«Un tempo doveva esserci un’illuminazione interna» disse Khedron. Poi si mise a seguire con gli occhi le varie linee della mappa che si spingevano verso le pareti della sala. «Lo dicevo, io!» esclamò a un tratto. «Vedi che ognuna di queste linee si ricongiunge a uno dei tunnel più piccoli?»
Alvin aveva notato che oltre alle dodici arcate delle strade mobili c’erano moltissimi altri tunnel più piccoli, tunnel che si dirigevano verso il basso ,
non verso l’alto.
Khedron continuò, senza aspettare risposta: «Il sistema più semplice che si possa immaginare. La gente scendeva con le strade mobili, sceglieva la località in cui voleva recarsi, e seguiva la linea esatta sulla mappa».
«Che cosa succedeva, poi?» chiese Alvin. Khedron tacque. I suoi occhi indagavano nel mistero di quei tunnel discendenti. Erano trenta o quaranta, tutti uguali. Solo i nomi sulla mappa avrebbero permesso di distinguerli, e quei nomi erano ormai indecifrabili.
Alvin si era allontanato, e stava facendo il giro del pilastro centrale. In quel momento, la sua voce giunse a Khedron leggermente alterata dall’eco della sala.
«Che c’è?» Khedron era quasi riuscito a decifrare uno dei nomi e non voleva muoversi. Ma la voce di Alvin era insistente, e il Buffone corse a vedere.
Molto al di sotto si stendeva l’altra metà della grande mappa. Nell’intrico sfuocato di linee, una era ben distinta e fortemente illuminata. Pareva non aver alcun nesso col resto del grafico e puntava, come una freccia scintillante, in direzione di uno dei tunnel discendenti. Verso la fine la freccia formava un cerchio di luce dorata nel quale si leggeva una sola parola: Lys.
Alvin e Khedron fissarono a lungo in silenzio la segnalazione luminosa.
Per Khedron si trattava di una sfida che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di accettare, ma per Alvin quella freccia significava la realizzazione di tutti i suoi sogni. Per quanto la parola Lys non gli dicesse niente, la ripeté diverse volte, assaporando la sillaba quasi fosse un frutto di sapore esotico. Il sangue gli scorreva nelle vene con violenza, e le guance gli si erano infuocate come se avesse la febbre. Si guardò attorno e cercò di immaginare come poteva essere stato quel luogo, quando erano cessati i trasporti aerei ma le diverse città della Terra avevano continuato a mantenersi in contatto. Pensò agli incalcolabili milioni di anni passati, al traffico che diminuiva a poco a poco, e alle luci che si spegnevano, a una a una, finché ne era rimasta una soltanto. Per quanto tempo aveva brillato, da sola, quella luce in attesa di guidare i passi di qualcuno che non era mai arrivato?
Dal giorno in cui Yarlan Zey aveva isolato Diaspar dal resto del mondo erano trascorsi ormai mille milioni di anni. Doveva essere da quel periodo che Lys aveva perso ogni contatto con Diaspar. Sembrava impossibile che avesse potuto sopravvivere. Forse, dopo tutto, quella luce accesa non aveva più nessun significato.
Khedron interruppe le sue fantasticherie. Sembrava nervoso e a disagio; non aveva più niente dell’individuo calmo e sicuro di sé.
«Non dobbiamo andare oltre. Potrebbe essere pericoloso finché… finché non saremo più preparati.»
Le parole erano sagge, ma Alvin colse una nota di paura nella voce del compagno. Se non fosse stato per questo, forse le avrebbe ascoltate. Ma la troppa fiducia che nutriva in se stesso, combinata al disprezzo per la paura di Khedron, lo convinsero a proseguire. Gli sembrava stupido essere arrivato fino a quel punto solo per volgere la schiena, quando la meta poteva essere a portata di mano.
«Io scendo in quel tunnel» rispose, quasi sfidando Khedron a fermarlo.
«Voglio vedere dove porta.» Si mosse risoluto. Dopo un attimo di esitazione, l’altro lo seguì.
Nel tunnel, il campo peristaltico li afferrò trasportandoli in meno di un minuto in fondo alla galleria e deponendoli all’ingresso di una stretta camera semicilindrica. All’estremità opposta, altri due tunnel si dipartivano verso l’infinito.
