— Insomma, l’avete o non l’avete? — sbottò irritato Penche.
— Non l’ho — rispose Farr tentando di mettersi a sedere. Il dottore lo aiutò passandogli un braccio dietro le spalle. Farr si sentiva debolissimo. — Che cosa faccio qui? Qualcuno mi ha avvelenato. Una bionda, nella taverna. — Fissò Penche con ira. — Lavorava per voi.
Penche annuì. — Lo ammetto.
— Come avete fatto a trovarmi?
— Avete chiamato l’Imperador al teleschermo. Un mio incaricato ha scoperto da dove veniva la chiamata.
— Be’ — commentò Farr. — È tutto uno sbaglio… come, perché o che cosa, non lo so. So solo che sto male, e non mi va!
— Come sta? — domandò Penche al dottore.
— Bene. Fra poco avrà ripreso completamente le forze.
— Ottimo. Potete andare.
Il dottore lasciò il baccello. Penche si mise a sedere. — Anna ha esagerato — dichiarò. — Non doveva ricorrere all’ago. Be’, parlatemi di voi.
— In primo luogo voglio sapere dove sono — ribatté Farr.
— In casa mia. Mi prenderò io cura di voi.
— Perché?
— Siete stato incaricato di portarmi un albero, un seme o un germoglio. Qualunque cosa mi abbiate portato, la voglio.
— Non l’ho — rispose Farr, dominandosi a stento. — Non ne so niente. Ero a Tjiere nel corso della scorreria… di più non ho fatto.
Con voce calma ma venata di sospetto, Penche domandò: — Perché mi avete chiamato, appena siete arrivato in città?
Farr scosse la testa. — Non lo so. Sentivo di doverlo fare e l’ho fatto. Sentivo anche di dovervi dire che avevo un albero, ma non so perché. Non è vero…
— Vi credo. Dobbiamo scoprire dov’è l’albero. Forse ci vorrà del tempo, ma…
— Vi ho detto e ripetuto che non ho nessun albero, e non m’interessa. — Riuscì ad alzarsi e si mosse verso la porta. — Vado a casa.
Penche lo guardò divertito. — Le porte sono chiuse, Farr.
Farr gli credette sulla parola, ma sapeva che la nervatura che avrebbe permesso alla porta di aprirsi era inserita nella parete. Tastò la superficie gialla rugosa…
— Non da quella parte, Farr. Tornate qui.
La porta si aprì. Nella fessura stava Omon Bozhd. Indossava un abito strettissimo a strisce bianche e azzurre e un ampio mantello bianco dal collo rialzato. Aveva un’espressione placida e austera, piena di forza, che era forza umana ma non terrestre.
L’Iszico entrò nella stanza seguito da due compatrioti vestiti a strìsce gialle e verdi: due Szecr. Farr si scostò per lasciarli entrare.
— Salve — li salutò Penche. — Credevo di aver chiuso ermeticamente la porta, ma voialtri conoscete tutti i trucchi.
Omon Bozhd annuì educatamente e rivolgendosi a Farr disse: — Oggi vi abbiamo perduto, per qualche ora. Sono lieto di rivedervi. — Guardò Penche, poi tornò a Farr. — A quanto vedo, la vostra destinazione era la casa del signor Penche.
— Così pare — ammise Farr.
— Quando vi trovavate nella cella, a Tjiere — spiegò l’Iszico — noi vi anestetizzammo con un gas ipnotico. Il Thord se ne accorse, quando immettemmo il gas, e trattenne il respiro per sei minuti. Quando voi perdeste i sensi effettuò un trasferimento di pensiero, inserendo nel vostro subconscio alcune istruzioni, quindi vi diede l’albero… Non si può dire che non abbia servito a dovere il suo padrone — aggiunse lanciando un’occhiata a Penche, che non fece commenti. — Trascorsi i sei minuti, fu costretto a respirare e perdette anche lui i sensi. Più tardi, vi conducemmo da lui, nella speranza che rivelaste quanto vi aveva detto, ma l’esperimento fallì, perché il Thord dimostrò di possedere una forza fisica eccezionale, quale noi non avevamo previsto.
Farr guardò Penche, che se ne stava indolentemente appoggiato al tavolo. L’atmosfera era carica di tensione, e pareva che bastasse un niente per farla esplodere.
