— È perfettamente legale — intervenne Penche. — Lasciatelo fare.
Farr manovrò i pulsanti. Lo schermo si illuminò. — Passatemi Kirdy — ordinò Farr.
Omon Bozhd fece un cenno, e uno degli Szecr tagliò il cavo. Lo schermo si spense.
— Guarda chi parlava di illegalità! — tuonò Penche. — Avete isolato la mia casa!
Omon Bozhd stirò le labbra mettendo in mostra i denti aguzzi e le gengive pallide: — Non ho ancora finito…
Penche alzò la mano sinistra. Dall’indice scaturì una fiammata arancione. Omon Bozhd roteò su se stesso: la lingua di fuoco gli aveva mozzato un orecchio. Gli altri due incominciarono a tastare con gesti abili ed esperti le pareti, squarciandole. Penche allungò una seconda volta il dito. Farr si slanciò prendendolo per le spalle e facendolo roteare su se stesso. Penche torse la bocca e allungò il pugno in un corto uppercut che colpì Farr allo stomaco. Farr arretrò barcollando, e tirò un diretto a vuoto. Penche si precipitò verso gli Iszici che avevano già varcato la soglia. La porta si richiuse alle loro spalle. Farr e Penche erano rimasti soli nel baccello.
Farr avanzò e Penche si ritrasse.
— Pazzo che non siete altro… — ansimò Penche. Il baccello fu scosso da un tremito e si inclinò. Il pavimento scricchiolava.
— Ma insomma, da che parte state? Siete un Terrestre e lavorate per gli Iszici? — riprese Penche.
— Voi non siete un Terrestre — replicò Farr. — Voi siete solo K. Penche. E io non sto dalla parte di nessuno. Sono stufo di fare la marionetta!
Si sentiva debole e faticava a reggersi.
— Lasciatemi vedere che cos’avete in testa.
— State lontano da me, altrimenti vi spacco la faccia!
Il pavimento del baccello s’inclinò come quello di un trampolino, mandando Farr e Penche a rotolare in fondo alla stanza. — Che cosa hanno fatto? — si domandò Penche preoccupato.
— Sono Iszici, e questa è una delle loro case — rispose Farr. — Se vogliono, possono servirsene come un musicista si serve del suo strumento.
Il baccello vibrò ancora, poi si fermò con una brusca scossa. — Ecco, è finito — disse Penche. — E adesso, avanti, fatemi vedere che cosa avete nella testa.
— State lontano, vi ho detto… Qualunque cosa abbia, è mia.
— No, è mia — corresse Penche. — Sono stato io a pagare perché ve la piantassero nella pelle.
— Non sapete neanche di che cosa si tratti.
— Sì che lo so. Lo vedo benissimo. È un germoglio.
— Siete pazzo. Un seme non può aver attecchito nella mia testa.
Il baccello si irrigidì inarcandosi come la schiena di un gatto, mentre il tetto scricchiolava. — Dobbiamo uscire di qui — mormorò Penche. Il pavimento era scosso da violenti sussulti. Penche si precipitò a premere la nervatura che avrebbe dovuto aprire la porta, ma questa rimase chiusa.
— Hanno reciso il nervo! — esclamò Farr.
Il baccello s’inclinò, e il tetto a centina scricchiolò più forte. Trac! Una centina si spezzò in una pioggia di frammenti. Un frammento, pesante e acuminato, mancò di poco Farr.
Penche puntò l’indice contro la porta che reagì alla fiammata con una densa nuvola di vapore ardente.
Penche arretrò tossendo.
Altre due centine si schiantarono.
— Se riescono a colpirci ci ammazzano — gridò Penche fissando il soffitto. — State attento!
— Aile Farr: la serra ambulante… Non riuscirete a cogliermi…
— Non perdete la testa, Farr. Venite qui.
Il baccello sussultò, e il mobilio prese a slittare. Schegge di legno schizzavano ovunque. Pareva il finimondo. Sussulti, scosse, crepitii, e il mobilio che scivolava da una parte all’altra del locale mentre Farr e Penche tentavano disperatamente di non farsi schiacciare.
— La manovrano dall’esterno — ansimò Farr. — Ne tirano i nervi…
— Se potessimo uscire sulla terrazza.
