Un giorno saprò la risposta.
«A quest’ora avrai già capito che sono rientrato nella Sala della Creazione, nella pace delle Banche Memoria. Qualsiasi cosa accada, spero nel Computer Centrale e nelle forze che esso controlla per il bene di Diaspar.
Se qualcuno manometterà il Computer Centrale, siamo perduti. Se no, non ho niente da temere. Quando rinascerò, che sia tra cinquecento o tra centomila anni, sarà come se avessi dormito solo un istante. Come ritroverò la città? Tu forse non ci sarai, ma un giorno o l’altro ci incontreremo di nuovo. Non saprei dire se sono ansioso di vivere quell’incontro o se lo temo.
Non ti ho mai capito, Alvin, anche se c’è stato un tempo in cui sono stato tanto sciocco da crederlo. Soltanto il Computer Centrale sa la verità, ed è il solo a sapere che ne è stato degli altri Unici. Hai per caso scoperto che fine hanno fatto?
«Forse una delle ragioni per cui cerco rifugio nel futuro è che sono impaziente. Voglio vedere i risultati di ciò che hai iniziato, ma preferisco non esserci durante gli stadi intermedi, che potrebbero essere poco piacevoli.
Sarà interessante vedere, nel mondo che mi troverò davanti al mio risveglio, se ti ricorderanno come un creatore o come un distruttore, o se ti avranno dimenticato.
«Arrivederci, Alvin. Avevo pensato di darti qualche consiglio, ma tanto so che non li seguiresti. Farai la tua strada, come hai sempre fatto, e i tuoi amici non saranno che strumenti da usare o scartare secondo le circostanze. Questo è tutto. Non ho altro da aggiungere.»
Per un attimo Khedron, il Khedron che ormai non era altro che una piccola massa di cariche elettriche nelle celle-memoria della città, guardò Alvin con rassegnazione e tristezza. Poi l’immagine si dissolse.
Alvin restò a lungo immobile. Per la prima volta nella sua vita stava facendo un esame di coscienza; doveva ammettere la verità di ciò che aveva detto Khedron. Quando mai, preso dai suoi progetti e dalle sue avventure, si era fermato a considerare se le sue azioni potevano danneggiare i suoi amici? Li aveva lasciati in ansia, e forse, fra poco, avrebbe procurato loro dispiaceri anche maggiori… Tutta la sua insaziabile curiosità e il desiderio di scoprire cose che non dovevano essere conosciute.
Non aveva mai provato affetto per Khedron; il carattere chiuso del Buffone non permetteva forti legami d’amicizia. Ma più ripensava alle parole di congedo di Khedron, più si sentiva assalire dai rimorsi. Per colpa sua, il Buffone aveva deciso di scomparire per rifugiarsi nell’ignoto futuro.
Tuttavia, cercava di consolarsi Alvin, quel fatto provava solo quel che aveva sempre sospettato: Khedron era un codardo. Forse non più codardo di chiunque altro a Diaspar, ma con la sfortunata aggravante di possedere una fantasia molto accesa. Alvin si sentiva responsabile del destino dell’amico, ma solo in parte.
Chi altro aveva danneggiato e deluso a Diaspar? Ripensò a Jeserac, il tutore, che aveva usato tanta pazienza col più insubordinato dei suoi pupilli.
Ricordò tutte le gentilezze che i genitori gli avevano prodigato in tanti anni, e soprattutto ripensò ad Alystra. Alystra l’aveva amato, e lui aveva accettato quell’amore o l’aveva ignorato a capriccio. Forse la ragazza sarebbe stata più felice se lui l’avesse disprezzata del tutto?
Ora capiva anche perché non aveva mai amato Alystra, né alcun’altra ragazza di Diaspar. Questa era un’altra lezione ricevuta da Lys. Diaspar aveva dimenticato molte cose, e fra esse il vero significato dell’amore. Ad Airlee aveva visto le mamme cullare i piccini sulle ginocchia e aveva lui stesso provato un senso di tenera protezione verso quelle creaturine indifese.
Ma nessuna donna a Diaspar conosceva o si curava di ciò che era stato un tempo il fine ultimo di un vero amore.
Non c’erano emozioni sincere, né passioni profonde nella città immortale, forse perché quei sentimenti non potevano durare in eterno, e facevano quindi parte dei concetti che Diaspar aveva bandito.