Senza più curarsi di Farr, Omon Bozhd riprese a dire: — Sono venuto sulla Terra con due incarichi, signor Penche. Devo innanzitutto informarvi che la fornitura di case AA non verrà consegnata a causa dell’incursione sull’atollo di Tjiere…
— Be’, mi spiace molto.
— E in secondo luogo devo scoprire l’uomo a cui Aile Farr deve portare il suo messaggio.
— Non avete scandagliato la mente di Farr? — domandò Penche. — Come mai non l’avete scoperto?
— Il Thord — spiegò l’Iszico con l’imperturbabile cortesia della sua razza — aveva ordinato a Farr di dimenticare tutto, e di ricordare solo quando fosse stato di ritorno sulla Terra. Quel Thord era dotato di enorme forza mentale, e Farr Sainh possiede un cervello eccezionalmente tenace. Non ci restava che seguirlo. La sua destinazione era questa: la vostra casa, signor Penche. Perciò posso compiere la mia seconda missione.
— E allora? Di che si tratta? Sputate fuori — disse Penche.
Omon Bozhd s’inchinò, e con la solita compostezza riprese: — Non vi avevo riferito tutto il primo messaggio, Penche Sainh. Voi non riceverete la più case AA, non solo, ma non ne riceverete mai più di alcun genere. E se mai metterete piede su Iszin sarete condannato per il delitto che avete compiuto contro di noi.
Penche sorrise divertito. — Dunque, non sono più il vostro rappresentante.
— Esatto.
Penche si rivolse a Farr e, con voce tagliente, gli domandò: — Dove sono gli alberi?
Involontariamente, Farr si portò la mano alla testa: la ferita gli bruciava.
— Venite qui, Farr — ordinò Penche. — Fatemi dare un’occhiata.
— Giù le mani. Non voglio togliere le castagne dal fuoco per nessuno.
— Il Thord inserì sei semi sotto la pelle del cranio del signor Farr — spiegò Omon Bozhd. — È un nascondiglio davvero ingegnoso. I semi sono piccolissimi, e anche noi impiegammo mezz’ora a trovarli.
Farr si toccò il cranio disgustato.
— State fermo — gl’intimò duramente Penche. — Lasciatemi vedere.
— No!
— Non vorrete mettervi dalla parte degli Iszici, vero?
— Non voglio mettermi dalla parte di nessuno. Se mi hanno inserito i semi sotto la pelle, è affar mio. Voi non c’entrate.
Penche si fece avanti, con espressione cattiva.
— I semi sono stati tolti, Penche Sainh — l’informò Omon Bozhd. — I bernoccoli che sente in testa sono pallottole di tantalio.
Farr si tastò la cute: c’erano effettivamente sei minuscoli bozzi… Senza volerlo, guardò prima Penche poi l’Iszico, ma loro non gli badavano. Tornò a tastarsi la testa: da uno dei bozzi usciva un filamento… Anna, la bionda della taverna, aveva detto che aveva i capelli lunghi. O un capello lungo…
— Ne ho abbastanza — disse con voce rotta. — Voglio andarmene.
— Non ancora — replicò duro Penche. — Restate qui.
— Credo che sia illegale trattenere qualcuno contro la sua volontà — intervenne Omon Bozhd — e se noi non protestassimo saremmo vostri complici, non è vero?
— In un certo senso — ammise Penche.
— Per proteggerci, insistiamo dunque a chiedervi di non commettere atti illegali.
— Voi avete trasmesso il messaggio. Adesso andatevene! — gridò furibondo Penche.
— Me ne vado anch’io — trovò la forza di dire Farr. — Sono stufo di fare lo zimbello.
— Meglio fare lo zimbello vivo che il furbo morto.
— Correrò il rischio.
Omon Bozhd fece un cenno ai due Szecr che si posero ai lati della porta.
— Potete andarvene — disse Omon Bozhd a Farr. — Il signor Penche non si opporrà.
— Non ho nessuna intenzione di stare dalla vostra parte — dichiarò Farr e, dopo essersi guardato intorno, si avviò verso lo schermo.
Penche espresse la sua approvazione con un cenno, mentre l’Iszico esclamava: — Farr Sainh!
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