Di lì a poco ci fu l’esame di maturità e tre giorni dopo il mio compleanno, seguito a meno di una settimana da quello di Carl… e ancora non avevo detto al mio amico che non mi sarei arruolato. Naturalmente lui l’aveva capito da sé, ma non ne avevamo discusso apertamente. Era troppo imbarazzante. Così, mi limitai a combinare un appuntamento con lui per il giorno seguente al suo compleanno e andammo insieme all’ufficio di reclutamento.
Sugli scalini del Palazzo federale incontrammo Carmencita Ibañez, una nostra compagna di classe e una delle più deliziose rappresentanti del suo sesso. Carmen non era la mia ragazza. In realtà, non era la ragazza di nessuno, dato che non usciva mai due volte di fila con lo stesso ragazzo e ci trattava tutti con la stessa gentilezza un po’ impersonale. Io, però, la conoscevo bene: veniva spesso a nuotare nella nostra piscina olimpionica. A volte ci veniva insieme a un compagno, a volte insieme a un altro. A volte, su insistenza di mia madre, veniva da sola. Mia madre diceva che Carmencita esercitava un’ottima influenza. Una volta tanto, aveva ragione.
Carmencita ci vide e ci aspettò, sorridendo. — Ehi, ragazzi!
— Salve, Occhi belli - dissi. — Che cosa ci fai da queste parti?
— Non lo immagini? Oggi è il mio compleanno.
— Davvero? Cento di questi giorni.
— E così vengo ad arruolarmi.
— Oh… — Credo che Carl fosse sorpreso quanto me.
Ma Carmencita era fatta così: non era una chiacchierona e sapeva tenere per sé i fatti suoi. — Dici sul serio? — aggiunsi con aria idiota.
— Perché dovrei scherzare? Voglio fare il pilota spaziale… o, almeno, intendo provarci.
— Non vedo perché non dovresti riuscirci — disse subito Carl. Aveva ragione, anzi adesso so che aveva ragione da vendere. Carmen era piccola e minuta, con un’ottima salute fisica e riflessi perfetti, campionessa di tuffi e bravissima in matematica. Io me l’ero cavata con un sette in algebra e un sei in matematica finanziaria; lei aveva frequentato tutti i corsi di matematica che la nostra scuola offriva e, oltre a quelli obbligatori, aveva seguito corsi di perfezionamento. Ma non mi era mai venuto in mente di chiedermi perché lo facesse. La verità era che Carmencita era così bella che nessuno pensava potesse anche avere un cervello.
— Anche noi… cioè, anch’io sono qui per arruolarmi — disse Carl.
— Lo stesso vale per me — dissi io. In realtà, non avevo ancora deciso, ma la mia bocca parlò per conto suo.
— Magnifico!
— Chiederò anch’io di diventare pilota spaziale — proseguii in tono fiero. Carmencita non si mise a ridere. Disse invece con grande serietà: — Che bellezza! Magari durante l’addestramento incapperemo uno nell’altro. Lo spero.
— Alludi a un’eventuale collisione? — disse Carl. — Non sarebbe il modo migliore di diventare pilota.
— Non essere sciocco, Carl. Parlavo di un incontro a terra. Anche tu vuoi diventare pilota?
— Io? No — disse Carl. — Non ho la stoffa del camionista. Opterei per la Ricerca e sviluppo in campo astronomico, se mi accettano. Vorrei occuparmi di elettronica.
— Capirai! Così magari ti spediscono a congelare su Plutone. Sto scherzando. Ti dico invece “in bocca al lupo”. Allora, ci decidiamo a entrare?
Il centro di reclutamento era nell’atrio, una specie di chiosco, separato dalla sala da una ringhiera. Alla scrivania sedeva un sergente con una vistosissima uniforme da parata e il petto ricoperto di nastrini che per me non significavano niente. Il braccio destro gli era stato portato via talmente di netto che la giacca era stata confezionata senza manica. Inoltre, avvicinandosi alla ringhiera, si poteva vedere che non aveva le gambe.
La cosa non pareva avvilirlo. Carl disse: — Buongiorno. Voglio arruolarmi.
— Anch’io — feci eco.
Lui ci ignorò. Dalla sua sedia accennò una specie di inchino e disse: — Buongiorno, signorina. In che cosa posso esserle utile?
— Voglio arruolarmi anch’io.
