Alvin si rilassò solo quando rivide attorno a sé la camera delle Vie Mobili. Fino all’ultimo aveva temuto che quelli di Lys sarebbero riusciti a fermare la sotterranea, riportandolo al punto di partenza, invece il viaggio era stato la pacifica ripetizione di quello d’andata: quaranta minuti dopo aver lasciato Lys, Alvin era nella tomba di Yarlan Zey.
Alcuni emissari del Consiglio lo stavano aspettando, paludati nei severi abiti neri che non avevano più indossato da secoli. Alvin non ne fu né sorpreso né allarmato. Aveva superato tanti ostacoli che uno di più non gli faceva paura. Le cose che aveva appreso da quando aveva lasciato Diaspar gli davano una grande sicurezza e inoltre aveva un alleato potente, anche se un po’ imprevedibile. Le migliori menti di Lys non avevano potuto intralciare i suoi piani; Diaspar, tutto sommato, non poteva fare di più.
C’era un motivo razionale in questa sua convinzione, ma era basato in parte su qualcosa che andava oltre la logica: la fede nel suo destino. Il mistero delle sue origini, l’aver fatto cose che nessuno aveva mai compiute, il modo in cui nuovi orizzonti gli si erano aperti, tutto ciò aumentava la fiducia che Alvin aveva in se stesso. La fiducia nel proprio destino è uno dei doni più preziosi che gli dèi abbiano elargito all’uomo, ma Alvin non immaginava quanti ne avesse portati alla completa rovina.
«Alvin» esordì il capo dei censori della città «abbiamo ordine di accompagnarti ovunque tu vada, finché il Consiglio non avrà ascoltato il tuo caso ed emesso un verdetto.»
«Di che cosa sono accusato?» s’informò Alvin. Era ancora felice per il modo com’era riuscito a scappare da Lys, e non riusciva a prendere sul serio questi nuovi sviluppi. Forse Khedron aveva parlato; provò un po’ di risentimento contro il Buffone che non aveva saputo starsene zitto.
«Nessuna accusa, per ora. Vogliamo prima ascoltarti.»
«Quando?»
«Prestissimo, credo.» Il censore era a disagio, non sapeva come comportarsi. Un momento trattava Alvin come un qualsiasi cittadino, poi si ricordava tutt’a un tratto di averlo in consegna e prendeva un’aria ufficiale e impacciata.
«Questo robot» fece bruscamente indicando il compagno di Alvin «da dove viene? È uno dei nostri?»
«No. L’ho portato da Lys, la terra che ho visitato. Voglio farlo incontrare col Computer Centrale.»
Quelle parole produssero una grandissima impressione. Il fatto che esistesse qualche luogo fuori di Diaspar era già difficile da accettare, ma che poi Alvin si fosse tirato dietro uno degli abitanti col proposito di presentarlo al Computer Centrale era addirittura sbalorditivo. I censori si guardarono senza sapere che dire. Alvin riuscì a stento a trattenere una risata.
Mentre attraversava il Parco, coi guardiani che si tenevano a rispettosa distanza bisbigliando fra loro, agitatissimi, Alvin meditava sulla prossima mossa. Per prima cosa doveva scoprire con esattezza cos’era accaduto durante la sua assenza. Seranis gli aveva comunicato che Khedron era scomparso. A Diaspar erano innumerevoli i posti in cui un uomo poteva nascondersi, e dato che il Buffone conosceva perfettamente la città sarebbe stato molto difficile trovarlo prima del giorno in cui avesse deciso di tornare in circolazione. Forse, pensò Alvin, avrebbe potuto lasciare un messaggio in un posto dove Khedron avrebbe finito col vederlo, e combinare un appuntamento. Ma la presenza delle persone che gli erano state messe a guardia poteva renderlo impossibile.
Doveva ammettere che la sorveglianza era molto discreta. Quando raggiunse il suo appartamento aveva quasi dimenticato di essere seguito. Probabilmente non gli avrebbero dato noia, a meno che non avesse tentato di lasciare Diaspar, cosa che per il momento non aveva intenzione di fare.
Del resto, doveva essere impossibile tornare a Lys con la sotterranea. A quest’ora Seranis e i suoi amici l’avevano certamente messa fuori uso.