Gli uomini delle civiltà che erano esistite prima della fondazione di Diaspar avrebbero trovato quel luogo del tutto familiare. Tuttavia per Alvin e Khedron era un lembo di un altro mondo. La funzione di quella macchina affusolata con la punta rivolta verso la lunga galleria era evidente. I due uomini la osservarono con grande meraviglia. La parte superiore era di un materiale trasparente, e guardando all’interno Alvin scorse alcune file di elegantissimi sedili. Non era possibile distinguere lo sportello di quella macchina sospesa a trenta centimetri sopra la rotaia metallica che scompariva nella galleria. Pochi passi più in là, un binario identico spariva nell’altro tunnel, ma lì non c’erano macchine in attesa. Alvin ebbe la certezza che nella lontana, sconosciuta Lys, la seconda macchina fosse in attesa in una stazione assolutamente identica.
Khedron cominciò a parlare con troppa rapidità. «Che strano mezzo di trasporto! Può ospitare al massimo un centinaio di persone, quindi non ci deve essere mai stato un traffico molto intenso. Poi, perché prendersi il disturbo di scavare sotto terra, quando le vie del cielo erano ancora aperte?
Forse gli Invasori avevano anche proibito di volare. Però stento a crederlo.
O hanno costruito i tunnel nel periodo di transizione, quando gli uomini viaggiavano ancora ma non volevano più sentir parlare dello spazio? In questo modo potevano spostarsi da una città all’altra, senza mai vedere il cielo e le stelle.» Scoppiò in una risata nervosa. «Sono certo di una cosa, Alvin. Quando Lys esisteva, doveva essere precisa a Diaspar. Le città si assomigliano tutte. È logico che alla fine siano state abbandonate e gli uomini si siano riuniti nella sola Diaspar. A che scopo averne più di una?»
Alvin non lo udiva nemmeno. Cercava l’entrata del lungo proiettile. Se la macchina era controllata da un codice d’ordine verbale o mentale, non sarebbe mai riuscito a farsi obbedire, forse, e quell’enigma lo avrebbe perseguitato per tutto il resto della vita.
Lo sportello che si aprì in silenzio lo colse alla sprovvista. Non ci fu né rumore né avvertimento quando la parete sparì lasciando intravedere l’interno.
Quello era il momento di fare la scelta. Fino a un attimo prima avrebbe potuto tornare sui suoi passi. Ma se varcava quella soglia, sapeva cosa sarebbe accaduto, anche se non poteva immaginare come sarebbe finita la sua avventura. Non sarebbe più stato in grado di controllare il suo destino; si sarebbe messo completamente nelle mani di forze sconosciute.
Non esitò. Aveva paura di tirarsi indietro, perché quel momento tanto atteso poteva non ripresentarsi mai più. Se si ritirava, voleva dire che il suo coraggio era assai inferiore alla sua voglia di sapere. Khedron fece per parlare, ma Alvin ormai era già nella macchina. Il giovane si voltò a guardare il compagno, rimasto immobile oltre il rettangolo della porta. Cadde tra loro uno strano silenzio, mentre ognuno dei due aspettava che l’altro parlasse.
La decisione venne da sé. Ci fu un debole luccichio trasparente e la parete della macchina si richiuse. Alvin alzò la mano in segno d’addio, mentre già il lungo cilindro balzava in avanti. Prima di imboccare il tunnel, il bolide aveva già raggiunto un’accelerazione notevole.
C’era stato un tempo in cui, ogni giorno, milioni di uomini facevano viaggi del genere, in macchine quasi uguali a quella, per spostarsi da casa loro verso gli studi o gli affari. Da quell’epoca remota, l’uomo aveva esplorato l’universo ed era ritornato sulla Terra, aveva vinto un Impero e se l’era lasciato sfuggire; ora uno di quei viaggi veniva rifatto, con una macchina sulla quale legioni di uomini dimenticati si erano sentiti perfettamente a loro agio.
Doveva essere il viaggio più sensazionale che un essere umano avesse mai compiuto da miliardi di anni.
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