Provò invidia, e collera, per i suoi sconosciuti antenati, che avevano volato in piena libertà su tutta la Terra e che avevano lasciato morire tutte le sue bellezze.
Ma le fantasticherie erano inutili; ritornò al presente e al suo problema.
Se la via del cielo era sconosciuta, quella della terra preclusa, cosa restava?
Si trovava di nuovo al punto in cui non poteva fare alcun progresso basandosi solo sulle sue forze e aveva bisogno di aiuto. Gli seccava ammettere quel fatto, ma era abbastanza onesto da non negarlo. Come era inevitabile, i suoi pensieri andarono subito al Buffone.
Alvin non riusciva a stabilire se il Buffone gli fosse simpatico o no. Era contentissimo di averlo conosciuto, ed era grato a Khedron per l’aiuto e la simpatia che gli aveva dimostrato. Con nessun altro, in tutta Diaspar, sentiva d’avere tante cose in comune, eppure c’era un nonsoché nella personalità dell’amico che lo lasciava sconcertato. Forse l’aria di ironico distacco di Khedron gli aveva dato a volte l’impressione che l’altro se la ridesse dei suoi sforzi anche nei momenti in cui faceva del suo meglio per aiutarlo.
Per questo Alvin, già indipendente e testardo per natura, si rivolgeva al Buffone solo quando si vedeva alle strette.
Combinarono di incontrarsi in un piccolo cortile rotondo, poco distante dalla Torre del Consiglio. C’erano parecchi luoghi tranquilli nella città, magari a pochi metri dal traffico caotico e tuttavia completamente isolati e quieti. Di solito ci si poteva arrivare soltanto a piedi, dopo un breve cammino; altri invece si trovavano al centro di complicati labirinti che ne aumentavano l’isolamento. Era tipico di Khedron scegliere un posto simile per un appuntamento.
Il cortile era largo una cinquantina di passi e si trovava al centro di un immenso edificio. Tuttavia, essendo le pareti rivestite di un materiale fosforescente che brillava di luce verde-azzurra, sembrava non avere limiti definiti. Ma ciò nonostante non si aveva la sensazione di essere persi nello spazio infinito. Balaustre alte un metro, con diverse aperture di passaggio, davano l’impressione di trovarsi in un recinto di sicurezza.
Khedron stava esaminando una delle balaustre quando Alvin arrivò. Era coperta da un complicato mosaico di piastrelle colorate, tanto fantasticamente elaborato che Alvin non tentò neppure di comprenderlo.
«Guarda questo mosaico, Alvin» disse il Buffone, indicando l’intricato disegno di piastrelle colorate. «Non noti niente di strano?»
«No» confessò Alvin dopo un breve esame. «Non mi piace, però mi sembra normalissimo.»
Khedron fece scorrere le dita sulle piastrelle. «Non sei un buon osservatore» commentò. «Tocca questi orli, senti come sono smussati, rotondi. È
raro vedere una cosa del genere a Diaspar, Alvin. Il mosaico è corroso dal tempo. Ricordo benissimo quando fu fatto questo disegno, circa ottomila anni fa, durante la mia precedente esistenza. Se tornerò qui tra una decina di vite, queste piastrelle saranno completamente scomparse.»
«Non vedo niente di strano in questo. Ci sono altre opere d’arte in città non abbastanza buone da essere conservate nei circuiti di memoria, né tanto brutte da venire distrutte immediatamente. Un giorno, un altro artista si occuperà di decorare questo muro, e forse il suo lavoro verrà eternato.»
«Conoscevo l’uomo che ha disegnato questa decorazione» disse Khedron, continuando a esplorare con le dita le screpolature che si erano aperte nel mosaico. «Strano che ricordi ancora il fatto, mentre non mi riesce di ricordare la persona. Forse non mi piaceva, così devo averla cancellata dalla mente.» Fece una breve risata. «Forse sono stato io a disegnarlo, durante una delle mie fasi artistiche. E devo essermi tanto seccato quando la città si è rifiutata di renderlo eterno che ho deciso di dimenticare la mia opera. Ecco… Sapevo che qualcosa si sarebbe staccata!»
