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Jack Vance: Le case di Iszm

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Jack Vance Le case di Iszm

Le case di Iszm: краткое содержание, описание и аннотация

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Che cosa darebbero gli architetti, gli urbanisti, i pianificatori, gli uomini politici per avere una delle case che si seminano, che nascono e crescono come una pianta qualsiasi? E chi avesse in esclusione i semi di una simile pianta, quale gigantesca speculazione edilizia potrebbe organizzare? Su questo tema così attuale per noi, Jack Vance ha costruito un piacevole e movimentato romanzo, in cui le straordinarie case di Iszm sono oggetto di una guerra segreta fra i desperados di mezza galassia.

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Rimandò la visita all’indomani, riservando la prima giornata al riposo. Un bel bagno, un buon bicchiere di whisky, e poi a letto.

Stava per avviarsi quando gli si avvicinò Omon Bozhd. — È stato un piacere avervi conosciuto, Farr Sainh. Permettetemi un consiglio: state molto attento. Sono convinto che siate ancora in grave pericolo — e facendo un inchino se ne andò, lasciando Farr a seguirlo, stupito, con lo sguardo. Aveva tutte le intenzioni di far tesoro di quell’avvertimento.

Sbrigate in poco tempo le pratiche all’ufficio immigrazione, fece portare il bagaglio all’Imperador. Trascurando gli elitassì, si lasciò calare nel condotto della sotterranea. Il disco si fermò sotto i suoi piedi (non mancava mai di provare un brivido, lasciandosi calare nel pozzo: e se il disco non fosse arrivato?). Il disco si arrestò, Farr pagò il biglietto, chiamò alla banchina una vetturetta monoposto, vi salì, manovrò i comandi in modo da indicare la destinazione, poi si rilassò con un sospiro sul sedile. Non riusciva a dominare il turbine dei propri pensieri. Una visione dopo l’altra gli si accavallavano nella testa: lo spazio sterminato, Jhespiano, Iszm, le case a molti baccelli. Gli parve di essere ancora a bordo della Lhaiz diretto all’atollo di Tjiere, riprovò il terrore dell’incursione nei campi di Zhde Patasz, della caduta nel tronco cavo, della prigionia insieme al Thord e, più tardi, rivisse la terribile esperienza passata sull’isolotto dove Zhde Patasz faceva i suoi esperimenti… Le visioni correvano veloci; erano solo ricordi, e si allontanarono, si allontanarono ancor più degli anni-luce che lo separavano da Iszm.

Il ronzio della vettura gli conciliava il sonno appesantendogli le palpebre, ma si sforzò di rimanere sveglio. Tutta la faccenda sembrava un incubo fantastico. E invece era reale.

Farr si costrinse a dare un corso meno confuso ai propri pensieri, ma la sua mente si rifiutava di ragionare, di far progetti. Qui, nella sotterranea sul suo pianeta natale, l’idea del pericolo, dell’assassinio, gli pareva assurda e impossibile…

Un solo uomo sulla Terra poteva aiutarlo: K. Penche, rappresentante terrestre delle case di Iszm, l’uomo al quale Omon Bozhd era venuto a portare cattive notizie.

La vettura vibrò a una curva, ne superò un’altra e finalmente giunse al termine della corsa. La porta si aprì e un fattorino in divisa gli venne incontro sulla banchina. Premette i pulsanti sullo stereoschermo della cabina e un ascensore portò Farr al livello del suolo, poi, centottanta metri più in alto, fino al livello della sua stanza. Gliene avevano assegnata una ampia, arredata in gradevoli toni di verde oliva, giallo paglierino, rossiccio e bianco. Una parete, tutta di vetro, guardava su Santa Monica, Beverly Hills e l’oceano. Farr sospirò di sollievo. Le case isziche erano bellissime sotto molti aspetti, ma non potevano certo reggere al confronto con l’Hotel Imperador.

Farr fece il bagno, sguazzando nella vasca colma d’acqua calda profumata di limoncella, mentre dalle pareti della vasca uscivano sottili getti alterni d’acqua fresca che servivano a massaggiargli le gambe, la schiena, il petto… Mancò poco che si addormentasse. Poi il fondo della vasca si sollevò pian piano raddrizzandosi, deponendolo in piedi sul pavimento. Subito, soffi di aria calda lo asciugarono, mentre una lampada solare gli conferiva una rapida abbronzatura.

Uscito dal bagno, trovò pronto in camera un bicchiere di whisky e soda, che sorseggiò stando davanti alla finestra, stanco per tutte le fatiche e le emozioni, ma profondamente soddisfatto.

