— Quanto tempo ci vuole perché faccia effetto? — chiesi.
— Circa un’ora e mezzo — rispose.
In realtà andò meglio: cinquanta minuti. Eravamo ritornati nella nostra stanzetta, avevamo chiuso a chiave la porta; deboli ineguali note di Bach provenivano dal giradischi portatile. Tentai di mettermi a leggere, e anche Toni; le pagine non le voltavamo troppo alla svelta. Di colpo lei alzò lo sguardo e disse: — Comincio a sentirmi un po’ strana.
— Strana come?
— Ho le vertigini. Un leggero senso di nausea. Sento un formicolio sul collo, qui dietro.
— Posso darti qualcosa? Un bicchier d’acqua? Un succo?
— Niente, grazie. Sto benissimo. Veramente. — Un sorriso, timido ma genuino. Sembrava un po’ tesa, però per niente impaurita. Impaziente di cominciare il viaggio. Misi giù il libro e la osservai, vigile, sentendomi protettivo, desiderando quasi di avere qualche occasione per essere utile. Non volevo assolutamente che lei facesse un brutto viaggio, soltanto desideravo esserle utile.
Lei mi tenne continuamente informato sul progredire dell’acido attraverso il suo sistema nervoso. Io presi nota finché lei osservò che lo scricchiolio della matita sul foglio la distraeva. Gli effetti visivi erano incominciati. Le pareti le parvero leggermente concave, e le crepe nell’intonaco avevano assunto uno straordinario disegno di grande complessità. Il colore di ogni minima cosa diveniva naturalmente brillante. I raggi di luce solare che entravano attraverso la finestra sconnessa erano frammenti prismatici dello spettro vomitati sul pavimento. La musica — avevo messo sull’automatico un mucchio dei suoi dischi preferiti — aveva acquistato una curiosa nuova intensità; lei cominciava ad avere difficoltà a seguire le linee melodiche, e le pareva che il piatto si arrestasse e ripartisse, però il suono stesso, in quanto suono, aveva un’indescrivibile qualità di densità e di tangibilità che l’affascinava. C’era un fischio nelle sue orecchie, come di aria che passasse veloce sopra le sue guance. Parlò di un senso di estraneità che la pervadeva. — Sono su qualche altro pianeta — disse due volte. Appariva arrossata, eccitata, felice. Ricordando i racconti terrificanti di cui avevo sentito parlare, di discese agli inferi indotte dall’acido, resoconti strazianti di paurose vicende amabilmente riportati per la delizia di milioni di persone dai diligenti anonimi giornalisti di Time e Life , stavo quasi per piangere rilevando, di fronte all’evidenza, che la mia Toni sarebbe passata attraverso il suo viaggio indenne. Avevo temuto il peggio. Invece lei stava facendolo proprio benissimo. Aveva gli occhi chiusi, la sua faccia era serena ed esultante, il suo respiro profondo e rilassato. Era perduta nei trascendentali regni del mistero, la mia Toni. Adesso mi stava parlando semplicemente, rompendo i suoi silenzi soltanto ogni qualche minuto per mormorarmi qualcosa di indistinto e di contorto. Era passata una mezz’ora da quando lei aveva cominciato a dire di provare strane sensazioni. Via via che si immergeva più profondamente nel suo viaggio, anche il mio amore per lei si faceva sempre più profondo. La sua abilità di tener testa all’acido era la prova della radicale solidità della sua personalità, e questo mi piaceva immensamente. Io ammiro le donne capaci. Già avevo programmato il mio viaggio per il giorno seguente, dopo aver selezionato l’accompagnamento musicale, dopo aver tentato di immaginare il tipo di interessanti distorsioni della realtà che avrei sperimentato, non vedendo l’ora di poter, poi, analizzare le annotazioni insieme a Toni. Ero molto pentito della vigliaccheria che mi aveva privato del piacere di viaggiare con Toni quello stesso giorno.
Però, cos’è questo, adesso? Che cosa sta succedendo alla mia testa? Perché questo improvviso senso di soffocamento? Questo peso sul mio petto? Questa sensazione di aridità alla gola? Le pareti stanno piegandosi; l’aria sa di chiuso e pesante; il mio braccio destro è di colpo un piede più lungo del sinistro. Questi sono effetti che Toni ha comunicato e descritto pochi attimi fa. Perché adesso li provo io? Sto tremando. Sulle mie cosce i muscoli scattano per conto loro. È quello che chiamano alto contatto? Soltanto perché sono così vicino a Toni mentre lei è in viaggio, lei mi trasmette delle particelle di LSD e io inavvertitamente assorbo un qualche contagio presente nell’atmosfera?
— Mio caro Selig — dice la mia poltrona con aria di sufficienza — come puoi essere così stupido? È ovvio che tu stai captando questi fenomeni direttamente dalla sua mente!
