Digrignò i denti. — Molto interessante — commentò. Afferrò l’orlo del bubbone e lo strappò via. Il liquido precipitò ai suoi piedi e la nebbia s’infittì. — Loro non sono qui.
— Perché l’hai fatto? — domandò Jerry.
John colpì con violenza il morbido favo e la sua mano luccicò di liquido purpureo. — Perché loro non sono qui.
— Loro chi?
— Ruth e Loren. Sono proprio andati.
— No, fermo… — cercò di trattenerlo Jerry, ma il fratello ora colpiva con ambo le mani, spaccando i bubboni e facendo schizzare via il contenuto. La nebbia dolciastra che questo produceva a contatto del suolo li avvolgeva entrambi. Jerry lo afferrò per le spalle, tirandolo indietro. — Basta! Basta, John, maledizione!
— Loro li hanno presi! — urlò il fratello. Vacillò, con le lacrime agli occhi, e continuò a prendere a pugni il favo mandando gemiti finché non scivolò. — Non ci sono qui, Jerry!
I due ruzzolarono avvinghiati nella poltiglia che copriva il pavimento, con la lampada che rimbalzava fra le loro gambe. Poi Jerry riuscì a tirare il fratello a sedere e lo tenne fermo. John si passò una mano sugli occhi e scosse il capo, quindi cominciò a singhiozzare, a denti stretti e in silenzio. Jerry recuperò la lampada, la girò attorno nella fitta caligine e gli poggiò una mano su una spalla. — Su, su — mormorò più volte. Grondavano di maleodorante sostanza marroncina. — Su, non fare così.
— È troppo che me lo tengo dentro — disse l’altro dopo un ultimo tremulo sospiro. — Lasciami sfogare, Jerry. È troppo che me lo tengo dentro. Andiamocene via da qui. Tanto non c’è nessuno. Non c’è nessuno qui sotto.
— Già — disse Jerry. — Non qui. Forse da altre parti, ma non qui.
— Io posso sentirli , Jerry.
— Lo so. Ma non qui.
— Allora dove accidenti…
— Ssssh! — Restarono seduti nella poltiglia, con gli orecchi tesi all’impercettibile fruscio della nebbia e delle cortine d’aria. Jerry s’accorse che i suoi occhi erano spalancati come quelli di un gatto nel buio. — Ssssh! C’è qualcosa…
— Oh, Cristo! — ansimò John, sciogliendosi dalle braccia del fratello. Gocciolando brodaglia si tirarono in piedi, lo sguardo fisso lungo il raggio della lampada. Dentro di esso la nebbia si torceva e ondeggiava.
— È un vagabondo — sussurrò John, quando nella caligine apparve una vaga forma.
— È troppo grosso — replicò Jerry.
L’oggetto era una sfoglia piatta larga circa tre metri, con frange che pendevano attorno, e nella debole luminosità appariva di un colore marrone chiaro.
— Non ha gambe — mormorò Jerry spaurito. — Sta fluttuando nell’aria.
John fece un passo avanti. — Maledetti marziani — disse, freddamente. Sollevò un pugno. — Io gli spacco il…
Un istante dopo intorno a loro tutto fu tenebra e oblio.
L’aurora spandeva nel cielo un pallido colore acquamarina. E coperta da uno strato di sostanza bianca e marrone la città aveva l’aspetto di qualcosa che sarebbe stato più facile immaginare sott’acqua, una piatta e bassa sezione del fondo oceanico.
I due erano in piedi nel fossato fuori dai recinti, e fissavano quel panorama un tempo abitato.
— Quasi non ce la faccio a muovermi — si lamentò Jerry.
— Neppure io.
— Credo che quella cosa ci abbia punti.
— Io non ho sentito niente.
John mosse le braccia come per collaudarle. — Penso di averli visti.
— Visti chi?
— Mi sento stordito, Jerry.
— Anch’io.
Prima che trovassero l’energia di mettersi in cammino il sole era già alto nel cielo. Sopra la città, fra i contorni degli edifici, si vedevano aleggiare alcuni emisferi trasparenti dai quali ogni tanto scendevano sottili raggi di luce. — Guarda un po’, sembrano meduse — commentò Jerry mentre scendevano sulla strada verso il furgone.
