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Robert Heinlein: Fanteria dello spazio

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Robert Heinlein Fanteria dello spazio

Fanteria dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Dalle prime invasioni di H. G. Wells, il tema della guerra contro i «mostri» di mondi lontani è stato spesso trattato dagli scrittori di fantascienza. Ma crediamo che questo romanzo sia senza precedenti e meriti di essere segnalato particolarmente ai lettori. Si tratta a nostro parere di una delle opere più riuscite e originali nella vastissima produzione di Robert Heinlein. La storia è raccontata in prima persona e in un linguaggio secco e pittoresco da un soldato dell’esercito terrestre, un ragazzo che scappa di casa per arruolarsi nella fanteria dello spazio (regina, a quanto pare, anche delle battaglie cosmiche), partecipa alle operazioni belliche nella Galassia, e «fa carriera» fino a meritarsi i galloni da ufficiale… Ma ciò che costituisce il mordente del libro e lo straordinario verismo, la «fedeltà» quasi cinematografica delle esperienze militari del protagonista. I sergenti cattivi, le marce le esercitazioni a fuoco, la terribile disciplina, la solidarietà fra commilitoni sono cose che molti lettori conosceranno per averle provate di persona. Ma qui anche la «tuta potenziata» l’arma tuttofare della fanteria spaziale, anche i lanci dall’astronave, i rastrellamenti a «saltamontone», le offensive contro i «pelleossa» e i «ragni» dei pianeti nemici sono descritti con una bravura da grande documentarista. Ed è l’apparenza realistica di queste avventure di guerra a renderle più persuasive e soprattutto più drammatiche e avvincenti. Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1960.

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Uffa! Il signor Dubois al corso di storia e filosofia morale aveva analizzato il giuramento frase per frase e ce l’aveva fatto studiare, ma uno si rende conto di quanto è lungo solo quando se lo sente piovere addosso tutto d’un fiato, pesante e inarrestabile come il rimorchio di un autotreno.

Dopo avere pronunciato il giuramento, mi resi conto di non essere più un civile, con la camicia su misura e la testa libera. Non sapevo ancora bene che cosa fossi, ma almeno sapevo che cosa non ero.

— E che il cielo ci assista! — terminammo insieme. Carl si fece il segno della croce e la testimone carina lo imitò.

Dopodiché tutti e cinque mettemmo altre firme e impronte digitali, poi a Carl e a me vennero scattate sul posto inespressive fotografie a colori che furono stampate a rilievo sui nostri documenti. Alla fine il sergente rialzò la testa dalle carte. — Ehi, è quasi terminato l’intervallo per la colazione. È tempo di mettere qualcosa sotto i denti, ragazzi.

Deglutii a fatica. — Ehm… sergente…

— Che cosa c’è? Sputa.

— Posso mandare un messaggio ai miei genitori da qui? Per dire loro come… per dire loro come è andata?

— Puoi fare di meglio.

— Cioè?

— Puoi andartene a casa con quarantott’ore di permesso. — Sorrise, gelido. — Lo sai che cosa succede se non torni?

— La corte marziale?

— Nemmeno per sogno. Non succede niente. Salvo che sui tuoi documenti viene apposto il timbro SERVIZIO COMPLETATO IN MODO INSODDISFACENTE e non ti sarà offerta la possibilità di rientrare mai più. Mai più, capito? Durante queste quarantott’ore ci leviamo di dosso gli eterni bambocci che non conoscono il valore di una decisione formale e non avrebbero mai dovuto prestare giuramento. Serve a far risparmiare soldi al governo e un sacco di dispiaceri a quei ragazzi e ai loro genitori… i vicini non c’è bisogno che ne siano informati. Del resto, non avresti bisogno di dirlo nemmeno ai tuoi. — Scostò la sedia dalla scrivania. — Perciò, ci vediamo a mezzogiorno di dopodomani. Se ci vediamo. Ritirate pure i vostri effetti personali.

Furono quarantott’ore d’inferno. Papà mi fece una scenata, dopodiché non mi rivolse più la parola. Mamma si mise a letto con l’emicrania. Quando finalmente me ne andai, un’ora prima del necessario, nessuno mi salutò, tranne la cuoca e i ragazzi delle pulizie.

Mi fermai davanti al tavolo del sergente addetto al reclutamento, mi chiesi come dovevo salutare e mi accorsi di non saperlo. Lui mi vide. — Ehilà! Ecco le tue carte. Portale alla stanza duecentouno, penseranno loro a dirti che cosa devi fare. Bussa ed entra.

Due giorni dopo sapevo che non avrei fatto il pilota. Alcune note che gli esaminatori scrissero sul mio conto erano:

INTUIZIONE DELLE RELAZIONI SPAZIALI: insufficiente

DISPOSIZIONE PER LA MATEMATÌCA: insufficiente

PREPARAZIONE MATEMATICA: insufficiente

TEMPO DI REAZIONE: buono

VISTA: ottima

Per fortuna c’erano le ultime due note! Cominciavo a pensare che la mia unica specialità fosse quella di contare sulle dita.

