Questi lo seguì, e fu condotto a sua volta nella cabina di Dorristy.
Kirdy e Omon Bozhd erano seduti di fronte, e formavano un curioso contrasto: l’Iszico era pallido, austero, aquilino; l’altro, bruno, pieno di calore, spontaneo.
Rivolto a Farr, Kirdy disse: — Vorrei che ascoltaste la versione del signor Bozhd e poi mi diceste il vostro parere. — Si volse poi all’Iszico. — Vorreste esser tanto gentile di ripetere la vostra dichiarazione?
— In breve, la situazione è questa — rispose Omon Bozhd. — Prima ancora di lasciare Jhespiano, io avevo ragione di sospettare che gli Anderview progettassero di far del male a Farr Sainh. Comunicai i miei sospetti ai miei amici.
— Gli altri signori Iszici? — domandò Kirdy.
— Esattamente. Con il loro aiuto, installai una cellula d’ispezione nella cabina degli Anderview, e scoprii che i miei sospetti erano fondati. Quando tornarono nella loro cabina, vennero assassinati, e io, dalla mia, assistetti al fatto. Naturalmente, Farr Sainh non c’entra per nulla. Era, ed è, del tutto innocente. Cionondimeno, mi parve più prudente toglierlo di mezzo per il resto del viaggio, allo scopo di evitargli altri pericoli, e perciò lo accusai falsamente. Farr Sainh, com’è logico, rifiutò di accettare il mio punto di vista, anzi mi prevenne. La mia accusa non aveva persuaso il capitano Dorristy, e io la ritirai.
— Cosa avete da dire in proposito, signor Farr? — domandò l’ispettore. — Siete ancora convinto che il signor Bozhd sia l’assassino?
Farr dominava a stento l’ira. — No — disse fra i denti. — La sua storia è talmente fantastica che forse è vera. Ma perché non parlate? — domandò a Omon Bozhd. — Avete detto di aver visto tutto. Chi è l’assassino?
— Ho esaminato le vostre leggi di procedura criminale — replicò l’Iszico agitando l’occhialetto. — Le mie accuse non potrebbero avere molto valore. Le autorità vorrebbero prove più concrete. E queste prove esistono. Quando le avrete trovate, la mia testimonianza non sarà più necessaria o, tutt’al più, sarà solo marginale.
— Prendete impronte del respiro, del sudore e della pelle a tutti i passeggeri — ordinò Kirdy a un agente.
Dopo che gli furono portate le impronte richieste, Kirdy tornò nel salone e disse ai passeggeri: — Vi interrogherò tutti uno a uno. Coloro che lo desiderano potranno rispondere con un cefaloscopio, e in tal modo le loro risposte avranno maggior valore. Vi ricordo che la prova del cefaloscopio non può essere addotta in tribunale per provare la colpevolezza di un individuo, ma solo per attestarne l’innocenza. Alla peggio, il cefaloscopio non riuscirà a eliminarvi dall’elenco dei sospetti. Vi ricordo inoltre che il rifiuto di usare il cefaloscopio è non solo un privilegio, ma un diritto, anche se è considerato da molti un dovere morale. Perciò chi lo rifiuta non incorre in alcuna sanzione: sta a voi accettarlo o rifiutarlo.
Gli interrogatori durarono tre ore. I primi a essere chiamati furono gli Iszici, che, dopo l’interrogatorio, tornarono nella sala con l’identica seccata espressione di prima. Poi fu la volta dei Codaini, quindi dei Monagi, poi degli altri extraterrestri, e infine toccò a Farr.
Indicandogli il cefaloscopio, Kirdy disse: — Servitevene, se volete.
Farr era di cattivo umore. — No. Disprezzo questi sistemi. O accettate la mia testimonianza così com’è, o fatene pure a meno.
— Come volete, signor Farr. — Dopo aver consultato i suoi appunti, l’ispettore domandò: — Avevate conosciuto gli Anderview a Jhespiano, su Iszm?
— Sì — e Farr spiegò le circostanze.
— Prima non li avevate mai visti?
— Mai.
— Ho saputo che durante la vostra permanenza su Iszm avete assistito a un tentativo di furto d’alberi.
Farr descrisse gli avvenimenti, e le successive avventure. Kirdy gli pose ancora qualche domanda lasciandolo poi libero.
Anche gli altri Terrestri furono interrogati, finché non rimase che Paul Bengston, il tecnico sanitario. Riaccompagnando nel salone gli studenti che aveva appena finito d’interrogare, Kirdy disse: — Finora né il cefaloscopio né gli interrogatori diretti hanno indicato la colpevolezza delle persone da me interrogate, situazione resa ancor più valida dal fatto che non ho trovato le componenti del respiro di nessuno di loro sul braccialetto della signora Anderview.
