Arthur Clarke - La città e le stelle

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La città e le stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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Alystra aveva ispezionato la Tomba una dozzina di volte, anche se i luoghi dove nascondersi non erano molti. Poi si era chiesta se per caso, invece di seguire Khedron e Alvin, non avesse seguito soltanto le loro proiezioni.

Ma era assurdo! La propria proiezione poteva essere materializzata nel punto stesso che si desiderava visitare. Non c’era senso nel farla «passeggiare» per strada, buttando via una buona mezz’ora di tempo. No, erano il vero Alvin e il vero Khedron che lei aveva seguito fino alla Tomba.

Da qualche parte, dunque, doveva esserci un’entrata segreta. Tanto valeva cercarla mentre li aspettava.

Khedron riapparve proprio mentre Alystra stava guardando dietro una colonna. Lei udì dei passi, si voltò e vide subito che il Buffone era solo.

«Dov’è Alvin?» gridò.

Passò del tempo prima che il Buffone potesse rispondere. Sembrava agitato e smarrito, e Alystra fu costretta a ripetere la domanda. Non parve minimamente sorpreso di trovare la ragazza in quel luogo.

«Non so dove sia» disse infine. «Posso dirti solo che è in viaggio per Lys. Adesso ne sai quanto me.»

Non era prudente, di solito, prendere alla lettera le parole di Khedron.

Ma Alystra capì subito che il Buffone non stava giocandole uno dei suoi scherzi. Khedron diceva la pura verità… qualsiasi cosa questa potesse significare.

10

Quando la porta si chiuse dietro di lui, Alvin si lasciò cadere sul sedile più vicino. Le gambe non lo reggevano; ora capiva, per la prima volta, il terrore dell’ignoto che dominava tutti i suoi compagni. La vista gli si annebbiò; tremava. Se avesse potuto fuggire dalla velocissima macchina, l’avrebbe fatto a costo di abbandonare tutti i suoi sogni.

Non era solo paura, era anche un senso di indicibile solitudine. Tutto ciò che conosceva e amava era a Diaspar; anche se non correva alcun pericolo, poteva forse non vedere mai più il suo mondo. Provò, come mai nessun altro aveva provato da secoli, cosa significhi lasciare la propria patria per sempre. In quell’attimo di smarrimento, il fatto di andare forse incontro a dei pericoli non aveva nessuna importanza. Ciò che importava era che si stava allontanando da casa.

A poco a poco si riebbe. Le ombre oscure sgombrarono dalla sua mente, e Alvin cominciò a guardarsi attorno per osservare il veicolo incredibilmente antico sui quale stava viaggiando. Ma non lo stupì il fatto, strano o meraviglioso, che il sistema di trasporto fosse ancora perfettamente funzionante dopo anni di immobilità. Non era conservato nei circuiti di eternità di Diaspar, ma, forse, in qualche altro luogo dovevano esserci circuiti analoghi che gli impedivano di cadere in rovina. Per la prima volta notò che il quadrante indicatore che gli stava di fronte. Portava una scritta breve, ma rassicurante: LYS — 35 minuti.

Mentre guardava, il numero si cambiò in 34. Era un’informazione utile, anche se, non avendo idea della velocità della macchina, non poteva stabilire quale fosse la distanza. Le pareti del tunnel continuavano a essere una grigia macchia confusa, e la sola sensazione di movimento era data da una leggera vibrazione che non si sarebbe potuta notare senza prestare grande attenzione. Forse a quell’ora Diaspar era lontana mille chilometri. Forse la macchina stava correndo sotto le colline che si vedevano dalla Torre di Loranne.

Cominciò a pensare a Lys, come se la sua mente volesse raggiungerla prima del corpo. Che tipo di città poteva essere? Riusciva solo a formarsi un’immagine identica a Diaspar, anche se più in piccolo. Si chiese se poteva esistere ancora, poi disse a se stesso che solo così poteva spiegarsi la corsa della macchina attraverso le viscere della Terra.

Improvvisamente ci fu un cambiamento distinto nelle vibrazioni dell’impiantito. Il veicolo aveva diminuito la velocità, non c’era dubbio. Il tempo doveva essere trascorso con maggiore velocità di quanto avesse pensato.