È ovvio? È proprio così ovvio? Prendo in considerazione questa possibilità. Sto leggendo Toni senza saperlo? Apparentemente sto facendolo. Prima, c’è sempre voluto qualche sforzo di concentrazione, anche se leggero, per mettere bene a fuoco la mente di un altro. Sembra, però, che l’acido intensifichi la sua emissione e me la offra senza che l’abbia cercata. Quale altra spiegazione ci potrebbe essere? Lei sta irradiando il suo viaggio; e in qualche modo io sono sintonizzato sulla sua lunghezza d’onda, a dispetto di tutti i miei nobili propositi di rispettare la sua privacy. E ora le stranezze dell’acido infettano me allo stesso modo, affluiscono attraverso la breccia aperta tra noi.
Devo tirarmi fuori dalla sua mente?
Gli effetti dell’acido mi distraggono. Guardo Toni e lei appare trasformata. Una piccola escrescenza nera in fondo alla sua guancia, vicino all’angolo della bocca, lampeggia in un vortice di colori sfavillanti: rosso, azzurro, viola, verde. Le sue labbra troppo piene, la sua bocca troppo larga. Tutti quei denti. File su file su file, come un pescecane. Come ho fatto a non accorgermi prima di quella bocca da animale feroce? Lei mi spaventa. Il suo collo si allunga; il suo corpo si comprime; sul suo petto il solito golfino rosso va su e giù come sotto il respiro di animali infaticabili, quel golfino che ha assunto un’inquietante, minacciosa sfumatura porporina. Per sfuggire a lei, guardo verso la finestra. Un tipo di crepe di cui non mi ero mai accorto prima corrono sui vetri sporchi. Certamente, da un momento all’altro, la finestra scoppierà e ci coprirà di taglienti frammenti di vetro. La costruzione dall’altra parte della strada oggi è innaturalmente tozza. C’è minaccia nella sua forma alterata. Il soffitto sta venendo contro di me, anche quello. Sento sulla mia testa sordi colpi di tamburo — i passi dei miei vicini del piano di sopra, dico a me stesso — e immagino cannibali che stanno preparandosi da mangiare. È questo un viaggio? È questo che i giovani della nostra nazione hanno fatto a se stessi, volontariamente, addirittura avidamente, per il gusto di divertirsi?
Devo troncarlo, prima che mi renda completamente folle. Ho bisogno di uscire.
Bene, presto fatto. Ho i miei metodi per bloccare le emissioni, per sospendere il flusso. Soltanto che questa volta non funzionano. Sono senza risorse contro il potere dell’acido. Tento di chiudermi fuggendo via da queste sensazioni insolite e sconvolgenti, e loro continuano ad avanzare dentro di me, come se niente fosse. Io sono completamente spalancato a ogni emanazione di qualsiasi tipo che provenga da Toni. Ci sono preso dentro. Vado sempre più in profondità. Questo è proprio un viaggio. È un brutto viaggio. È proprio un bruttissimo viaggio. Che strano: Toni sta facendo un buon viaggio, è chiaro. Pare così a qualunque osservatore esterno. Allora perché io, che per puro caso ho fatto l’autostop nel suo viaggio, mi ritrovo a farne uno così brutto?
Tutto quello che c’è nella mente di Toni fluisce nella mia. Il captare l’anima di un altro non è un’esperienza nuova per me; questo, però, è un transfert che non ho mai sperimentato prima, perché l’informazione modulata della droga mi arriva spaventosamente distorta. Sono uno spettatore involontario nella mente di Toni, e quello che vedo è un sabba di démoni. È possibile che simili tenebre allignino veramente in lei? Non avevo visto niente del genere le altre due volte: forse l’acido ha fatto affiorare qualche livello da incubo che prima mi era inaccessibile? Il suo passato è lì, in sfilata. Immagini sfarzose, immerse in una luce fosca. Amanti. Accoppiamenti. Abominazioni. Un torrente di sangue mestruale; oppure questo fiume scarlatto è qualcosa di più sinistro ancora? Ecco un grumo di dolore: che cos’è? Crudeltà verso gli altri? Crudeltà verso se stessa? E guarda come si offre a quella schiera di uomini mostruosi! Avanzano meccanicamente, un’enorme legione. I loro cazzi rigidi lanciano scintillii di una terrificante luce rossastra. Uno dopo l’altro si immergono dentro di lei e vedo la luce sprizzar fuori dai suoi lombi, mentre la scopano. Le loro facce sono maschere. Non ne conosco nessuno. Perché non ci sono anch’io in riga? Dove sono io? Ah, eccomi là: fuori tiro, in un angolino, insignificante, irrilevante. Sono io quella cosa lì? Così lei mi vede di fatto? Un peloso pipistrello, vampiro, un succhiatore di sangue accovacciato lì casualmente? O è soltanto l’immagine che David Selig ha di David Selig, che rimbalza tra di noi come riflessi in specchi paralleli di un negozio di barbiere? Dio mi aiuti, sto proiettando su di lei il mio viaggio nero, per poi leggerlo di ritorno da lei e finire col biasimarla, perché accoglie incubi che non si sarebbe mai sognata?
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