Isaac Asimov - Il sole nudo

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Il Sole Nudo Ancora una volta un caso da risolvere.
Ancora una volta Uomo e Robot assieme.
Naturalmente, ancora una volta Baley e Olivaw.
E ricomincia il sottile duello tra uomo e robot, tra istinto e ragione. Un argomento che molti tratterebbero con superficiale banalità , ma che nella penna di Asimov raggiunge livelli di incredibile meraviglia.
Sarà  l’uomo a piegarsi alla razionalità  del robot, oppure R. Daneel Olivaw comprenderà  i meccanismi illogici del cervello umano?
Ancora una meravigliosa avventura che lascerà  il lettore estasiato.
La coppia più riuscita di tutta la letteratura di fantascienza.
Ancora una perla del geniale
Isaac Asimov.
Un romanzo degno del precedente (
) e un preludio eccellente al meraviglioso seguito:
.

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«Presenza personale» confermò lui grave.

Gli occhi le si spalancarono mentre scavava con le dita nella plastica morbida dei braccioli. «C'è qualche motivo per questo?»

«È necessario.»

«Non credo…»

«Me lo permetti?»

Lei guardò altrove. «È proprio assolutamente necessario?»

«Sì. Prima però devo vedere qualcun altro. Tuo marito si interessava ai robot. Me l'hai detto tu, e l'ho sentito anche da altre fonti. Ma non era un robotista, no?»

«Non era il suo campo, Elijah.» Evitava ancora i suoi occhi.

«Ma lavorava con un robotista, no?»

«Jothan Leebig» confermò lei. «Un buon amico mio.»

«Davvero?» chiese Baley con energia.

Gladia sembrò sorpresa. «Non avrei dovuto dirlo?»

«Perché no, se è la verità?»

«Ho sempre paura di dire cose che mi facciano sembrare come se… Tu non sai com'è, quando tutti sono convinti che tu hai fatto qualcosa.»

«Rilassati. Come mai quel Leebig è amico tuo?»

«Oh, non saprei. Sta nella tenuta vicina, per incominciare. L'energia necessaria a visionare è quindi ridotta praticamente a zero, sicché possiamo visionarci in continuazione in moto libero, senza inconvenienti. Facciamo un sacco di passeggiate insieme; o comunque le facevamo.»

«Non capisco come tu possa andare a far passeggiate con qualcuno.»

Gladia arrossì. «Ho detto visionarci. Oh be', continuo a dimenticarmi che sei un terrestre. Visionarci in moto libero significa che veniamo messi a fuoco in modo da andare dove vogliamo senza perdere il contatto. Io passeggio nella mia tenuta, lui nella sua, e così stiamo insieme.» Alzò il mento. «Può essere piacevole.»

Poi ridacchiò improvvisamente. «Povero Jothan.»

«Perché dici così?»

«Pensavo a te che credevi che passeggiassimo insieme senza visionarci. Morirebbe, se pensasse che qualcuno possa crederlo.»

«Perché?»

«Da questo punto di vista è tremendo. Mi ha detto che quando aveva cinque anni ha smesso di vedere gente. Insisteva per visionare soltanto. Ci sono dei bambini così. Rikaine,» si fermò un istante confusa per poi riprendere «Rikaine, mio marito, una volta che parlavo di Jothan, mi ha detto che in futuro ci sarebbero stati sempre più bambini così. Diceva che era una specie di evoluzione sociale che favoriva la sopravvivenza di coloro più portati a visionare. Lo pensi anche tu?»

«Non ho l'autorevolezza» rispose Baley.

«Jothan non si è nemmeno sposato. Rikaine era seccato con lui, gli diceva che era antisociale e che lui possedeva dei geni che erano necessari al patrimonio comune, ma Jothan si limitava a rifiutarsi di considerare la cosa.»

«Aveva il diritto di rifiutarsi?»

«No-o,» disse esitando Gladia «ma è un robotista molto brillante, sai, e su Solaria i robotisti sono considerati di valore. Immagino che abbiano chiuso un occhio. Soltanto, credo che Rikaine stesse per smettere di lavorare con Jothan. Una volta mi ha detto che Jothan era un cattivo solariano.»

«L'ha detto anche a Jothan?»

«Non lo so. Ha lavorato con Jothan fino alla fine.»

«Ma pensava che Jothan fosse un cattivo solariano perché rifiutava di sposarsi?»

«Rikaine una volta ha detto che il matrimonio è la cosa più dura della vita, ma che doveva essere sopportata.»

«Che cosa ne pensi?»

«A proposito di che, Elijah?»

«Sul matrimonio. Pensi anche tu che sia la cosa più dura della vita?»

Lentamente il volto le divenne inespressivo come se lei ne lavasse via meticolosamente le emozioni. «Non ci ho mai pensato» rispose.

