Hal Clement - Nati dall'abisso
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- Название:Nati dall'abisso
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- Год:1976
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Poi da ognuno dei sommergibili uscì un sommozzatore, e si piazzò accanto a me, aggrappandosi alla rete per risparmiarsi la fatica. Accesi le luci per un momento, ma non riconobbi le loro facce. Cominciai a pensare al tipo che avevo colpito, e a quello che dovevano provare i suoi amici, se lo avevo ferito gravemente. Qualche volta, la mente umana si avvia su strani sentieri secondari: mai, mentre mi trainavano a rimorchio, mi ero chiesto come avrebbero reagito alla mia scoperta della loro installazione segreta. Se me lo fossi chiesto, probabilmente avrei detto a me stesso che, se avessero davvero voluto liquidarmi, uno dei loro sommergibili avrebbe potuto spaccare la capsula senza fatica.
Finalmente il fondo apparve, entro la portata dei miei riflettori.
Questa volta non era luminoso. In un primo momento pensai che avessero spento le luci; poi mi resi conto che la tempesta doveva avermi trascinato ad una certa distanza, e che non avevo motivo di aspettarmi di venirmi a trovare in prossimità del telone. Quello era un comunissimo fondale marino, con tanto di tane di granchi: lo vidi benissimo, perché dopo averlo raggiunto, il sommergibile salpò quasi tutto il cavo di rimorchio e mi lasciò ad un’altezza di circa sei metri dal fondale. Potei vedere bene anche il sommergibile, e mi accorsi che non era il mio primo antagonista. Tanto per cominciare, era grande il doppio.
Le linee generali, comunque, non erano molto diverse. Aveva una quantità di strumenti all’esterno… anzi, ne aveva di più. Era stato progettato per lavorare, non per viaggiare. Anche senza la trazione ascensionale della mia capsula non avrebbe raggiunto velocità elevate, sul fondo: comunque, vedevo che ci stavamo muovendo. Ero certo che eravamo diretti verso l’entrata che avevo visto in precedenza, oppure verso un’altra identica, e continuai a guardare avanti, in attesa di scorgerne le luci.
Ne raggiungemmo un’altra. Impiegammo un paio d’ore, anche se è un particolare accademico, dato che non sapevo da dove eravamo partiti. Il pozzo era più piccolo, e quando lo raggiungemmo, non vidi traccia del tetto illuminato.
L’entrata aveva un diametro di soli otto metri: troppo piccola per il sommergibile che mi trainava, e appena sufficiente per gli altri due. Era perfettamente cilindrica, con le pareti verticali, e si apriva sul fondo di una depressione, proprio come l’altra. Era bene illuminata, e non faticai a distinguere i dettagli.
C’erano molte scale a grappe, intorno al bordo. Quando fui più vicino, riuscii a scorgere la parte terminale di quelle che si trovavano dalla parte opposta dell’apertura. Il pozzo era una specie di buco nel soffitto di una camera che si trovava ad una dozzina di metri di profondità.
C’erano parecchi altri sommozzatori, nel pozzo e tutto intorno: evidentemente ci stavano aspettando. Quando ci avvicinammo, uscirono fuori, e si raccolsero intorno alla capsula, mentre il sommergibile che mi rimorchiava si posava sul fondale, accanto all’entrata.
La capsula si sollevò, si spostò un po’ in avanti, fino a quando il cavo di trazione fu verticale. Uno dei sommozzatori fece un segnale con le braccia, ed uno dei sommergibili di scorta si avvicinò ed appese un’altra lastra di zavorra alla mia rete. La tensione della corda si allentò, ed io cominciai a scendere.
Il sommozzatore fece un altro segnale, e il cavo di rimorchio si sganciò dal sommergibile più grande. Parecchi uomini l’afferrarono; gli altri si aggrapparono alla rete e, tutti insieme, cominciarono a spingermi verso il pozzo, mentre la capsula si abbassava. A meno che fossero così stupidi da lasciarmi esattamente al di sotto del loro foro nel tetto, il che sarebbe stato troppo persino per la letteratura realista del ventesimo secolo, anche la più remota possibilità di ritornare alla superficie senza il loro consenso e la loro collaborazione sarebbe svanita non appena fossi entrato.
Ero quasi frenetico. Non chiedetemi perché ero così spaventato in un dato momento e così calmo e sicuro in un altro: non saprei spiegarvelo. Sono fatto così, e se la cosa non vi piace, se non altro non siete costretti a sopportarla.
