità mentale, senza mobilità e con funzioni più complesse; le cellule tuttora non alterate (quasi tutto il mio cervello e il sistema nervoso rientra in questo gruppo) e poi altre di tipo a me ancora non conosciuto.

Insieme, ammontano a decine di trilioni.

A occhio e croce direi che in me esistono forse due trilioni di individui dall’intelligenza pienamente sviluppata.

Se moltiplico questo numero per il numero degli abitanti del Nord America (mezzo miliardo, all’incirca), ottengo una cifra di almeno un bilione di trilioni, nell’ordine di 10 20. Tanti sono attualmente gli esseri senzienti sulla faccia della Terra… trascurando, è ovvio, l’ormai trascurabile popolazione umana.

Dopo avere fissato le note nella memoria elettronica, Bernard scostò la poltroncina dalla scrivania. Ci sarebbe stato troppo da registrare, troppi particolari; non sperava più di riuscire a spiegare quelle sensazioni ai ricercatori esterni. Dopo settimane di frustrazione, di isolamento, di tentativi d’interpretare il linguaggio chimico del suo sangue, adesso era subissato da una tale quantità d’informazioni che non riusciva ad assorbirne neppure una parte. Tutto ciò che doveva fare era chiedere, e mille o un milione di esseri intelligenti si organizzavano per analizzare le sue domande e fornirgli rapide e dettagliate risposte.

— Chi sono io per voi? — avrebbe ottenuto in risposta:

Padre/Madre/Universo

Mondo-Sfida

Sorgente di tutto

Antico, lento

°montagna-galassia°

E poteva trascorrere ore facendosi spiegare le complesse sensazioni che accompagnavano le parole: il sapore del suo siero sanguigno, i tessuti del suo corpo, la gioia con cui venivano accolte le sostanze nutritive, le necessità relative alla protezione e alla pulizia.

Nella quiete notturna, disteso sul letto e senza altro che uno scanner a infrarossi puntato addosso e gli immancabili sensori scaglionati sul corpo, s’immergeva nei suoi sogni e nelle caute, quasi riverenti, domande e risposte dei noociti. Ogni tanto si destava, come se un cane da guardia mentale lo avvertisse che un nuovo territorio dentro di lui veniva esplorato.

Anche durante il giorno gli capitava di perdere il senso del tempo. I minuti trascorsi a conversare con le cellule gli sembravano ore, e tornava poi alle attrezzature che lo circondavano con un’impressione distorta della realtà.

Le visite di Paulsen-Fuchs e degli altri avvenivano a intervalli che gli risultavano casuali e irregolari, mentre di fatto erano programmate ogni giorno sempre alla stessa ora.

Alle tre pomeridiane Paulsen-Fuchs arrivava con le sue interpretazioni delle notizie che Bernard aveva già letto o visto sullo schermo quel mattino. Le novità erano invariabilmente spiacevoli e sempre peggiori. L’Unione Sovietica, imprevedibile come un orso solitario, dopo aver indotto l’Europa al panico la lasciava ora in preda a una rabbia impotente. S’era trincerata in un improvviso silenzio che non tranquillizzava nessuno. Bernard rifletté un poco su quei problemi, poi chiese a Paulsen-Fuchs quali progressi s’erano fatti nel controllo delle cellule intelligenti.

— Nessuno. È ovvio che hanno in mano l’intero sistema immunitario; e oltre a possedere un tasso metabolico accelerato si travestono nei modi più diversi. Pensiamo che adesso riescano a neutralizzare ogni antimetabolita prima che entri in azione, e sono già capaci di fronteggiare inibitori come l’actinomicina. In breve, non possiamo danneggiare loro senza danneggiare te.

Bernard annuì. Stranamente questo non lo preoccupava più.

— E ora tu sei in comunicazione con loro — disse Paulsen-Fuchs.

— Sì.

Lo studioso sospirò, scostandosi dal triplo cristallo. — Sei ancora un essere umano, Michael?

— Si capisce che lo sono — esclamò lui. Ma poi dovette riflettere che il suo corpo non lo era, e che da più di un mese non poteva definirsi esattamente umano. — Sono sempre me stesso, Paul.

— Perché ci hai costretti a ficcare il naso nei tuoi appunti per scoprire questo fatto?

— Io non lo chiamerei curiosare. Davo per scontato che i miei appunti venissero scovati e analizzati.

— Michael, perché non lo hai detto a me ? Mi sento sciocco, e offeso. Credevo di contare qualcosa nel tuo mondo.

Bernard ridacchiò e scosse il capo. — E conti molto, Paul. Sono tuo ospite. Appena avrò chiarito a me stesso, in parole, quel che devo dirti, te ne parlerò. Ti dirò tutto. Il discorso fra me e i noociti è appena all’inizio; non posso essere certo che fra me e loro non vi siano dei fraintendimenti sulle cose basilari.

Paulsen-Fuchs si mosse verso la porta di sicurezza. — Fammi sapere quando sarai pronto. Potrebbe essere molto importante — disse stancamente.

— Stanne certo.

Paulsen-Fuchs uscì dalla camera d’osservazione.

Bernard aveva captato in lui una certa freddezza. Lo stavano trattando come qualcuno sospeso dal consesso umano. E Paulsen-Fuchs era un amico.

Comunque lui cosa poteva farci?

Forse la sua umanità stava davvero giungendo al termine.

XXX

Al sessantesimo piano Suzy comprese che per quel giorno non ce l’avrebbe fatta a salire più in alto. Sedette sulla poltrona di un dirigente (aveva gettato in un angolo le scarpe di coccodrillo, la camicia di seta e l’elegante completo grigio del dirigente) e dalla finestra osservò la città duecento metri più in basso. Le pareti erano tappezzate in pannelli di mogano, con infissi artistici di bronzo firmati Norman Rockwell. La ragazza aveva mangiato cracker con prosciutto e burro d’arachidi tolti dalla sua borsa, e bevuto da una bottiglia di acqua minerale Calistoga trovata nel ben fornito bar dell’ufficio.

Il piccolo telescopio montato sul davanzale le aveva dato un’ampia visuale del quartiere intorno a casa sua, ora coperto da uno spesso strato di sostanza color del cuoio, e di tutta la periferia a sud e ad est su cui aveva puntato lo strumento. Il fiume intorno a Governor’s Island non sembrava più composto da acqua. La corrente aveva l’aspetto di fanghiglia congelata, e strane onde semisolide s’allargavano in circolo a incontrare altre onde provenienti da Ellis Island e Liberty Island. Si sarebbe detta più sabbia scomposta che acqua, ma lei sapeva che il fiume non poteva essere diventato sabbia.

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