Sorse il sole, e la sua luce ambrata si riversò come una marea sui recessi della metropoli. Là, in uno dei quartieri di lusso che un tempo si chiamava Signal Hill, abitava K. Penche. Farr si sentì dubbioso al pensiero di essere convinto che Penche rappresentasse la soluzione a ogni suo problema. Be’, quando fosse andato da lui avrebbe scoperto se era vero o no.

Polarizzò la finestra e la camera diventò buia. Mise la sveglia su mezzogiorno, si sdraiò sul letto, e cadde subito in un sonno profondo.

La finestra si depolarizzò e la luce del giorno entrò a inondare la stanza, svegliando Farr che, postosi a sedere sul letto, prese dal tavolino il menù. Ordinò caffè, pompelmo, prosciutto e uova, poi scese dal letto e andò alla finestra. La più grande città del mondo si stendeva sotto di lui a perdita d’occhio, coi grattacieli che s’intravedevano nella nebbiolina calda, tutta fremente di commerci e di vita.

Dalla parete uscì un tavolino con la sua colazione e Farr si mise a mangiare, guardando le ultime notizie sullo stereoschermo. Per un momento dimenticò i suoi guai, ma poi la voce disse: “… e ora qualche breve notizia dallo spazio. Abbiamo appena appreso che a bordo della Andrei Simic , due passeggeri, in apparenza missionari di ritorno da un viaggio nel gruppo Mottram…”. Farr fissava lo schermo, dimentico del cibo, e la sua allegria stava ormai svanendo.

La voce fece un resoconto dell’accaduto, e sullo schermo comparve un’immagine dell’ Andrei Simic : prima l’esterno, poi una sezione dell’interno con una freccia che indicava la cabina della morte. Com’era gradevole e noncurante la voce dell’annunciatore! Come faceva sembrare remota e trascurabile la faccenda!

“… le due vittime e l’assassino sono stati tutti identificati quali membri del sindacato criminale Bruttotempo. Pare che si fossero recati su Iszm, terzo pianeta dell’XI dell’Auriga, con l’intento di contrabbandare una casa femmina.”

La voce continuò a parlare, mentre apparivano sullo schermo immagini degli Anderview e di Paul Bengston.

Farr spense l’apparecchio e fece rientrare il tavolino nella parete. Tornò poi alla finestra, con gli occhi fissi sulla città. Doveva vedere Penche al più presto. Era urgente.

Dall’armadio Taglia 2 prese della biancheria, un abito azzurro leggero e un paio di sandali. Vestendosi, faceva progetti per la giornata. Per prima cosa, Penche… Farr si accigliò, tralasciando di affibbiare un sandalo. Che cosa doveva dire a Penche? A pensarci bene, perché il magnate avrebbe dovuto interessarsi ai suoi guai? Che cosa poteva fare per lui? Il suo monopolio dipendeva dagli Iszici, ed era poco probabile che volesse correre il rischio di inimicarseli.

Farr trasse un lungo sospiro, cercando di bandire quei pensieri molesti. Per quanto la cosa sembrasse illogica, doveva andare da quell’uomo. Ne era sicuro, lo sentiva anche senza sapere perché.

Terminò di vestirsi, e chiamò l’ufficio di K. Penche. Sullo schermo comparve il simbolo di Penche, lo schema di una casa iszica sormontato dalla scritta: K. PENCHE-CASE. Farr non aveva ancora premuto il tasto che permetteva alla propria immagine di apparire sullo schermo. Glielo aveva vietato un timore istintivo.

Una voce femminile disse: — Impresa K. Penche.

— Parla… — Farr s’interruppe e non disse il suo nome. — Mettetemi in comunicazione col signor Penche.

— Chi parla?

— Si tratta di affari personali.

— Di quali affari, prego?

— Personali.

— Vi metto in comunicazione con la segretaria del signor Penche.

Sullo schermo comparve l’immagine della segretaria: una giovane dal fascino languido, a cui Farr ripeté la richiesta. — Inviate la vostra immagine, prego — rispose la segretaria.

— No — fece Farr. — Mettetemi in comunicazione col signor Penche. Parlerò direttamente a lui.

— Temo che sia impossibile — asserì la ragazza. — È contrario alla nostra procedura d’ufficio.

— Dite al signor Penche che sono appena arrivato da Iszm con l’ Andrei Simic.

La segretaria si volse a parlare in un altro microfono, e poco dopo il suo viso scomparve dallo schermo, per lasciare il posto alle fattezze dure e pesanti di K. Penche. Gli occhi brillavano incavati nelle orbite profonde, dure linee di muscoli serravano le labbra, le sopracciglia si curvavano sardoniche. Non si capiva se fosse seccato o no.

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