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Jack Vance: Le case di Iszm

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Jack Vance Le case di Iszm

Le case di Iszm: краткое содержание, описание и аннотация

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Che cosa darebbero gli architetti, gli urbanisti, i pianificatori, gli uomini politici per avere una delle case che si seminano, che nascono e crescono come una pianta qualsiasi? E chi avesse in esclusione i semi di una simile pianta, quale gigantesca speculazione edilizia potrebbe organizzare? Su questo tema così attuale per noi, Jack Vance ha costruito un piacevole e movimentato romanzo, in cui le straordinarie case di Iszm sono oggetto di una guerra segreta fra i desperados di mezza galassia.

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La luce si mosse su e giù sul suo corpo, soffermandosi sulla camiciola a rigoni. Al riflesso, Farr poté scorgere un uomo bruno, tutto coperto di escoriazioni e di ecchimosi. La luce proveniva da un fermaglio posto su una spalla della giubba.

L’uomo parlò con voce bassa e roca in una lingua sconosciuta, e Farr scosse la testa per dimostrare che non capiva. L’altro lo fissò a lungo, dubbioso, circospetto, poi, ignorando Farr, si alzò a fatica ed esaminò con cura minuziosa le pareti della cella. Sopra di loro, inaccessibile, c’era l’apertura dalla quale erano caduti e da un lato uno sfiatatoio coperto da un fitto groviglio di nodi. Farr era furibondo e irritato e il taglio alla testa gli faceva male. Non capiva perché lo sconosciuto se la prendesse tanto, dal momento che non c’era possibilità di fuga. Gli Szecr erano veri maestri, quando si trattava di tener prigioniero qualcuno.

Osservando meglio l’uomo bruno, Farr pensò che dovesse essere un Thord, cioè un appartenente alla razza più simile a quella umana delle tre razze arturiane. Sul conto di quella gente circolavano storie poco rassicuranti, e Farr non si sentiva molto a suo agio con quel compagno di prigionia… specialmente al buio.

Dopo aver completato lo studio delle pareti, il Thord riprese a esaminare Farr. Aveva occhi freddi, lucenti, profondi e gialli come topazi cabochon. Quando riprese a parlare, con la sua voce bassa e roca, disse: — Questa non è una vera prigione.

Farr rimase interdetto. Date le circostanze, s’era aspettato qualcosa di diverso. — Come sarebbe a dire?

Il Thord lo studiò attentamente prima di rispondere: — C’è stata una gran confusione. Gli Iszici ci hanno buttato qui per sicurezza, ma presto ci porteranno altrove. In questo luogo non ci sono spie né rivelatori. È un magazzino.

Farr esaminò dubbioso i muri, e quando sentì che il Thord borbottava qualcosa lo fissò stupito finché non si fu reso conto che l’altro stava ridacchiando divertito. — Vi stupite perché lo so — disse il Thord. — Io ho una speciale sensibilità per percepire il peso dell’attenzione.

Farr si limitò ad assentire educatamente. Cominciava ad avvertire il fastidio di essere osservato, e quindi si voltò. Il Thord emise uno strano suono prolungato, triste e monotono. Era un lamento? Una trenodia? La luce si attenuò ma il lugubre mormorio andò avanti ancora, finché Farr si sentì venir meno per la sonnolenza e si addormentò. Fu un sonno inquieto che non gli diede alcun riposo. Gli pareva di avere la testa in fiamme, e sentiva voci e imprecazioni. Forse era tornato sulla Terra, e stava insieme a qualcuno. A chi? A un amico? Farr si agitò farfugliando, cercando di svegliarsi. Le voci roche, i passi, le immagini inquiete a poco a poco svanirono e finalmente poté riposare tranquillo.

La luce entrava da una fessura ovale rivelando la sagoma di due Iszici. Svegliatosi, non si stupì molto nel constatare che il Thord era scomparso, perché il locale in cui si trovava era diverso dall’altro, certo non era più alla radice del vecchio albero contorto.

Si rizzò a sedere, ma aveva la vista annebbiata e gli riusciva difficile connettere le idee: aveva l’impressione che le sue facoltà mentali fossero come parti staccate fluttuanti nell’aria.

— Aile Farr Sainh — disse uno degli Iszici — possiamo darvi il disturbo di accompagnarci? — Avevano mostrine gialle e verdi: erano Szecr.

Farr si alzò barcollando e barcollando varcò la porta ovale, percorrendo un corridoio, preceduto e seguito da uno Szecr. Dopo un po’, il primo di essi fece scorrere un pannello, e Farr si ritrovò vicino all’arcata dove aveva sostato prima. Lo portarono all’aperto, sotto il cielo buio della notte tutto scintillante di stelle, e Farr notò il suo Sole pochi gradi sotto la stella Beta dell’Auriga. Quella vista non gli diede dolore né nostalgia. Non era più capace di provare emozioni, né di interessarsi a qualcosa. Si sentiva leggero, spensierato e felice.

Superate le rovine dell’albero-casa caduto, si avviarono verso la laguna. Davanti a un tronco si stendeva un morbido tappeto di muschio.

