Jack Vance - Le case di Iszm

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Le case di Iszm: краткое содержание, описание и аннотация

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Che cosa darebbero gli architetti, gli urbanisti, i pianificatori, gli uomini politici per avere una delle case che si seminano, che nascono e crescono come una pianta qualsiasi? E chi avesse in esclusione i semi di una simile pianta, quale gigantesca speculazione edilizia potrebbe organizzare? Su questo tema così attuale per noi, Jack Vance ha costruito un piacevole e movimentato romanzo, in cui le straordinarie case di Iszm sono oggetto di una guerra segreta fra i desperados di mezza galassia.

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Jack Vance

Le case di Iszm

1

Era ormai un fatto scontato che gli stranieri giungevano a Iszm con un unico scopo: rubare una casa femmina. Cosmografi, studenti, poppanti, noti malviventi, tutti venivano costretti dagli Iszici, con imparziale cinismo, allo stesso microscopico esame fisico-mentale e sottoposti alla medesima stretta sorveglianza.

Il procedimento era giustificato dall’eccezionale affluenza di ladri di case.

Da lontano, pareva facile riuscire a rubare una casa. Si poteva cucire un seme — non più grande d’un granello d’orzo — in una cintura, o intrecciare una pianticella alla trama di una sciarpa, oppure legare un germoglio a un missile da lanciare nello spazio… c’erano migliaia di modi di rubare una casa di Iszm, ma tutti si erano rivelati fallaci alla prova dei fatti. I ladri, invariabilmente scoperti, erano stati portati in manicomio, sotto la scorta di Iszici estremamente gentili. Gli Iszici, appunto perché erano realisti, sapevano che sarebbe arrivato il giorno — l’indomani o nel giro di un mese, un anno, un secolo o un millennio — in cui avrebbero perso il monopolio delle case e, pur non illudendosi, da fanatici custodi di quel monopolio, facevano di tutto per rimandare quel giorno il più possibile.

Aile Farr era un uomo alto e magro, sulla trentina, con una strana faccia legnosa, grosse mani e grossi piedi. Carnagione, occhi e capelli erano tutti dell’identico color polvere. Ma quel che importava agli Iszici era la sua professione di botanico, la qual cosa lo rendeva, di conseguenza, oggetto del più profondo sospetto.

Giunto all’atollo di Jhespiano, a bordo della Eubert Honoré della Red Ball Packet, si vide fatto segno a precauzioni eccezionali anche per Iszm. Al suo arrivo due Szecr, agenti della polizia speciale, lo presero in consegna al portello di sbarco, lo scortarono giù per lo scalandrone come un prigioniero, e lo spinsero in un andito a direzione unica; dalle sue pareti uscivano infatti barre flessibili piegate in direzione del passaggio obbligato, di modo che si poteva andare avanti, ma era impossibile cambiare idea e tornare indietro. Al termine dell’andito vi era una parete di vetro trasparente e, quando vi giunse davanti, Farr constatò che non poteva più procedere né tornare sui suoi passi. Gli pareva di essere un insetto sotto il microscopio, mentre un Iszico, con mostrine rosse e grigie, si dava da fare per esaminarlo dall’altra parte del vetro. Al termine dell’esame, l’Iszico fece scorrere, con fare svogliato, il pannello e Farr, entrato nella stanzetta, mostrò all’Iszico il suo permesso di sbarco, i certificati di buona salute, l’attestato di buona condotta, e quindi si accinse a sottoporsi all’interrogatorio. L’occhio degli Iszici, diviso in due settori di differente grandezza, è capace di guardare contemporaneamente in due diverse direzioni. Il funzionario leggeva i documenti con la parte inferiore, e continuava a esaminare Farr con quella superiore.

— Occupazione… — a questo punto tutto l’occhio fissò Farr. Poi, riabbassando la parte inferiore sul documento, lesse con voce fredda e monotona: — … si occupa di ricerche. Dipende dall’università di Los Angeles, facoltà di Botanica. — Mise da parte il documento e chiese: — Posso sapere il motivo della vostra venuta su Iszm?

Farr stava per perdere la pazienza. — È scritto lì — si limitò a rispondere, accennando al foglio.

L’incaricato riprese a leggere, continuando a fissare Farr, che lo guardava come affascinato.