Khedron, che era riuscito a togliere una piastrella colorata, pareva soddisfattissimo. Gettò il frammento a terra e soggiunse: «Ora i robot della manutenzione dovranno occuparsene!».
Alvin comprese che l’altro stava tentando di dargli una lezione. Lo capì per quello strano istinto definito intuizione, quell’istinto che sembrava seguire scorciatoie non accessibili alla logica. Guardò il quadratino colorato, cercando di collegarlo in qualche modo al problema che lo assillava. Non gli fu difficile trovare la risposta, una volta stabilito che doveva esserci.
«Ci sono, Khedron!» esclamò. «Volevi farmi capire che alcune cose di Diaspar non vengono conservate nelle Banche Memoria e quindi non potrei mai localizzarle sugli schermi della Sala del Consiglio. Se cercassi questa balaustra, ad esempio, non la troverei.»
«Troveresti la balaustra, forse, ma non certo il mosaico.»
«Sì, capisco» disse Alvin, troppo impaziente per badare a simili sottigliezze. «Allo stesso modo, possono esistere parti della città che non sono mai state inserite nei circuiti d’eternità, ma neppure distrutte dal tempo. Però non vedo come questo possa servirmi. Le mura esterne esistono, e sicuramente non hanno aperture.»
«Può darsi che non esista via d’uscita» replicò il Buffone. «Non posso prometterti nulla. Ma sono certo che gli schermi potranno insegnarci molte altre cose, se il Computer Centrale lo permetterà… E pare che per te abbia una speciale simpatia.»
Alvin rimuginò sull’idea mentre si avviavano alla Torre del Consiglio.
Finora, gli era parso che fosse un effetto della autorità di Khedron se si era potuto avvicinare agli schermi. Non l’aveva neppure sfiorato il sospetto che quell’autorità risiedesse proprio in lui. Essere un Unico presentava parecchi svantaggi; era giusto che esistesse anche qualche compenso…
L’immagine della città dominava come sempre la stanza in cui Alvin aveva trascorso tante ore. Il giovane la guardò con un atteggiamento diverso; tutto ciò che si vedeva esisteva di certo, ma non tutta Diaspar era lì riflessa. Tuttavia, le cose mancanti dovevano essere di poco conto, trascurabili.
«Molto tempo fa feci un tentativo» mormorò Khedron, prendendo posto davanti a un teleschermo «ma i comandi non vollero obbedirmi. Forse ora mi obbediranno.»
Dapprima incerte, poi con crescente sicurezza, le dita del Buffone manovrarono i tasti di comando. Poi fermò le mani sul pannello che nascondeva le griglie sensibili.
«Penso di non aver sbagliato» disse alla fine. «A ogni modo vedremo subito.»
Lo schermo si accese, ma anziché l’immagine che Alvin si aspettava comparve la scritta di un messaggio alquanto sconcertante.
«La regressione comincerà non appena avrete stabilito la velocità di indagine.»
«Che stupido» borbottò Khedron. «Ho fatto tutto e mi sono dimenticato la cosa più importante.» Le dita del Buffone ripresero a muoversi con sicurezza sul pannello, e non appena la scritta scomparve, lui girò la sedia per osservare l’immagine della città.
«Attento, Alvin! Stiamo per imparare qualcosa di nuovo su Diaspar.»
Alvin aspettò paziente, ma non accadde nulla. L’immagine della città si stendeva davanti ai suoi occhi con tutte le bellezze e le cose sorprendenti che gli erano familiari, anche se in quel momento non le notava. Stava già per chiedere a Khedron cosa mai doveva avvenire, quando un movimento subitaneo colse la sua attenzione. Volse rapido la testa, ma troppo tardi.
Niente era cambiato. Diaspar era là, assolutamente identica. Khedron, però, lo stava osservando con espressione ironica. Riportò lo sguardo sulla città e questa volta la cosa si ripeté sotto i suoi occhi.
Uno degli edifici al limite del Parco svanì all’improvviso, e al suo posto ne comparve un altro totalmente diverso. La trasformazione fu improvvisa, tanto che un battito di ciglia sarebbe stato sufficiente a non fargliela notare.
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