— La casa di Zhde Patasz Sainh — disse lo Szecr. — Siete suo ospite. Ha garantito per voi.

La porta scivolò su se stessa e Farr entrò nel tronco, con le gambe che gli si piegavano. La porta si richiuse alle sue spalle, e si ritrovò solo in mezzo a un alto atrio circolare. Dovette appoggiarsi al muro per reggersi, e solo con un notevole sforzo gli riuscì di concentrarsi.

Poco dopo arrivò una giovane Iszica a strisce bianche e nere fra le quali si vedeva la pelle chiara; aveva un turbante nero in testa. Una grossa linea nera sulla fronte accentuava la divisione orizzontale degli occhi.

— Farr Sainh — disse la donna — concedetemi la vostra compagnia.

Lo scortò verso un ascensore circolare che li portò a trenta metri d’altezza. La salita diede il capogiro a Farr.

— Di qui, Farr Sainh — disse la donna sfiorandolo con la mano fresca.

Farr fece un passo avanti, ma dovette fermarsi appoggiandosi al muro finché l’attacco di vertigini non fu passato.

La donna aspettava paziente. Quando a Farr si snebbiò la vista, l’uomo vide che si trovavano all’interno d’uno dei rami più grossi. La donna lo prese per mano.

— Mi hanno drogato — si lamentò Farr guardandola negli occhi chiari.

— Da questa parte, Farr Sainh — rispose lei, impassibile.

Gli fece strada per un corridoio sinuoso, e Farr la seguì lentamente, sentendosi man mano sempre più in forze.

La donna si fermò davanti a un uscio in fondo al ramo, si volse, e disse: — Questo è il vostro alloggio. Non vi mancherà niente. La dendrologia è un libro aperto per Zhde Patasz. I suoi vivai esaudiscono ogni desiderio. Entrate e godete della squisita casa di Zhde Patasz.

Farr entrò nel locale, che costituiva uno dei quattro compartimenti in cui era diviso il baccello. Era la stanza più complicata che avesse mai visto. Si trattava di una sala da pranzo. Dal pavimento spuntava un grosso picciolo che andava allargandosi per formare un tavolo sul quale era disposta una dozzina di vassoi carichi di vivande. La stanza attigua, tappezzata di fibre azzurre, era una camera da riposo, e accanto ce n’era un’altra il cui impiantito era coperto di nettare che arrivava all’altezza delle caviglie ed era color verde pallido. Qui trovò ad attenderlo un piccolo Iszico che lo salutò molto cerimoniosamente. Aveva le strisce rosa e bianche dei servi di casa. Con gesti abili spogliò Farr, che s’immerse nel bagno di nettare. Il servo bussò alla parete e da mille invisibili orifizi si riversò su Farr una pioggerella fresca e profumata. Raccolse poi una coppa di nettare e lo versò sulla testa di Farr, che si coprì subito di fresca e densa schiuma. Quando la schiuma si dissolse, Farr sentì la pelle liscia e rinvigorita. Il servo gli si avvicinò con un bacile pieno di una pasta incolore che spalmò sulle guance di Farr, e la barba scomparve.

Intanto, sul soffitto, era andata formandosi una bolla di liquido racchiusa entro una fragile membrana. Continuava a crescere, oscillando e vibrando, e a un dato momento il ragazzo accostò alla bolla una spina aguzza: la membrana scoppiò e su Farr ricadde una cascata di liquido aromatico, profumato di chiodi di garofano, che evaporò immediatamente. Quindi Farr passò nel quarto locale dove il servitore gli aveva preparato abiti puliti; quando si fu vestito gli appuntò alla gamba una rosetta nera. Conoscendo bene gli usi e i costumi degli Iszici, Farr non fu stupito di quel gesto. La rosetta, emblema personale di Zhde Patasz, racchiudeva in sé molti significati. Farr veniva insignito del titolo di ospite d’onore della casa di Zhde Patasz, il quale, in tal modo, lo prendeva automaticamente sotto la sua protezione e lo avrebbe difeso da qualsiasi nemico. Farr sarebbe stato libero di girare per la casa, e di comportarsi come se ne fosse il padrone; avrebbe potuto manipolarne le nervature, i riflessi, i pulsanti e i condotti, avrebbe potuto disporre a suo piacimento di tutti gli averi di Zhde Patasz, insomma avrebbe potuto considerarsi l’alter ego del padrone di casa. L’onore che gli era stato concesso era più unico che raro, e addirittura senza precedenti nei riguardi di un Terrestre. Farr non sapeva cosa avesse fatto per meritarsi tanto. Forse, Zhde Patasz voleva in tal modo ripagarlo del trattamento rude a cui l’avevano sottoposto finora. Sì, la spiegazione doveva essere questa: gli Iszici l’avevano malmenato durante l’incursione dei Thord, e Zhde Patasz voleva riparare al mal fatto con la sua cortesia. Farr si augurò che il suo ospite non si formalizzasse troppo per la sua ignoranza del galateo iszico.

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