«Hai detto che vai continuamente a far passeggiate con Jothan Leebig, poi ti sei corretta e ti sei espressa al passato. Vai ancora a far passeggiate con lui, eh?»

Gladia scosse il capo. Il volto tornò ad essere espressivo. Tristezza. «No. Sembra di no. L'ho visionato una volta o due. Sembrava sempre occupato e non mi piaceva di… Sai com'è.»

«E questo è accaduto dopo la morte di tuo marito?»

«No, anche un po' di tempo prima. Parecchi mesi prima.»

«Pensi che il dottor Delmarre gli abbia ordinato di non prestarti più attenzione?»

Gladia sembrò sorpresa. «E perché avrebbe dovuto? Jothan non è un robot, e neanch'io. Come possiamo ricevere ordini, e perché Rikaine avrebbe dovuto darli?»

Baley non si diede la pena di cercare di spiegare. Avrebbe potuto farlo solo in termini terrestri e questo non avrebbe reso le cose più chiare alla ragazza. E se avesse cercato di chiarirle, il risultato avrebbe potuto risultarle disgustoso.

«Ancora una domanda» proseguì. «Quando avrò finito con Leebig ti visionerò ancora. Che ore sono lì?» Gli dispiacque immediatamente di aver posto questa domanda. I robot avrebbero risposto con equivalenti terrestri, ma Gladia avrebbe potuto rispondere in unità solariane e Baley era stanco di sfoggiare la sua ignoranza.

Ma Gladia rispose in semplici termini qualitativi. «È pomeriggio inoltrato» disse.

«Allora è così anche nella tenuta di Leebig?»

«Oh, sì.»

«Bene. Ti visionerò ancora, così potremo metterci d'accordo per vederci.»

Lei tornò ad essere esitante. «Ma è proprio assolutamente necessario?»

«Sì.»

«Molto bene» disse lei a voce bassa.

Ci fu un po' di ritardo nell'entrare in contatto con Leebig, e Baley lo utilizzò mangiando un altro sandwich, che gli era stato portato nella confezione originale. Ma lui aveva incominciato a stare più attento. Prima di romperlo ispezionò accuratamente il sigillo, e poi esaminò meticolosamente il contenuto.

Accettò anche un contenitore plastico di latte, non molto gelato. Praticò un'apertura con i denti e bevve direttamente da questa. Pensò tetro che ci sono cose come lenti veleni inodori e insapori che si possono introdurre delicatamente con una siringa ipodermica o con getti ad alta pressione, ma mise da parte come infantile questa idea.

Fino a quel momento omicidi e tentati omicidi erano stati commessi nel modo più diretto possibile. Non c'era nulla di delicato o sottile nel dare un colpo su una testa, nel mettere in un bicchiere un veleno capace di uccidere uomini a decine o nell'avvelenare una freccia tirata apertamente sulla vittima.

E poi pensò, un po' meno tetramente, ma solo un po', che finché saltava in questo modo da un fuso orario all'altro, sarebbe stato piuttosto improbabile che facesse pasti regolari. O, se avesse continuato così, dei sonni regolari.

Gli si avvicinò il robot. «Il dottor Leebig le ordina di chiamarlo domani mattina. È occupato in un lavoro importante.»

Baley balzò in piedi e ruggì: «Di' a quel…».

Si bloccò. Era inutile urlare a un robot. Cioè uno poteva anche urlare, se gli girava, ma avrebbe ottenuto gli stessi risultati con un sospiro.

Disse in tono colloquiale: «Di' al dottor Leebig, o al suo robot, se è questo soltanto che hai raggiunto finora, che sto investigando sull'omicidio di un suo conoscente intimo, buon solariano. Digli che non posso aspettare il suo lavoro. Digli che, se non lo visiono entro cinque minuti, salgo in aereo ed entro un'ora piombo nella sua tenuta a vederlo. Usa proprio questa parola, vederlo, in modo che non ci siano errori». Ritornò al suo sandwich.

I cinque minuti non erano ancora passati che Leebig, o almeno un solariano che Baley presumette essere Leebig, lo stava fissando.

Baley ricambiò lo sguardo. Leebig era un uomo magro che si teneva rigidamente eretto. I suoi occhi, scuri e sporgenti, avevano uno sguardo d'intensa astrazione che ora si combinava con l'ira. Una delle palpebre era un po' cadente.

«È lei il terrestre?» disse.

«Elijah Baley,» disse Baley «agente in borghese C-7, incaricato del caso di omicidio del dottor Rikaine Delmarre. Lei come si chiama?»

«Sono il dottor Jothan Leebig. Cosa le fa pensare di potersi intromettere nella mia attività?»

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