Tutti gli occhi si posarono su Paul Bengston, che si agitò sulla sedia, diventando prima pallido, poi rosso.
— Volete seguirmi, per favore?
L’altro si alzò incerto e seguì l’ispettore nella cabina del comandante.
Dopo cinque minuti, comparve sulla porta della sala un agente, dicendo: — Ci dispiace di avervi fatto aspettare. Siete liberi di sbarcare.
Si levò un mormorio generale, solo Farr rimase silenzioso al suo posto. Si sentiva in preda all’ira, all’umiliazione, alla delusione. Era talmente sconvolto, che alla fine non ne poté più; balzò in piedi e si precipitò nella cabina del capitano.
Un agente lo fermò: — Scusatemi, signore, ma non potete entrare.
— Non me ne importa, entro lo stesso! — ringhiò Farr, e scansato l’agente, si buttò sulla porta. Ma era chiusa a chiave; allora bussò. Quasi subito il capitano Dorristy la socchiuse, mettendo il viso nella fessura: — Be’, che succede?
Kirdy, che aveva di fronte Paul Bengston, si volse: — Desiderate, signor Farr?
Dorristy, confuso e rosso in volto, arretrò d’un passo.
— Dunque, è veramente colpevole quest’uomo? — domandò Farr.
L’ispettore annuì. — Le prove sono positive.
Farr guardò Bengston, il cui viso sembrò alterarsi e raggrinzirsi, come avviene nei trucchi fotografici: da aperto e bonario che era, divenne spietato, astuto e crudele. Farr si stupì di non averlo sospettato prima. Si chinò a guardarlo meglio, e Paul Bengston gli lanciò di rimando una sprezzante occhiata di sfida.
— Perché? — domandò Farr. — Perché è successo tutto ciò?
Bengston non rispose.
— Ho il diritto di saperlo — insisté Farr. — Perché?
Silenzio.
— Perché? — tornò a ripetere Farr, con voce improvvisamente umile. — Ditemelo, per favore!
Paul Bengston alzò le spalle, scoppiando in una stridula risata.
— Si tratta di qualcosa che dovrei sapere? — tornò alla carica Farr. — Qualcosa che ho visto o di cui sono in possesso?
Pareva che Bengston fosse vicino a un attacco isterico.
— Non mi piace come siete pettinato — fu tutto quel che disse, e tornò a ridere come un matto.
— Non sono riuscito a cavargli altro — dichiarò cupo l’ispettore.
— Ma perché si comporta così? — cercò di sapere Farr. — Che motivi lo spingono? E perché gli Anderview volevano uccidermi?
— Se lo scopriremo, ve lo farò sapere — promise l’ispettore. — Intanto… come posso tenermi in contatto con voi?
Farr ci pensò. Doveva fare qualche cosa… Be’, se ne sarebbe ricordato, ma intanto… — Scendo all’Hotel Imperador di Los Angeles.
— Pazzo! — mormorò tra sé Bengston.
Farr fece per avventarglisi contro, ma Kirdy lo trattenne. — Calmatevi, signor Farr.
Mentre Farr si allontanava, scorse il capitano, che si affrettò a dire: — Niente, niente, signor Farr, non state a scusarvi!
Ritornato nel salone, Farr vide che gli altri passeggeri erano sbarcati, recandosi nell’ufficio immigrazione. Si affrettò a seguirli, agitato, come in preda a un accesso di claustrofobia, perché gli sembrava che l’ Andrei Simic , il magnifico uccello spaziale, fosse diventato una tomba: non ne poteva più di sbarcare, di toccare il suolo terrestre.
Era quasi mattina. Il vento del Mojave gli soffiava in viso, portando con sé aromi e sabbia del deserto, le stelle brillavano pallide a oriente. Prima di scendere lo scalandrone, Farr si fermò alzando istintivamente gli occhi per cercare la costellazione dell’Auriga. Eccola: Capella, e poi, appena percettibile nel suo tremolio, l’XI dell’Auriga, intorno a cui ruotava Iszm. Farr scese i gradini e posò finalmente il piede sulla Terra. Era tornato. Il contatto gli fece uno strano effetto: gli parve che nel suo cervello si fosse aperto uno spiraglio… Con una sensazione di sollievo, aveva scoperto quale era la prima e più logica cosa da farsi: andare da K. Penche.
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