— “Sono in licenza di studio e sto visitando i pianeti in cui le piante contribuiscono in modo effettivo al benessere dell’uomo”. — L’incaricato posò su Farr ambedue le parti dell’occhio. — Perché vi siete preso la briga di venire fin qui? Potevate disporre di tutte le informazioni necessarie anche sulla Terra.

— Preferisco rendermi conto di persona.

— A che scopo?

— Curiosità professionale — rispose Farr alzando le spalle.

— Immagino che conosciate le nostre leggi.

— E come no? — replicò Farr irritato. — Me ne hanno parlato fin da quando la nave è partita da Starholme.

— Tenete presente che non vi si possono concedere privilegi di alcun genere… non potrete condurre studi approfonditi o analitici. Capito?

— Ma certo!

— Le nostre norme sono rigide… non dimenticatelo. Molti visitatori se lo dimenticano e poi si trovano a dover subire gravi punizioni.

— Ormai conosco le vostre leggi meglio delle nostre — dichiarò Farr.

— È considerato illegale asportare, staccare, tagliare, accettare, separare o rimuovere qualsiasi vegetale, frammento di vegetale, semi, germogli, arbusti o alberi, in qualunque luogo si trovino.

— Non ho intenzione di commettere illegalità.

— Molti visitatori dicono la stessa cosa — borbottò l’incaricato. — Per favore, accomodatevi nella stanza qui vicino, e spogliatevi, liberandovi degli effetti personali. Vi saranno restituiti, non temete, quando ripartirete.

Farr lo fissava attonito: — Il denaro… la macchina fotografica, il…

— Vi verranno forniti gli equivalenti iszici.

Ammutolito, Farr entrò in una stanzetta dalle pareti smaltate, e si svestì. Un inserviente raccolse gli indumenti e li ripose in una cassetta di vetro, poi indicò a Farr che s’era dimenticato di togliere un anello.

— Immagino che, se avessi la dentiera, dovrei togliermi anche quella — ringhiò Farr.

L’Iszico non se lo fece dire due volte, e gli esaminò attentamente la bocca. — Nei vostri documenti — disse poi — è scritto che avete denti sani e tutti vostri, senza modifiche di alcun genere. — La parte superiore del suo occhio fissava Farr con sguardo indagatore: — È dunque falso?

— Ma no! — protestò Farr. — I miei denti sono tutti veri. Ho detto così, tanto per fare un’ipotesi… per scherzo.

L’Iszico borbottò qualcosa e condusse Farr in un altro locale dove lo sottoposero a un approfondito esame odontoiatrico. “Imparerò a non scherzare più” disse tra sé Farr. “Questa gente non ha il minimo senso dell’umorismo.”

Finalmente i medici, dopo aver scosso con aria delusa la testa, lo riconsegnarono all’incaricato che lo riportò in un locale vicino; qui v’era un Iszico in divisa bianca e grigia che si fece avanti brandendo una siringa ipodermica.

— Ehi, che roba è questa? — protestò Farr tirandosi indietro.

— Un irradiante innocuo.

— Non ne ho bisogno.

— È necessario — dichiarò il medico. — Servirà a proteggervi. Molti visitatori affittano battelli per far vela verso Pheadh. Vi sono frequenti tempeste e a volte i battelli perdono la rotta. Grazie a questo irradiante sarà possibile stabilire la vostra posizione sul pannello centrale.

— Non ho bisogno di essere protetto — obiettò Farr.

— Non voglio diventare un punto luminoso su un pannello.

— E allora dovete lasciare Iszm.

Farr cedette, imprecando contro il medico mentre quello gli faceva l’iniezione.

— Adesso passate nell’altra stanza per la foto a tre dimensioni, per piacere.

Farr alzò le spalle avviandosi nel locale vicino.

Rimase fermo e rigido mentre piani sensibili lo sfioravano per tutto il corpo, e in una specie di cupola di vetro andava prendendo forma un’immagine tridimensionale di lui stesso, a grandezza naturale.

— Grazie — disse alla fine l’incaricato. — Nella stanza vicina vi verranno forniti gli indumenti e tutto ciò di cui potete aver bisogno.

Farr indossò l’uniforme dei visitatori: morbidi pantaloni bianchi, camiciotto a righe verdi e grigie e un berretto floscio di velluto verde scuro che gli ricadeva su un orecchio. — E adesso me ne posso andare?

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