L’ufficiale addetto allo smistamento mi fece elencare le altre mie preferenze in ordine decrescente, e mi trovai impelagato per altri quattro giorni nei più bizzarri test attitudinali che si possano immaginare. Mi chiedo, per esempio, che cosa si possa scoprire grazie a una stenografa che salta in piedi sulla sedia strillando: “Un serpente!” Non c’era nessun serpente, ma solo un innocente tubo di plastica.

Scritti o orali, quegli esami erano tutti più o meno stupidi, ma loro sembravano assegnare a essi una grande importanza, così li feci. Il compito che svolsi con più attenzione fu elencare le mie preferenze. Naturalmente cominciai con tutte le attività che riguardavano la Marina spaziale (diverse dal pilota). Mi avessero fatto fare il cuoco o il tecnico elettronico, poco importava, purché si fosse trattato della Marina e non dell’Esercito. Quello che mi interessava più di ogni altra cosa era viaggiare.

Dopo la Marina, nell’elenco indicai lo spionaggio: una spia deve spostarsi di continuo, e quindi doveva trattarsi di un’attività non troppo monotona. Mi sbagliavo, ma non importa. La lista era ancora lunga: psicologia bellica, biologia bellica, ecologia del combattimento (ignoravo che cosa fosse, ma suonava bene), corpi logistici (un errore da parte mia: avevo studiato logica con il gruppo di discussione, e credevo che la logistica fosse qualcosa di analogo, invece aveva un significato completamente diverso) e tante altre specializzazioni. Proprio in fondo, dopo qualche esitazione, aggiunsi anche i corpi K9 e la Fanteria spaziale mobile.

Non mi diedi nemmeno la pena di elencare i vari corpi ausiliari non combattenti. Se come combattente venivo respinto, non m’importava affatto che mi usassero come cavia umana o mi assegnassero ai lavori per rendere abitabile Venere, qualunque cosa sarebbe stata come un premio di consolazione per essermi classificato ultimo.

Il signor Weiss, l’ufficiale di smistamento, mi mandò a chiamare una settimana dopo che avevo prestato giuramento. Weiss era un maggiore in congedo, specialista di psicologia bellica. Aveva fatto domanda per restare in servizio effettivo, ma vestiva abiti civili e voleva essere chiamato solo “signore”. Con lui si poteva chiacchierare tranquillamente, senza imbarazzo.

Aveva davanti la lista delle mie preferenze e i rapporti di tutti gli esami, e vidi che tra l’altro disponeva anche del mio diploma di maturità, cosa che mi fece piacere, perché a scuola ero sempre stato bravo; avevo studiato quanto bastava per fare bella figura senza passare per un secchione, non ero mai stato bocciato in nessuna materia e mi ero ritirato solo da un corso, inoltre mi ero sempre distinto nelle attività collaterali: facevo parte della squadra di nuoto, del gruppo di discussione, della squadra di atletica, ero tesoriere di classe e presidente di un comitato studentesco, avevo vinto la medaglia d’argento al concorso annuale di prosa e altre cose del genere. Mica male, tutto sommato. E ciò figurava sul mio diploma.

Quando entrai Weiss alzò la testa e disse: — Siediti Johnnie. — Poi tornò ad analizzare il diploma. Finalmente lo mise giù. — Ti piacciono i cani? — mi chiese.

— Eh? Sì, certo, signore.

— Fino a che punto ti piacciono? Permetti al tuo cane di dormire nel letto con te? A proposito, dov’è adesso il tuo cane?

— Ecco, al momento non possiedo un cane. Ma quando l’avevo… Insomma, non dormiva nel mio letto. Vedete, mia madre non permette che i cani vivano in casa.

— Ma tu non lo facevi entrare di nascosto?

— Mmm… — Pensai di provare a spiegargli che la mamma non si arrabbia, ma resta terribilmente-terribilmente-addolorata quando si cerca di non rispettare qualche sua decisione. Alla fine, però, rinunciai. — No, signore — risposi.

— Capisco. Hai mai visto un neocane?

— Una volta, signore. Ne hanno mostrati alcuni esemplari al teatro MacArthur due anni fa. Ma la SPCA provocò molti problemi a causa dei neocani.

— Lascia che ti spieghi che cos’è un’unità K9. Un neocane non è soltanto un cane che parla.

— Tra l’altro, non capivo niente di ciò che diceva quel neocane al MacArthur. Parlano sul serio?

— Parlano, sì. Solo che bisogna abituare l’orecchio al tipico accento. La loro bocca non può pronunciare la b, la m, la p e la v e perciò bisogna abituarsi ai loro equivalenti. È un po’ come un difetto di pronuncia, che altera alcune lettere. Comunque sia, il loro linguaggio è chiaro quanto quello umano. Ma un neocane non è un cane parlante, non è nemmeno un cane, è un simbionte mutato artificialmente e derivato dalla specie canina. Un neocane, un caleb addestrato, è sei volte più intelligente di un cane, diciamo che è intelligente come un deficiente umano, salvo che il paragone è ingiusto per il neocane. Un deficiente è un minorato, mentre un neocane è un genio della sua specie. — Il signor Weiss si accigliò. — Sempre che, naturalmente, viva in simbiosi. Qui sta il punto. Mmmm… tu sei troppo giovane per essere sposato, ma hai già visto dei matrimoni, perlomeno quello dei tuoi genitori. Riesci a immaginarti di essere sposato con un caleb?

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