Lui sorrise. — Brava ragazza. Vada nella stanza due zero uno e chieda del maggiore Rojos. Si occuperà di lei. — La guardò dalla testa ai piedi. — Pilota? — chiese.
— Se è possibile…
— Ne ha tutte le caratteristiche. Bene, vada dalla signorina Rojos.
Con un ringraziamento al sergente e un arrivederci a noi, Carmencita se ne andò. L’uomo riportò la sua attenzione su di noi e ci studiò senza nemmeno l’ombra dell’interesse che aveva dimostrato per Carmencita. — Allora — chiese — dove volete arruolarvi? In salmeria?
— Oh, no! — protestai. — Voglio fare il pilota.
Mi fissò, poi distolse lo sguardo senza fare commenti. — E tu? — chiese a Carl.
— Vorrei entrare nel corpo di Ricerca e sviluppo — rispose Carl con aria seria. — Specializzazione elettronica, possibilmente. Mi risulta che le probabilità di essere ammessi sono abbastanza buone.
— Sono buone, se superi l’esame — ribatté severo il sergente. — Ma bisogna avere i numeri, sia come capacità sia come preparazione. Sentite, ragazzi, avete idea del perché mi tengono dietro questo tavolo?
Io non capii la domanda. Carl chiese: — Perché?
— Perché il governo se ne infischia che voi vi arruoliate o no. Perché è diventata una moda, per certa, troppa, gente, fare una ferma, guadagnarsi il diritto di voto e appiccicarsi un nastrino all’occhiello per darsi le arie del veterano, magari senza avere mai partecipato a un combattimento. Ma se voi siete decisi ad arruolarvi e io non riesco a dissuadervi, allora dobbiamo prendervi, perché è un vostro diritto costituzionale. Tutti, maschi e femmine, hanno diritto per nascita a servire il governo e ad assumere la piena cittadinanza, ma la verità è che non sappiamo più come utilizzare i volontari in servizi che siano veramente utili. Non tutti possono essere dei veri militari e a noi non servono molti uomini. Inoltre, quelli che si presentano, nella maggior parte dei casi, non sono esattamente materiale di prima scelta. Avete idea di quello che occorre per essere un buon soldato?
— No — confessai.
— Molta gente crede che bastino due mani, due piedi e un cervello idiota. Può darsi, se è per farne carne da cannone. È possibilissimo che a Giulio Cesare questo bastasse. Ma, al giorno d’oggi, un soldato semplice è uno specialista talmente esperto che potrebbe considerarsi un maestro in qualsiasi altro campo. Non possiamo correre rischi con degli stupidi. Quindi, per quelli che insistono nel voler fare il servizio militare, ma non hanno la stoffa necessaria, abbiamo dovuto escogitare tutta una lista di impieghi talmente sudici, massacranti e pericolosi che se ne tornano a casa prima del tempo con la coda tra le gambe o perlomeno si ricorderanno per tutta la vita che il diritto di voto è un privilegio importante e che per ottenerlo hanno dovuto pagare un grande prezzo. Prendete la ragazza che era qui prima. Vorrebbe diventare pilota. Spero che ci riesca, abbiamo sempre bisogno di bravi piloti, non ce ne sono mai abbastanza. Forse ce la farà, ma se fallisse potrebbe finire in Antartide e i suoi begli occhi, non vedendo altro che luce artificiale, diventerebbero rossi mentre le sue mani si riempirebbero di calli per il duro e sporco lavoro.
Avrei voluto dirgli che il meno che Carmencita sarebbe potuta diventare era programmatrice di computer per l’osservazione del cielo, visto che era veramente geniale in matematica. Ma l’uomo stava proseguendo con il suo discorso.
— Perciò, mi mettono seduto qui, per scoraggiarvi. Guardate. — E fece ruotare un poco la sedia girevole affinché vedessimo bene che era senza gambe. — Poniamo che non finiate a scavare gallerie sulla Luna né a fare da cavie per nuove cure contro le malattie, non potendo servire ad altro. Facciamo l’ipotesi che da voi si possano effettivamente ricavare due combattenti. Guardate me. Ecco che cosa può capitarvi, se non ci restate del tutto e procurate ai vostri genitori un bel telegramma di condoglianze. Il che è molto più probabile, perché di questi tempi, sia durante l’addestramento sia in combattimento, sono pochi quelli che restano solo feriti. È più probabile lasciarci le penne e finire in una bara. Io sono una rara eccezione. Ho avuto fortuna… ammesso che vogliate chiamarla fortuna.
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