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Jack Vance: Le case di Iszm

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Jack Vance Le case di Iszm

Le case di Iszm: краткое содержание, описание и аннотация

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Che cosa darebbero gli architetti, gli urbanisti, i pianificatori, gli uomini politici per avere una delle case che si seminano, che nascono e crescono come una pianta qualsiasi? E chi avesse in esclusione i semi di una simile pianta, quale gigantesca speculazione edilizia potrebbe organizzare? Su questo tema così attuale per noi, Jack Vance ha costruito un piacevole e movimentato romanzo, in cui le straordinarie case di Iszm sono oggetto di una guerra segreta fra i desperados di mezza galassia.

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— Chi parla? — domandò.

Le parole si affollavano alla mente di Farr come bolle risalenti alla superficie dell’acqua. Erano parole che non avrebbe mai pensato di pronunciare. Riuscì a dire: — Vengo da Iszm; ce l’ho! — Farr ascoltò sbalordito la propria voce. Le parole tornarono a ripetersi: — Vengo da Iszm… — poi chiuse le labbra, e non riuscì a finire la frase.

— Ma chi è? Chi parla?

Farr allungò a fatica una mano e spense lo schermo. Si lasciò andare sulla poltrona. Che cosa gli stava succedendo? Non aveva niente per Penche, lui. Niente alludeva a una casa femmina, naturalmente. Farr poteva anche essere ingenuo, ma non fino a quel punto. Non aveva casa, né semente, né germogli, né arboscelli.

Perché desiderava tanto vedere K. Penche? Il buonsenso e la logica riuscirono ad avere il sopravvento: Penche non poteva far nulla per lui. Ma un’altra parte del suo cervello asseriva: “Penche sa di cosa si tratta, può darti dei buoni consigli…”. Be’, sì, dovette convenire Farr: quella voce forse aveva ragione.

Farr si rilassò. Il motivo era plausibile, ma d’altra parte Penche era un uomo d’affari che dipendeva dagli Iszici. Se lui doveva rivolgersi a qualcuno, doveva andare alla Squadra Speciale, non da Penche.

Rimase seduto a lungo, passandosi la mano sul mento. Be’, dopotutto che male c’era ad andare da Penche? Non era meglio togliersi quel peso dallo stomaco? Se avesse avuto un motivo valido… ma non riusciva a trovarne. Finalmente decise: non sarebbe andato da Penche.

Uscì dalla stanza, scese nell’atrio principale dell’Imperador e andò al banco per farsi cambiare un assegno. Mentre l’assegno veniva mandato in visione alla banca, era questione di pochi secondi, Farr tamburellava impaziente con le dita sul banco. Un uomo dalla faccia di rana, vicino a lui, stava discutendo con l’impiegato. Voleva affidargli un messaggio per un ospite, ma l’impiegato non voleva accettarlo. L’uomo incominciò a dar segni d’insofferenza, ma l’impiegato, chiuso nel suo gabbiotto di vetro, continuava a scrollare il capo imperturbabile, sereno per la forza che gli veniva dalle norme e dai regolamenti; pareva quasi che si divertisse.

— Se non sapete come si chiama, come potete esser sicuro che sia all’Imperador?

— So che è qui — insisté l’uomo con la faccia di rana. — Ed è molto importante che riceva il mio messaggio.

— Mi pare piuttosto strano — obiettò l’impiegato. — Non sapete che aspetto abbia, ignorate il suo nome… può anche darsi che il messaggio venga consegnato a qualcun altro.

— Questo è affar mio.

L’impiegato tornò a scrollare la testa sorridendo. — A quanto pare, sapete soltanto che è arrivato qui stamattina alle cinque. Ci sono parecchi ospiti arrivati a quell’ora.

Farr, intento a contare il denaro, ascoltava distrattamente il dialogo. Indugiò, riponendo i biglietti di banca nel portafogli, mentre lo sconosciuto asseriva: — So anche che quest’uomo è arrivato dallo spazio. Era appena sbarcato dall’ Andrei Simic. Adesso sapete di chi parlo?

Farr si allontanò senza dare nell’occhio. Aveva capito di che si trattava. Penche aveva aspettato la sua telefonata, importantissima per lui. Poi aveva rintracciato da dove era stata fatta e aveva spedito un uomo all’Imperador. Appartatosi in un angolo dell’atrio, osservò l’uomo che si allontanava scornato e rabbioso dal banco. Farr era sicuro che non avrebbe desistito; si sarebbe rivolto a qualche cameriere o fattorino e, grazie a una buona mancia, sarebbe finalmente riuscito a ottenere l’informazione.

