Farr frenò a stento una risata. — Vivo? Ma se ha messo foglie e radici. È già spuntato il primo baccello. Ho una casa piantata in testa.
— È proprietà iszica — dichiarò brusco Omon Bozhd. — Esigo che ci sia restituita.
— È mia — intervenne K. Penche. — L’ho pagata.
— È mia — aggiunse Farr.
— Di chi è la testa su cui cresce?
Kirdy scrollò il capo. — Sarà meglio che veniate con me.
— Non seguirò nessuno, a meno che mi arrestiate — rispose Penche, con solenne dignità. E, indicando gli Iszici: — Vi ho intimato di arrestarli Mi hanno distrutto la casa.
— Venite tutti — concluse Kirdy.
Omon Bozhd si erse in tutta la sua statura, guardò Farr, allungò una mano all’interno del manto, e la ritrasse impugnando una pistola a raggi.
Farr si gettò prontamente a terra. Il raggio gli passò alto sopra la testa, mentre dalla pistola a dito di Penche scaturiva una fiammata azzurra. Omon Bozhd, avvolto in un’aureola di fiamme azzurre, continuò a sparare anche quando ormai stava per cadere privo di vita. Farr rotolò ancora sul prato. Gli altri due Iszici, ignorando le pistole dei poliziotti, avevano incominciato anche loro a sparare, e continuarono finché le fiamme azzurre non li ebbero distrutti. Una vampata colpì Farr a una gamba, immobilizzandolo.
— E adesso — commentò soddisfatto Penche — mi prenderò cura di Farr.
— State lontano da me!
— Andateci piano, Penche — lo avvertì l’ispettore.
— Vi pago dieci milioni per il germoglio — disse Penche.
— No. Lo coltiverò io — rispose duro Farr — e regalerò i semi a chi…
— È un bel rischio, perché se è maschio non vale nulla — gli ricordò Penche.
— È femmina — affermò con certezza Farr. — Vale… — si interruppe perché era arrivato il medico che stava esaminandogli la gamba.
— … moltissimo — concluse per lui Penche. — Ma avrete delle difficoltà.
— Da parte di chi?
Arrivarono due infermieri con una barella.
— Da parte degli Iszici. Vi offro dieci milioni. Io posso correre il rischio.
La stanchezza, il dolore, lo choc nervoso, ebbero la meglio su Farr. — D’accordo… Sono nauseato di tutta la faccenda.
— È come se avessimo firmato un contratto! — esclamò Penche trionfante. — Questi signori sono testimoni.
Farr venne adagiato sulla barella. Il dottore, esaminandolo, notò il germoglio e, allungata la mano, lo strappò.
— Ahi! — si lamentò Farr.
— Che cosa avete fatto? — urlò Penche.
— Abbiate cura del vostro tesoro, Penche — mormorò Farr con un fil di voce.
— Dov’è? — gridò Penche con voce strozzata, affrontando il dottore.
— Che cosa? — fece questi stupito.
— Delle luci! Subito! — ordinò Penche.
Farr vide Penche e i suoi uomini frugare fra l’erba e i rottami alla ricerca del germoglio che il dottore aveva strappato, poi perse i sensi.
Penche andò a trovare Farr all’ospedale. — Ecco il vostro denaro — disse brusco, deponendo un assegno sul comodino. Farr lo guardò. — Dieci milioni di dollari!
— È un bel mucchio di denaro.
— Già.
— Dovete aver ritrovato il germoglio.
Penche annuì. — Era ancora vivo. Cresce… ma è maschio — riprese l’assegno, lo guardò e tornò a metterlo sul comodino. — Ho perso la scommessa.
— Le probabilità erano alla pari — gli ricordò Farr.
— Comunque, non m’importa del denaro — affermò Penche guardando dalla finestra il panorama di Los Angeles. Farr avrebbe voluto sapere a che cosa pensava.
— Fa presto a venire, fa presto ad andarsene — disse Penche, e si volse per uscire.
— E adesso? — domandò Farr. — Non siete riuscito ad avere una casa femmina e non siete più rappresentante degli Iszici.
— Su Iszm ci sono ancora molte case femmina — rispose Penche. — Ce ne sono moltissime, e io me ne procurerò qualcuna.
— Con un’altra incursione?
— Chiamatela come vi pare.
— E voi come la chiamate?
— Spedizione.
— Sono ben lieto di non averci più niente a che fare.
— Non si può mai sapere — lo ammonì Penche. — E poi, potreste anche cambiare idea.
— Quanto a questo, non contateci! — rispose Farr.
FINE