Il volto sottile di Leebig si contorse. « No! »
«Addio, dottor Leebig. Mi ascolteranno altri.»
«Aspetti. Grande galassia, uomo, aspetti!»
«Ci vediamo?»
Le mani del robotista cominciarono a sollevarsi errando verso l'alto per rimanere alzate all'altezza del mento Lentamente un pollice s'insinuò nella bocca e rimase là Il solariano fissava Baley del tutto privo d'espressione.
Baley pensò: che stia regredendo a uno stadio anteriore ai suoi cinque anni per legittimare con se stesso il fatto di vedermi?
«Ci vediamo?» ripeté.
Ma Leebig scosse lentamente il capo. «Non posso, non posso» si lamentò, con le parole ancora confuse dal pollice che le bloccava. «Faccia quello che vuole.»
Baley lo fissava e lo osservò voltarsi con la faccia contro il muro. Osservava la schiena dritta del solariano che si curvava e il suo volto che veniva nascosto da mani tremanti.
«Va bene, allora» concesse Baley. «D'accordo per visionarci.»
Ancora voltato Leebig disse: «Mi scusi un istante. Torno subito».
Baley approfittò dell'intervallo per risistemarsi un po'. Fissava il suo volto lavato di fresco nello specchio del bagno. Stava entrando nello spirito di Solaria e dei solariani? Non ne era affatto sicuro.
Sospirò, premette un interruttore e apparve un robot. Non si voltò a guardarlo. «Qui alla fattoria c'è un altro parlatorio, oltre a quello che sto usando io?» chiese.
«Ce ne sono altri tre, padrone.»
«Allora di' a Klorissa Cantore. Di' alla tua padrona che io userò questo fino a nuovo ordine e che non voglio essere disturbato.»
«Sì, padrone.»
Baley tornò al punto in cui la visione rimaneva focalizzata sulla porzione vuota di stanza in cui era stato Leebig. Era ancora vuota ed egli si accinse ad aspettare.
Non ci volle molto. Leebig entrò nella stanza, che ancora una volta cominciò a spostarsi ondeggiando leggermente man mano che il solariano camminava. Evidentemente la focalizzazione era predisposta per passare senza indugio dal centro della stanza all'uomo. Baley ricordò la complessità dei comandi della visione e cominciò a provare un certo apprezzamento per quello che sottintendeva.
Ora Leebig era del tutto padrone di sé, si sarebbe detto. Si era pettinato e cambiato d'abito. Ne indossava uno largo, fatto di un materiale che scintillava e mandava barbagli. Sedette su una sedia leggera che aveva accostato al muro.
Disse calmo: «Allora, che cos'è questa sua storia sulla Prima Legge?».
«Ci possono sentire?»
«No, me ne sono preso cura.»
Baley annuì. «Lasci che le citi la Prima Legge» disse.
«Non ne ho un gran bisogno.»
«Lo so, ma lasci comunque che gliela citi lo stesso: un robot non può recar danno a un essere umano, o permettere che, per il suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.»
«Be'?»
«Ora, quando sono atterrato su Solaria sono stato portato alla tenuta assegnatami con un veicolo chiuso, in modo da proteggermi dall'esposizione allo spazio aperto. Come terrestre…»
«Lo so, lo so» tagliò corto Leebig con impazienza. «E questo che cosa ha a che fare con l'argomento?»
«Il robot che guidava l'auto non lo sapeva. Chiesi che aprisse la macchina e lui mi ubbidì subito. Seconda Legge. Devono eseguire gli ordini. Io ero molto a disagio, naturalmente, e prima che la macchina fosse richiusa ho quasi avuto un collasso. Non mi hanno forse danneggiato, i robot?»
«Dietro suo ordine» scattò Leebig.
«Allora le cito la Seconda Legge: un robot deve ubbidire agli ordini degli esseri umani, tranne quando tali ordini siano in conflitto con la Prima Legge. Così, come vede, i miei ordini avrebbero dovuto essere ignorati.»
«Questa è un'assurdità. Al robot mancava la conoscenza…»
Baley si chinò in avanti. «Ah-ah, ecco il punto. Ora recitiamo la Prima Legge come avrebbe dovuto essere formulata: un robot non può far nulla che, a sua conoscenza , possa arrecar danno a un essere umano, né può consapevolmente permettere, a causa del proprio mancato intervento, che un essere umano riceva danno.»