Farr si avviò verso la porta, voltandosi a guardare indietro. Una donnetta di mezza età, scialba e di aspetto comune, gli stava venendo incontro, e quando lui la guardò in faccia, distolse lo sguardo, restando per un momento incerta. Se Farr non avesse avuto motivo di sospettare, non avrebbe notato nulla. La donna lo sorpassò rapida, salì su una passatoia mobile, e, attraverso il giardino delle orchidee dell’Imperador, uscì nel Sunset Boulevard.

Farr la seguì fra la folla finché non la perse di vista. Giunto a un posteggio di elitassì saltò sul primo e diede una destinazione a caso al conducente: Laguna Beach.

L’apparecchio si sollevò puntando verso sud.

Guardando dal finestrino posteriore, Farr vide che un altro elitassì li seguiva a un centinaio di metri.

— Voltate verso Riverside — disse al conducente.

L’elitassì inseguitore eseguì la stessa manovra.

— Scendo qui — disse allora Farr.

— A South Gate? — domandò il conducente stupito.

— Sì, South Gate. — Non era troppo lontano dall’ufficio e dalla residenza di Penche a Signal Hill, il che parve a Farr una singolare coincidenza.

Dopo esser saltato a terra, osservò l’altro elitassì che si accingeva ad atterrare. Non era molto preoccupato: sfuggire a un inseguitore era semplicissimo, addirittura puerile.

Farr seguì la freccia che indicava il più vicino condotto della sotterranea e vi si lasciò cadere. Il disco fu pronto ad accoglierlo e lo depositò vicino alla banchina. Farr chiamò una vettura e salì svelto a bordo. La sotterranea pareva creata apposta per seminare i pedinatori. Segnò sul quadrante la destinazione, poi cercò di rilassarsi sul sedile.

La vetturetta accelerò ronzando, rallentò e si fermò. Farr balzò a terra e risalì alla superficie. Rimase paralizzato dallo stupore. Che cosa ci faceva a Signal Hill? Una volta, Signal Hill era punteggiato di torri di trivellazione, adesso era un immenso giardino esotico: alberi, cespugli, siepi, fra cui emergevano superbe ville e palazzi. C’erano laghetti, cascate, e accuratissime aiuole fiorite di ibisco, di narcisi, di gardenie azzurre. I giardini pensili di Babilonia erano niente al confronto. Bel Air sfigurava, al paragone, e Topanga poteva andar bene solo per gli arricchiti.

K. Penche possedeva venti acri di terreno proprio sulla sommità di Signal Hill. Aveva disboscato il terreno, infischiandosene delle leggi e delle proteste. Ora Signal Hill era incoronata di alberi-case di Iszm: sedici varietà dei quattro tipi fondamentali che gli Iszici permettevano di esportare.

Farr si avviò lentamente verso il viale coperto che una volta si chiamava Atlantic Avenue. Davvero interessante che le coincidenze del caso l’avessero condotto proprio lì. Be’, già che c’era, poteva anche andare a far quattro chiacchiere con K. Penche…

No! protestò subito, con fermezza. Ormai aveva deciso, e non voleva permettere che un impulso irrazionale gli facesse cambiare idea. Era tuttavia strano che, in una città immensa come la Grande Los Angeles, fosse capitato proprio a due passi dall’abitazione di K. Penche! Doveva esser stato il suo subcosciente a decidere per lui.

Si guardò alle spalle e, sebbene fosse certo che nessuno poteva averlo seguito, fissò a lungo la folla dei passanti di ogni età, tipo e colore. Per esclusione, finì per prendere in considerazione un ometto vestito di grigio che gli sembrava stonato, in mezzo all’altra gente. Farr girò sui tacchi, s’infilò in un caffè ombreggiato da un ciuffo di palmizi, e uscì dalla parte opposta, nascondendosi dietro un cespuglio.

Dopo un minuto, vide l’uomo in grigio uscire dal caffè e dirigersi dalla sua parte. Farr lo affrontò senza indugio:

— Stavate cercandomi?

— Ma nemmeno per idea! — protestò l’uomo in grigio.

— Non vi ho mai visto in vita mia.

— E spero che non ci rivedremo più — rispose Farr.

Dopo pochi minuti, si trovava ancora su una vetturetta della sotterranea, e indicò sul quadrante Altadena. La vettura si mosse ronzando. Farr era perplesso e turbato: come avevano fatto a trovarlo? Attraverso il condotto della sotterranea? Gli pareva impossibile. Per maggior sicurezza, cancellò Altadena sul quadrante e indicò Pomona.

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