Piuttosto sorpreso, Alvin guardò l’indicatore: LYS — 23 minuti.

Perplesso e un po’ spaventato, schiacciò la faccia contro la parete trasparente. Le mura del tunnel fuggivano via in un grigiore uniforme, ma di tanto in tanto Alvin intravedeva delle scritte che sparivano con la stessa rapidità con cui erano apparse. E ogni volta le scritte sembravano restargli davanti agli occhi per un periodo un po’ più lungo.

Poi, senza nessun avvertimento, le pareti del tunnel vennero strappate dai fianchi del veicolo. Stava attraversando, sempre a grande velocità, un enorme spazio vuoto, molto più grande della sala che si trovava sotto Diaspar.

Osservando pieno di meraviglia attraverso la parete trasparente, Alvin riuscì a scorgere verso il basso una complicata rete di rotaie che si incrociavano e riincrociavano per scomparire negli innumerevoli tunnel che si aprivano ai due lati. Una luce azzurra scendeva dalla cupola e, stagliati contro il chiarore, si potevano distinguere i contorni di macchine immense.

La luce era tanto brillante da far socchiudere gli occhi, e Alvin comprese che quello non era un posto per esseri umani. Un attimo dopo il suo veicolo saettava accanto a una fila di cilindri sospesi immobili sulla rotaia di guida. Erano molto più grandi di quello su cui stava viaggiando lui. Con tutta probabilità erano stati adibiti al trasporto delle merci. Attorno erano sparpagliati incomprensibili e complicati meccanismi, tutti immobili e silenziosi.

Quasi con la stessa velocità con cui era comparsa, la grande sala abbandonata sparì dietro il veicolo. Immediatamente dopo aver superato la grande sala, Alvin si sentì afferrare da un senso di rispetto. Per la prima volta riusciva veramente a comprendere il significato di quella immensa mappa senza luci che aveva osservato nella stazione di Diaspar. Il mondo era assai più ricco di meraviglie di quanto avesse potuto immaginare.

Tornò a guardare l’indicatore. La cifra non era cambiata. Per attraversare la grande caverna avevano impiegato meno di un minuto. Il veicolo riprese velocità, anche se continuava a non esserci la sensazione di movimento. E

le pareti ripresero a scorrere a una velocità che non si poteva minimamente calcolare.

Gli parve che fosse trascorsa un’eternità prima che si verificasse un nuovo cambio di velocità. Ora l’indicatore diceva: LYS — 1 minuto.

E quel minuto fu il più lungo che Alvin avesse mai trascorso. La velocità della macchina diminuiva gradatamente. Si stava per fermare.

Il lungo cilindro scivolò fuori dal tunnel in una caverna che avrebbe potuto essere la gemella dell’altra nel sottosuolo di Diaspar. Alvin era tanto eccitato da non capire più nulla; la porta era aperta da parecchio quando lui si rese conto che poteva lasciare il veicolo. Mentre si affrettava a scendere a terra, gettò un’occhiata all’indicatore. Il messaggio era cambiato, le parole erano infinitamente più rassicuranti: DIASPAR — 35 minuti.

Nel cercare la via per uscire dalla sala, Alvin scoprì il primo indizio di una civiltà diversa dalla sua.

La strada per tornare alla superficie si apriva chiaramente attraverso una larga galleria… e al termine si vedeva una scala. Quella scala indicava una civiltà diversa. A Diaspar era rarissimo vederne. Dal tempo in cui la maggior parte dei robot erano stati dotati di ruote, gli architetti di Diaspar si erano affrettati a sostituirle con piani inclinati o a spirale.

La scala, brevissima, terminava in una porta che si aprì automaticamente di fronte ad Alvin. Il giovane vide una cella simile all’altra che l’aveva trasportato giù nella Tomba di Yarlan Zey. Vi entrò. Pochi minuti dopo la porta si aprì di nuovo, rivelando un corridoio a volta che saliva dolcemente fino a un arco nel quale s’inquadrava un rettangolo di cielo. Non c’era stata alcuna sensazione di movimento, ma Alvin sapeva che doveva essere salito di parecchi metri. Si affrettò su per il corridoio, verso l’entrata inondata di sole. Aveva dimenticato ogni timore nell’ansietà di vedere ciò che si stendeva di fronte a lui.

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