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Robert Silverberg: Morire dentro

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Robert Silverberg Morire dentro

Morire dentro: краткое содержание, описание и аннотация

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Morire dentro: è questa la sorte che attende David Selig, il telepate, profilandosi come un incubo all’orizzonte della sua esistenza. Una minaccia a un tempo psichica e biologica corrode i suoi poteri: e per Selig, abituato a «spiare» gli angoli più morbosi e reconditi dei suoi simili, a nutrirsi delle emozioni altrui, il lento affievolirsi delle proprie capacità è un graduale stillicidio. Robert Silverberg ci trasporta con questo romanzo (uno dei suoi ultimi) nella mente del telepate, sicché il lettore può provare, in «soggettiva», l’incredibile esperienza dl guardare in un altro universo, condividendo le emozioni dl una terza vista. Selig raggiunge cosi l’età in cui il suo dono potrebbe maggiormente giovargli: e invece si trova nuovamente respinto da una società che non è pronta per quelli come lui, e in cui anche il rapporto con un essere che possiede i suoi stessi poteri ESP diventa ambiguo e pericoloso. Moderno «Slan», David Selig si trova di fronte a un enigma troppo vasto per la sua fragile personalità: perchè sta perdendo il suo potere mentale? Si tratta solo di un male biologico, o di una minaccia più insidiosa? E che cosa sarà di lui al termine di questa incredibile «odissea nel pensiero»? Come ha scritto la rivista Analog: «Questo romanzo è intensamente umano… intensamente vero. I lettori ricorderanno per una generazione, e forse ancor più». Robert Silverberg non ha bisogno di presentazioni; ha scritto di lui: «E il nostro autore migliore. Di volta in volta ha costantemente ampliato i parametri della fantascienza».

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Rimorso, auto-disprezzo e paura dell’inferno. Digiuno e preghiera. Flagellazione e cilicio. Ognuno usa il sistema, suppongo, che gli va a pennello. Dal momento che il potere si affievolisce in me, dal momento che il dono sacrosanto sta morendo, mi trastullo con l’idea di farlo rivivere artificialmente. Droga, mescalina, psilocibina? Non penso che mi piacerebbe ritornarci. Mortificazione della carne? A me pare antidiluviano, come partire per le Crociate o mettersi le ghette: una cosa del genere, semplicemente, non va più nel 1976. Comunque, ho i miei dubbi che andrei molto in profondità nel flagellarmi. Che cos’è che resta? Digiuno e preghiera? A digiunare ce la farei, suppongo. La preghiera? Rivolta a chi? A che cosa? Mi sentirei uno stupido. Caro Dio, ridammi il mio potere. Caro Mosé, per piacere aiutami. Merda! I giudei non pregano per ottenere favori, dal momento che loro sanno bene che nessuno risponderà. Che cosa resta, allora? Rimorso, auto-disprezzo e la paura dell’inferno? Ce li ho già tutti e tre, eppure non mi servono a niente. Dobbiamo tentare qualche altra strada per stimolare il potere, affinché ritorni a vivere. Inventiamo qualcosa di nuovo. Flagellazione della mente, forse? Sì. Tenterò questo. Tirerò fuori i bastoni metaforici e lascerò che mi colpiscano. Flagellazione della mente accorata, indebolita, palpitante, morente. La mente traditrice, odiosa.

6

Ma perché David Selig ha bisogno che il suo potere ritorni? Perché non lascia che si dissolva? Per lui, è sempre stato una maledizione, no? Lo ha tagliato fuori dagli altri uomini e lo ha condannato a una vita senza amore. Ma lascialo perdere, David. Lascia che svanisca. Però, d’altra parte, che cosa sei senza il potere? Senza quell’unico vacillante imprevedibile insoddisfacente mezzo di contatto con loro, come riuscirai ad arrivare a loro, comunque? Il tuo potere ti tiene unito all’umanità, per il meglio o per il peggio, nell’unico modo di unione che tu abbia: non puoi sopportare l’idea di rinunciarvi. Ammettilo. Lo ami e lo disprezzi, questo tuo dono. Hai il terrore di perderlo, nonostante tutto quello che ti ha fatto. Lotterai per restare aggrappato ai suoi ultimi brandelli, anche se sai bene che la lotta è senza speranza. Lotta, allora. Rileggi Huxley. Prova con l’acido, se ne hai il coraggio. Prova con la flagellazione. Prova con il digiuno, almeno. Benissimo, il digiuno. Salterò la colazione. Salterò l’involtino con le uova. Facciamo scivolare un foglio bianco nella macchina per scrivere e pensiamo a Odisseo come simbolo sociale.

7

Ascolta il suono argentino del telefono. È tardi. Chi chiama? È Aldous Huxley dalla tomba che mi stimola ad aver coraggio? Il dottor Hittner, con qualche importante domanda sul fatto di fare pipì? Toni, per dirmi che lei è nei paraggi con un migliaio di cartine di potentissimo acido per chiedermi se è okay che lei salga? Ma certo. Mi concentro sul telefono, ma quello non rivela niente. Il mio potere, anche quando era al culmine, non poteva penetrare la coscienza della Compagnia Americana dei Telefoni e dei Telegrafi. Sospirando, sollevo il ricevitore al quinto squillo e sento la voce di contralto di mia sorella.