— Credo d’avere visto Ruth e Loren. Non ne sono sicuro — disse John. Raggiunsero il veicolo lentamente, a passi rigidi, e dopo avere chiuso il portello posteriore sedettero nella cabina. — Filiamocela.
— Dove?
— Li ho visti quando eravamo in quel buco. Ma non erano là. Questo non ha senso.
— No, voglio dire dove andiamo adesso.
— Fuori città. Da qualche altra parte.
— Loro sono dappertutto, John. Lo ha detto la radio.
— Maledetti marziani.
Jerry sospirò. — I marziani ci avrebbero fatti fuori, John.
— Si fottano. Andiamocene da qui.
— Qualunque cosa siano — disse Jerry. — Giurerei che sono usciti da qualche posto qua attorno. — Indicò i terreni circostanti. — Forse proprio da dentro quel recinto.
— Metti in moto — disse John. Il fratello girò la chiavetta, ingranò la marcia e accelerò lungo la strada polverosa. Più avanti sbucarono sulla East Avenue, evitarono per un capello un’auto abbandonata in mezzo all’incrocio e girarono per la South Vasco Road verso l’autostrada. — Quanta benzina abbiamo?
— Ieri ho fatto il pieno prima che quella roba marrone ricoprisse anche il distributore.
— Sai una cosa — borbottò John raccogliendo dal pavimento uno straccio bisunto per asciugarsi le mani. — Credo che non ne capiremo mai abbastanza per sapere cos’è successo. È che non ne abbiamo la minima idea.
— Non abbiamo fantasia, forse. — Jerry strinse le palpebre: un miglio più avanti, sulla strada, c’era qualcuno che agitava vigorosamente le braccia. Vedendolo stupito John seguì il suo sguardo.
— Sembra che non siamo soli — commentò.
Jerry rallentò. — È una donna. — Si fermarono a una trentina di metri dalla sconosciuta, che li attendeva sul bordo della strada. Jerry si sporse dal finestrino per esaminarla meglio. — Non è una donna giovane — borbottò un po’ deluso.
Dimostrava una cinquantina d’anni, ma aveva capelli neri e lunghi e una gonna giovanile, color pesca, che nel correre le svolazzava attorno.
Si avvicinò sulla destra del furgone, sorridente e col fiato mozzo. — Grazie a Dio! — ansimò. — O a chi per lui. Credevo d’essere l’unica superstite della città.
— Evidentemente no — disse Jerry. John aprì lo sportello, si scostò per farle posto e lei salì in cabina; si gettò a sedere con un sospiro e rise ancora. Poi li scrutò entrambi con occhi acuti e vivaci. — Voi due non sarete giovinastri da strada, eh?
— Non credo proprio — replicò Jerry, esplorando i dintorni con un’occhiata. — Lei di dov’è?
— Abitavo qui in città. La mia casa è andata, e tutte le altre sono impacchettate e pronte per essere spedite… chissà dove. A dirla tutta credevo d’essere rimasta sola al mondo.
— Allora non ha ascoltato la radio — disse John.
— No. Non mi piacciono le carabattole elettroniche. Comunque so già cos’è successo.
— Ah, sì? — chiese Jerry, rimettendo in movimento il furgone.
— Proprio così. Mio figlio. È lui il responsabile di tutto questo. Non avevo idea di quale forma avrebbe preso la cosa, ma già allora non dubitavo che sarebbe accaduto. L’ho anche avvertito.
I gemelli si fissarono l’un l’altro. La donna scosse i capelli e se li fermò intorno alla fronte con un nastro.
— Sì, lo so — ridacchiò fra sé. — Matto come un cavallo. Più matto di chiunque altro in città. Ma intanto posso dirvi io dove andare.
— Dove? — domandò Jerry.
— A sud — disse lei con fermezza. — Dove mio figlio lavorava. — Si stirò la gonna sulle ginocchia. — Il mio nome, se vi interessa, è Ulam. April Ulam.
— John — si presentò lui, imbarazzato, stringendole la mano. — Questo è mio fratello Jerry.
— Vedo — annuì April. — Gemelli. Questo ha un significato, suppongo.
Jerry cominciò a ridere, e dopo un po’ gli si riempirono gli occhi di lacrime. Se le asciugò con il dorso della mano, ancora sporco di poltiglia marroncina secca. — A sud, signora?
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