Non so cosa feci o cosa pensai in quei pochi minuti, e se anche lo ricordassi, probabilmente preferirei non dirlo a nessuno. Il fatto era che non potevo fare assolutamente nulla. Ero come un pesciolino rosso nella sua vaschetta, e questo, talvolta, sconvolge completamente un uomo… il quale, dopotutto, è abituato ad esercitare un minimo di controllo sul suo ambiente.
Mi ero calmato un po’, quando arrivai sul bordo del pozzo: non ne conosco la ragione, ma almeno sono in grado di raccontarlo. Vi fu una sosta, quando arrivammo alla sommità delle scalette, e i sommergibili ed i sommozzatori si strinsero intorno alla capsula, e cominciarono ad appendere altra zavorra alla rete, aggravando le cose. I sommozzatori, poi, staccarono dai ganci accanto alle scale quelle che sembravano cinture portautensili, e se le affibbiarono alla vita, anche se non capivo perché avrebbero dovuto averne più bisogno dentro che fuori. O almeno, in un primo momento non ne compresi la ragione: poi mi venne in mente che gli utensili potevano servire ad aprire la mia capsula. Per il momento, preferii non pensarci.
Dall’interno, il pozzo sembrava ancora di più un foro in un tetto. La camera in basso era molto più vasta di quanto avessi immaginato: una trentina di metri di lato. L’entrata era semplicemente un cerchio nero sopra di me, e poi, mentre guardavo, non fu più sopra la mia testa. I sommozzatori mi stavano spingendo verso una delle pareti.
Pensai per un momento che rotolare sul soffitto sarebbe stato più facile che sul fondo del mare, ma scacciai quell’idea troppo accademica. Il mio morale migliorava, ma era ancora parecchio depresso.
Se non altro ero ancora vivo, e in un certo senso il mio compito l’avevo svolto. Avevo sganciato il transponder vicino ad un’entrata, e ritenevo probabile che non lo avessero trovato. Il mio segnale si era irradiato alla superficie per parecchie ore, e senza dubbio era stato captato. Il Consiglio avrebbe saputo che io avevo fatto qualcosa, e certamente avrebbe voluto accertare che cosa mi era successo. Se avessero rastrellato il fondale con un sonar ad alto potere di risoluzione, difficilmente si sarebbero lasciati sfuggire la superficie liscia del telone, anche se i transponder non avessero funzionato. Anzi, considerata l’ampiezza apparente della tenda, era abbastanza sorprendente che i normali rilevamenti di profondità non l’avessero ancora individuata.
Avrei dovuto pensare di più a quel particolare, anche se sarebbe servito a far precipitare di nuovo il mio morale. Così, potevo credere che l’installazione sarebbe stata trovata presto, anche se non avessero trovato me.
La grande camera non presentava molti particolari degni di nota. In un primo momento pensai che fosse un vano stagno, o il vestibolo di uno di essi, ma la grande galleria che vi sfociava non aveva porte. Alle pareti c’erano pannelli più piccoli, che potevano essere portelli: alcuni erano di dimensioni sufficienti per lasciare passare un essere umano.
I sommozzatori mi rimorchiarono dentro la galleria. Aveva un diametro di sei metri abbondanti, molto più di quanto fosse necessario per la capsula, ed era illuminata quasi come la camera che avevamo appena lasciato. Provai di nuovo un impulso di collera nei confronti di quegli individui che sperperavano l’energia con tanta disinvoltura. E cominciavo anche a domandarmi dove potevano procurarsene tanta. Naturalmente, nel mio lavoro mi ero imbattuto altre volte in contrabbandieri di energia: ma non avevo mai visto un’organizzazione come quella.
Percorremmo soltanto pochi metri, una ventina al massimo, prima di arrivare in un’altra grande camera. Mi trainarono lì dentro. C’erano molte altre gallerie più piccole, o pozzi, dovrei dire, che si aprivano sul pavimento: ne contai otto, ad una prima occhiata. Nessuna di quelle aperture aveva portelli. A quanto pareva, gran parte dell’installazione era allagata, e sottoposta alla pressione esterna. Forse era una miniera: questo avrebbe spiegato l’abbondanza di energia, se veniva estratto uranio o torio; e non sarebbe stato semplice mantenere sgombri dall’acqua tutti i pozzi e i corridoi tortuosi di una miniera sottomarina.
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