— Ti ho interrotto in qualcosa? — Tipica apertura di Judith.

— Una tranquilla serata in casa. Sto stendendo, per conto terzi, una relazione finale sull’Odissea. Ti è venuta qualche brillante idea per me, Jude?

— Sono due settimane che non telefoni.

— Ero al verde. Dopo quella scenata dell’ultima volta, non avevo proprio voglia di tirar fuori l’argomento soldi, e recentemente è diventato l’unico argomento di cui riesco a parlare; perciò non ho telefonato.

— Merda! — dice lei — io non ero arrabbiata con te.

— Urlavi come una pazza furiosa.

— Non le pensavo davvero, quelle cose. Come puoi credere che parlassi sul serio? Perché urlavo? Pensi sul serio che io ti consideri un… un… come ti ho chiamato?

— Un incapace parassita, mi sembra.

— Un incapace parassita. Merda. Ero tesa, quella sera, Duv; ho anch’io i miei problemi, e le mestruazioni erano in ritardo. Ho perso il controllo. Ho urlato la prima cazzata che mi è saltata in mente; ma perché ci hai creduto? Da quando hai cominciato a prendere sul serio quello che la gente ti dice con la bocca?

— Jude… lo stavi dicendo anche con la testa.

— Cosa? — La sua voce diventa di colpo debole e pentita.

— Sei sicuro?

— Era chiarissimo.

— Oh, Gesù, Duv, abbi un po’ di cuore! In quel momento avrei potuto pensare qualunque cosa. Però al di sotto della rabbia… al di sotto , Duv… tu devi aver visto che io non intendevo quello. Che io ti amo, che non voglio liberarmi di te. Tu sei tutto quello che ho, Duv, tu e il piccolino.

Il suo amore ha un sapere sgradevole, e i suoi sentimentalismi sono anche peggio, per i miei gusti. Dico: — Non leggo più quello che sta sotto, Jude. In questi giorni non capto granché. Comunque, ascolta, non vale la pena che ci scaldiamo per questo. Io sono un incapace parassita, e mi sono fatto prestare da te molto più di quanto tu potevi permetterti. Quella pecora nera del tuo fratellone si sente abbastanza colpevole. Mi venga un accidente se vengo più a chiederti dei soldi.

— Colpevole? Tu parli di colpa, quando io…

— No — la metto in guardia — adesso non metterti a giocare coi sensi di colpa, Jude. Non adesso. — Il suo rimorso per la passata freddezza nei miei riguardi puzza ancor più del suo ritrovato amore. — Non me la sento, stasera, di determinare la proporzione tra colpe e sensi di colpa.

— Benissimo. Benissimo. Ma ne hai di soldi?

— Te l’ho detto, scrivo tesine. Mi pagano per questo.

— Ti andrebbe venire qui, per cena, domani sera?

— Penso che farei meglio a lavorare. Ho un mucchio di roba da scrivere, Jude. È la stagione di punta.

— Ci saremo soltanto noi due. E il piccolo, naturalmente, ma lo metterò a letto presto. Soltanto tu e io. Potremmo parlare. Abbiamo tante cose da dirci. Perché non vieni, Duv? Non hai bisogno di lavorare in continuazione, giorno e notte. Ti cucinerò qualcosa che ti piace. Ti farò spaghetti in salsa piccante. Quello che vuoi. Basta che tu mi dica di sì. — Sta implorandomi, questa sorella di ghiaccio che per venticinque anni non mi ha dato nient’altro che astio. Vieni e sarò una mamma per te, Duv. Vieni e permetti che mi mostri affettuosa, fratello.

— Forse dopodomani. Ti telefonerò io.

— Nessuna possibilità per domani?

— Non credo — dico io. Silenzio. Non vuole supplicarmi. Nel silenzio improvviso, che urla, io dico: — Che cosa ti è successo, Judith? Hai visto qualcuno che ti interessa?

— Non ho visto proprio nessuno. — Una punta di durezza nella sua voce. È divorziata da due anni e mezzo; spesso passa la notte in giro; sta inacidendo, nell’anima. Ha 31 anni. — Sono sempre in mezzo agli uomini, adesso. Ma, tutto sommato, ne sono lontana. Non me n’importa più niente di qualche chiavata occasionale.

Io soffoco una risatina. — Che cos’è successo di quell’agente di commercio che avevi conosciuto? Mickey?

— Marty. Non ha mai contato niente. Mi ha fatto girare tutta l’Europa al 10 per cento del prezzo. Altrimenti non avrei potuto permettermi di andarci. Me ne sono servita.

— Ah, è così?

— Mi sentivo una merda, per questo. Il mese scorso ho litigato. Non lo amavo. Penso che nemmeno mi piacesse.

— Però, prima, gli sei girata intorno abbastanza da fare un giro in Europa.

A lui non è costato niente, Duv. Ero io che dovevo andare a letto con lui; lui doveva solo riempire moduli. Che cosa vuoi dire? Che sono una puttana?

— Jude…

— Okay, sono una puttana. Ma adesso sto tentando di rigar dritto per un po’. Montagne di succo d’arancia gelato e un mare di libri impegnati. Sto leggendo Proust, sai? Ho appena finito La strada di Swann , e domani…

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