Fu in quel momento, se mai tale momento ci fu, che Alvin comprese quale doveva essere il suo destino, in che cosa poteva risiedere la felicità.
Fino a quel momento era stato l’inconscio agente dei suoi impulsi. Se avesse potuto conoscere un’analogia arcaica, si sarebbe paragonato a un cavaliere in groppa a un cavallo imbizzarrito. Quella sua cavalcatura l’aveva portato in molti luoghi bizzarri, e poteva rifarlo. Ora, però, lui aveva imparato a governarla, e si sarebbe fatto portare dove voleva veramente andare.
Le fantasticherie di Alvin vennero bruscamente interrotte dal tintinnio discreto dello schermo murale. Era il segnale che qualcuno desiderava entrare. Rispose col segnale d’ammissione, e un attimo dopo si trovò davanti Jeserac.
Il tutore aveva un’aria grave, ma non ostile. «Sono incaricato di accompagnarti di fronte al Consiglio, Alvin» disse. «È riunito per ascoltarti.» Poi Jeserac vide il robot e lo esaminò attentamente. «Dunque, questo è il compagno che hai condotto dai tuoi viaggi. Sarà meglio portarlo con noi.»
Era quel che Alvin intendeva fare.
Il robot lo aveva già salvato da una situazione pericolosa e poteva essergli ancora utile. Si domandò cosa poteva pensare di tutte le avventure e vicissitudini in cui l’aveva coinvolto, e desiderò, forse per la millesima volta, poter capire cosa stava passando per quella mente ermeticamente chiusa.
Alvin ebbe l’impressione che il robot avesse deciso di osservare, analizzare, trarre le conclusioni, e non far niente di sua volontà fino al momento in cui non l’avesse ritenuto necessario. Avrebbe cominciato ad agire all’improvviso, e forse in modo non aderente ai piani di Alvin. Lui e il robot erano uniti da un sottile filo che si poteva rompere da un momento all’altro.
Alystra li stava aspettando sulla rampa che portava giù in strada. Anche se Alvin avesse voluto biasimarla per essersi immischiata in cose che non la riguardavano, gliene sarebbe mancato il coraggio. La ragazza era fin troppo mortificata, e gli occhi le brillavano di lacrime, quando gli corse incontro.
«Oh, Alvin!» gridò. «Che cosa ti faranno?»
Alvin le prese le mani con una tenerezza che sorprese entrambi.
«Non aver paura, Alystra. Andrà tutto bene. Alla peggio, il Consiglio potrebbe rimandarmi nelle Banche Memoria… Ma vedrai che non lo farà.»
La bellezza e il dolore di Alystra erano così commoventi che Alvin si sentì irresistibilmente attratto verso di lei. Ma era solo attrazione fisica; insufficiente, ormai, per Alvin. Ritrasse dolcemente le mani e si voltò per seguire Jeserac verso la Camera del Consiglio.
Mentre lo guardava allontanarsi, Alystra si sentì struggere da un senso di solitudine, non più di amarezza. Ora sapeva di non averlo perso, poiché Alvin non era mai stato suo, e quella consapevolezza la metteva al di là di ogni vano rimpianto.
Alvin non fece quasi caso agli sguardi curiosi e inorriditi che gli lanciarono i concittadini mentre lui e il suo seguito camminavano lungo le strade. Stava riordinando gli argomenti che avrebbe dovuto usare, e cercava di costruire una storia che risultasse a suo completo favore. Di tanto in tanto si ripeteva che non correva nessun pericolo e che le redini della situazione erano ancora in mano sua.
Aspettarono nell’atrio per qualche minuto. E in quei brevi istanti Alvin si domandò come mai, se non aveva paura, si sentiva le gambe tanto deboli.
L’unica volta che aveva provato una sensazione del genere era stata quando si era arrampicato lungo gli ultimi metri di una lontana collina di Lys.
La collina che Hilvar aveva voluto scalare per mostrargli la cascata, e da dove avevano visto l’esplosione di luce che li aveva attirati a Shalmirane.
Cercò di immaginare cosa stesse facendo Hilvar in quel momento, e se si sarebbero nuovamente incontrati. A un tratto gli parve che questo fosse di estrema importanza.
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