I censori non si introdussero in casa; sapevano che c’era una sola uscita e si fermarono fuori, di guardia. Poiché non avevano istruzioni per il robot, lo lasciarono con Alvin. Era una macchina con cui non volevano avere niente a che fare, dato che proveniva dall’esterno. Da come si comportava, non potevano stabilire se il robot fosse servo passivo di Alvin, o se agiva di sua volontà. Nel dubbio, pensarono conveniente lasciarlo alle cure di Alvin.
Appena la parete si fu chiusa alle sue spalle, Alvin materializzò il suo divano preferito e vi si gettò di peso. Felice di ritrovarsi tra le cose familiari, richiamò dalle unità-memoria gli ultimi suoi tentativi di pittura e scultura e li esaminò con occhio critico. Se prima non lo avevano soddisfatto, ora gli facevano addirittura orrore. Non poteva nemmeno soffrirne la vista.
La personalità che li aveva creati aveva cessato di esistere. Ad Alvin, nei pochi giorni passati lontano da Diaspar sembrava di aver accumulato le esperienze di una vita intera.
Cancellò tutti i prodotti della sua adolescenza. In modo completo, per evitare di ritrovarli nelle Banche Memoria, e la stanza tornò vuota. Erano rimasti soltanto il divano su cui sedeva e il robot, che continuava a guardarlo con grandi occhi impassibili. Che ne pensava di Diaspar? Poi Alvin ricordò che il robot aveva già visto la città, nei giorni degli ultimi contatti con le stelle.
Quando si sentì nuovamente a suo agio, Alvin si decise a chiamare gli amici. Cominciò con Eriston ed Etania. Più per dovere che per un vero desiderio di vederli e parlare con loro. Quando il comunicatore rispose che erano irreperibili, non ebbe nessun dispiacere. Lasciò comunque un breve messaggio per annunciare il suo ritorno, per quanto fosse superfluo, dato che l’intera città doveva esserne ormai al corrente. Ma lo fece sperando che avrebbero apprezzato il suo pensiero. Cominciava a imparare ad avere considerazione per gli altri, anche se non si era ancora reso conto che, come tutte le virtù, se non era spontanea non aveva un grande valore. Poi, mosso da un improvviso impulso, chiamò il numero che Khedron gli aveva dato tanto tempo prima nella Torre di Loranne.
Non si aspettava nessuna risposta, ma c’era la possibilità che Khedron avesse lasciato un messaggio.
La supposizione era esatta, ma il messaggio in sé era sconcertante e inaspettato.
La parete si dissolse e il Buffone gli apparve dinanzi. Sembrava stanco e nervoso; non era più l’individuo sicuro di sé, un po’ cinico, che Alvin aveva salutato nella sotterranea. Aveva un’espressione smarrita e parlava come se non gli restasse che poco tempo.
«Alvin» cominciò «ti lascio una registrazione. Solo tu la puoi ricevere, e puoi usarla nel modo che credi più opportuno. Quando sono uscito dalla Tomba di Yarlan Zey mi sono accorto che Alystra ci aveva seguiti. Deve aver detto al Consiglio che tu avevi lasciato Diaspar e che io ti avevo aiutato. Poco dopo i censori sono venuti a cercarmi, così ho deciso di nascondermi. Ci sono abituato, l’ho fatto altre volte, quando i miei scherzi non venivano apprezzati. Loro non sarebbero riusciti a trovarmi neppure tra mille anni, ma qualcun altro ci è quasi riuscito. Ci sono degli stranieri a Diaspar, Alvin: non possono che essere venuti da Lys, e mi stanno dando la caccia. Non so cosa vogliano, ma non mi piace. Il fatto che siano quasi riusciti a trovarmi, sebbene la città sia completamente nuova per loro, mi fa pensare che abbiano poteri telepatici. Posso tener testa al Consiglio, ma questo è un pericolo sconosciuto e non mi sento di affrontarlo.
«Così ho deciso di anticipare un passo che certo il Consiglio mi avrebbe obbligato a fare, come già altre volte hanno minacciato. Vado dove nessuno può seguirmi, dove posso sfuggire a qualsiasi cambiamento che stia per prodursi a Diaspar. Forse sono uno sciocco; solo il tempo potrà provarlo.
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