— Precipiteremmo…
Le scosse andavano aumentando d’intensità, e frammenti di legno e mobili saltavano su e giù come piselli in una scatola. Penche si teneva aggrappato alla scrivania, cercando di impedire che si muovesse e facendosene scudo. Farr, afferrato un pezzo di costola, andava tastando le pareti.
— Cosa fate?
— Quegli Iszici hanno colpito qui. Devono aver reciso dei nervi. Sto cercando di colpirne altri.
— Ma così, forse, ci ucciderete… Non dimenticate il germoglio.
— Avete più paura per il germoglio che per voi — rispose Farr continuando a tempestare di colpi la parete.
Quando colpì un nervo, il baccello s’immobilizzò irrigidendosi, e dalla parete cominciò a uscire una gran quantità di siero denso. Il baccello fu scosso da un violento sussulto, che si ripercosse sul suo contenuto, emanando un gemito vibrante, che sembrava il lamento di un’anima in pena. Il pavimento s’inarcò ancora una volta, e il soffitto incominciò a cedere.
— Siamo perduti — esclamò Penche. Farr scorse uno scintillio metallico: la siringa del dottore. L’afferrò e conficcò l’ago in una venatura prominente, verdiccia, premendo a fondo lo stantuffo.
Il baccello continuava a vibrare, a sussultare, le pareti cominciarono a schiantarsi, mostrando lunghe crepe, mentre il siero usciva a fiotti. Dopo un lungo tremito convulso, il baccello sussultò per l’ultima volta, poi tornò immobile.
I frammenti di costole, i mobili, Penche e Farr rotolarono fin sul terrazzo, e di qui, nel vuoto. Farr riuscì ad aggrapparsi a un ramo, frenando così la caduta, e quando questo non lo resse più, precipitò sul prato sottostante con un volo di tre metri, atterrando sul mucchio delle rovine. Appena si fu ripreso, si accorse che c’era qualcosa di morbido, sotto di lui. Cercò tastoni nel buio: erano le gambe di Penche. Le afferrò, tirando con forza, e tutti e due rotolarono sul prato. Farr era allo stremo delle forze. Penche non perse tempo: premendo coi ginocchi sul torace di Farr, lo afferrò per la gola. Farr vide il lampo dei suoi occhi sardonici a un palmo dai suoi. Con uno sforzo sovrumano, si liberò dalla stretta e colpì Penche con una ginocchiata. Penche si ripiegò su se stesso, e arretrò barcollando, ma si riprese immediatamente e tornò all’attacco. Farr gli afferrò il naso e lo torse. Nel tentativo di liberarsi, Penche allentò la stretta.
— Strapperò il germoglio… lo spezzerò… — riuscì a balbettare Farr.
— No! No! — urlò Penche. — Farabutto! Mascalzone… Frope, Carlyle!
Due figure accorsero dalle tenebre, e Penche si alzò in piedi. — Ci sono tre Iszici in casa — disse Penche, alzandosi. — Non lasciateli uscire. State vicino al tronco, e sparate a vista.
— Stanotte non ci saranno sparatorie — rispose una voce fredda.
Due raggi di luce conversero su Penche, che tremava di rabbia. — Chi siete?
— Squadra Speciale. Sono l’ispettore investigativo Kirdy.
— Prendete gli Iszici! Sono nella mia casa!
Comparvero gli Iszici, illuminati dai raggi delle torce elettriche.
— Siamo qui per reclamare ciò che ci appartiene — dichiarò Omon Bozhd.
— Che cosa vi appartiene? — domandò Kirdy con diffidenza.
— Ce l’ha in testa Farr. Si tratta di un germoglio di casa.
— Volete accusare Farr?
— Sarà meglio per loro non farlo — ringhiò Farr. — Non mi hanno perso di vista un attimo, mi hanno pedinato, perquisito, ipnotizzato…
— Il colpevole è Penche — dichiarò con voce amara Omon Bozhd. — Penche, il nostro agente, ci ha ingannati e traditi. Ormai è tutto chiarito. Ha messo sei semi dove sapeva che li avremmo trovati. Ma disponeva anche di un germoglio e lo ha innestato nel cuoio capelluto di Farr, dove non l’avremmo mai trovato.
— Che disdetta! — esclamò Penche.
Kirdy guardò Farr dubbioso. — Quel… coso, è ancora vivo?
Читать дальше