«Tutto questo è sottinteso.»
«Non dall'uomo comune. Altrimenti l'uomo comune si renderebbe conto che un robot potrebbe commettere un omicidio.»
Leebig era bianco. «Pazzia! Follia!»
Baley si fissava i polpastrelli. «Un robot può eseguire un compito innocente, immagino; uno che non abbia effetti dannosi su un essere umano?»
«Se gli è stato ordinato così» disse Leebig.
«Sì, naturalmente. Se gli è stato ordinato così. E anche un secondo robot può eseguire un compito innocente, immagino: uno che anch'esso non abbia effetti dannosi su un essere umano? Se gli è stato ordinato così?»
«Sì.»
«E se i due compiti innocenti, ciascuno dei quali è completamente innocente, completamente, portano a un omicidio quando sono sommati insieme?»
«Cosa?» Il volto di Leebig si restrinse in un cipiglio unico.
«Sulla questione voglio la sua opinione di esperto» proseguì Baley. «Le sottopongo un caso ipotetico. Supponiamo che un uomo dica a un robot: “Metti una piccola quantità di questo liquido nel bicchiere di latte che troverai nel tale posto. Il liquido è innocuo. Voglio solo sapere che effetto fa nel latte. Una volta saputo l'effetto, la miscela sarà gettata via. Quando avrai eseguito questa azione, ti dimenticherai di averla eseguita”.»
Ancora corrucciato, Leebig non disse nulla.
«Se avessi detto al robot» proseguì il terrestre «di aggiungere al latte un misterioso liquido e di offrirlo a un uomo, la Prima Legge lo avrebbe spinto a chiedersi: “Qual è la natura del liquido? Può danneggiare un essere umano?” e se anche gli venisse assicurato che il liquido è innocuo la Prima Legge potrebbe far esitare ancora il robot e fargli rifiutare di offrire il latte. Invece, se gli viene detto che il latte verrà gettato via, la Prima Legge non entra in azione. Non farà forse il robot come gli è stato detto?»
Leebig continuava a fissarlo.
«Ora,» disse Baley «un secondo robot ha versato il latte, senza sapere che questo è stato adulterato. In tutta innocenza offre il latte a un uomo e l'uomo muore.»
Leebig gridò: « No! ».
«Perché no? Di per se stesse tutte e due le azioni sono innocenti. Soltanto abbinate diventano un omicidio. Lei nega che questo tipo di cosa possa accadere?»
«L'assassino sarebbe l'uomo che ha dato l'ordine» gridò Leebig.
«Se vuol essere filosofico, sì. Però i robot sarebbero stati gli omicidi diretti, gli strumenti del delitto.»
«Nessun uomo darebbe simili ordini.»
«Un uomo sì. E l'ha fatto. È stato esattamente in questo modo che è stato effettuato il tentato omicidio del dottor Gruer. Ne ha sentito parlare, immagino.»
«Su Solaria» borbottò Leebig «uno viene a sapere tutto.»
«Allora sa che Gruer è stato avvelenato alla propria tavola, davanti agli occhi miei e del mio collega, mister Olivaw di Aurora. Può suggerire un altro modo in cui il veleno possa essere giunto fino a lui? Nella tenuta non c'era nessun altro essere umano. Come solariano dovrebbe dare molto peso a questo particolare.»
«Non sono un detective e non ho teorie.»
«Gliene ho appena presentata una. Voglio sapere se è possibile. Voglio sapere se due robot non possono eseguire due azioni separate, ciascuna delle quali innocenti di per se stessa, ma che messe insieme determinino un omicidio. L'esperto è lei, dottor Leebig. È possibile ?»
E, ossessionato e tormentato, Leebig rispose: «Sì» con una voce così bassa che Baley quasi non la udì.
«Molto bene, allora» concluse Baley. «E la Prima Legge è sistemata.»
Leebig lo fissava con la palpebra cadente che ogni tanto batteva in un lento tic. Le sue mani, avvinghiate l'una all'altra, si separarono, anche se le dita mantenevano la forma artigliata come se fossero ancora ripiegate dentro una mano fantasma fatta d'aria. Appoggiò le mani con le palme in su sulle ginocchia, e solo allora le dita cominciarono a rilassarsi.
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