Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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Khedron lasciò che Alvin osservasse bene ogni cosa, poi indicò la città in miniatura. «Sai cos’è quella?» chiese.

Alvin fu tentato di rispondere che si trattava di un modello, ma la risposta gli parve troppo semplice per essere esatta. Si limitò a scuotere il capo e guardò Khedron in attesa di spiegazioni.

«Ricorderai» fece il Buffone «che una volta ti dissi come veniva tenuta in vita la città, come le Banche Memoria ne mantengano lo schema cristallizzato per sempre. Le Banche sono qui attorno a noi, con la loro sterminata ricchezza di informazioni, e determinano la città come si presenta oggi.

Forze da noi dimenticate legano ogni atomo di Diaspar alle matrici racchiuse in queste pareti.»

Agitò la mano verso il simulacro perfetto e minuziosamente dettagliato che giaceva davanti a loro.

«Questo non è un modello; in realtà non esiste. Non è che l’immagine proiettata dello schema nelle Banche Memoria, ed ecco perché è assolutamente identico alla città stessa. Le macchine che vedi qui attorno sono in grado di presentare sui loro schermi l’ingrandimento di qualsiasi punto o particolare di Diaspar. Vengono usate quando si desidera portare qualche cambiamento allo schema, anche se da parecchio tempo non ne vengono più fatti. Se vuoi sapere esattamente com’è fatta Diaspar, puoi scoprire più cose trascorrendo qualche giorno in questa stanza che impiegando la vita a esplorare la città di persona.»

«È meraviglioso» disse Alvin. «Quante persone conoscono la sua esistenza?»

«Oh, parecchie, ma se ne ricordano di rado. Il Consiglio si riunisce in questa sala, di tanto in tanto. Se non sono tutti presenti non è possibile apportare modifiche alla città. E ogni modifica viene apportata soltanto se il Computer Centrale l’approva. Dubito che questa sala venga visitata più di due o tre volte all’anno.»

Alvin pensò di chiedere come mai Khedron avesse libero accesso alla sala, poi ricordò che per portare a termine gli scherzi più elaborati era necessaria una perfetta conoscenza della città, e una assoluta libertà di movimento; quindi, entrare in qualsiasi luogo doveva essere un privilegio dei Buffoni. Se voleva conoscere tutti i segreti di Diaspar, lui non avrebbe potuto scegliere guida migliore.

«Può darsi che quel che cerchi non esista, ma se c’è lo scoprirai più presto qui che altrove. Lascia che ti spieghi il funzionamento dei comandi.»

Nell’ora seguente Alvin sedette davanti a uno degli schermi, addestrandosi a usare tasti e manopole. Si poteva scegliere a piacere qualsiasi particolare della città ed esaminarlo a qualsiasi ingrandimento. Strade, torri, mura e strade mobili passavano sullo schermo seguendo i movimenti di Alvin sui comandi. Alvin si sentiva quasi uno spirito onnipresente, capace di muoversi senza sforzo per tutta la città senza che alcun impedimento materiale potesse trattenerlo o ostacolarlo.

In effetti, tuttavia, non stava esaminando Diaspar. Stava muovendosi attraverso le celle delle Banche Memoria, osservando l’immagine pura della città, quell’immagine che aveva avuto il potere di conservare la vera Diaspar immutata e inalterata dal tempo per milioni di anni. Poteva vedere soltanto la parte fissa della città, fissa e permanente. La gente che camminava per le strade non faceva parte dell’immagine registrata. Ma questo non aveva importanza. Il suo interesse era rivolto alla creazione di pietra e metallo che lo teneva rinchiuso, non alle persone che condividevano, anche se felici di farlo, la sua prigionia.

Riuscì a portare sul monitor la Torre di Loranne, e osservò rapidamente i corridoi e le stanze che aveva già visitato nella realtà. Appena inquadrò la griglia di pietra, gli parve quasi si sentire il vento gelido che vi soffiava incessantemente. Portò in primo piano la griglia, cercò di vedere al di là…

ma non vide nulla. Per un attimo la sorpresa fu così forte che quasi fu portato a dubitare della propria memoria: la sua visione del deserto non era stata altro che un sogno?

Poi comprese. Il deserto non faceva parte di Diaspar, quindi il fantomatico mondo che stava esplorando non ne conservava l’immagine. Qualsiasi cosà fosse esistita al di là della griglia di pietra non sarebbe mai apparsa sullo schermo.

Tuttavia, lo schermo poteva mostrargli qualcosa che nessun uomo vivente aveva mai visto. Alvin girò la manopola fino al limite massimo, poi fece scattare il convertitore in modo da poter esaminare il cammino percorso dalla direzione opposta. Ed ecco che sullo schermo tornò di nuovo la griglia di pietra, vista dall’esterno.

Per i computer, i circuiti-memoria e tutti gli altri innumerevoli meccanismi che creavano l’immagine che Alvin stava contemplando, non si trattava che di un semplice problema di prospettiva. Le macchine «conoscevano» la forma della città, ragione per cui potevano mostrarla anche vista dall’esterno. Alvin, però, che pure si rendeva conto benissimo di come veniva prodotto quell’effetto, restò quasi sopraffatto dalla scoperta. In spirito, se non materialmente, era riuscito a evadere dalla città. Gli pareva di fluttuare nello spazio, a poche spanne di distanza dalla liscia parete della Torre di Loranne. Restò per un attimo a fissare la superficie levigata, poi manovrò la manopola e fece scorrere l’immagine dall’alto al basso.

Ora che conosceva le possibilità di quel meraviglioso apparecchio, il suo piano di azione si concretò. Era inutile sprecare tempo a esplorare Diaspar dall’interno, stanza per stanza, corridoio per corridoio. Poteva invece sfruttare il vantaggio di far scorrere sullo schermo tutta la parete esterna della città, in modo da essere in grado di scorgere immediatamente qualsiasi apertura che conducesse verso il deserto.

Provò un senso di eccitazione, di vittoria, e sentì l’impulso di comunicare a qualcuno la sua gioia. Si voltò verso Khedron per ringraziarlo di ciò che gli aveva insegnato. Ma Khedron era scomparso, ed era facile capire il motivo di quella fuga.

Alvin era forse l’unico uomo che in tutta Diaspar poteva fissare tranquillamente le immagini che apparivano ora sullo schermo. Khedron poteva aiutarlo nelle ricerche, ma anche lui era schiavo del misterioso terrore dell’universo che da così lungo tempo comprimeva l’umanità entro i confini limitati di Diaspar. Aveva lasciato che Alvin continuasse da solo le sue indagini.

Alvin si sentì immediatamente riafferrare dal senso di solitudine che lo opprimeva continuamente. Ma non c’era tempo per le malinconie, aveva troppo da fare. Riportò l’attenzione sul monitor, e fece scorrere lentamente l’immagine della parete della città e cominciò le sue ricerche.

Diaspar nelle settimane seguenti quasi non vide Alvin, anche se poche persone notarono la sua assenza. Quando scoprì che il suo pupillo stava passando tutto il tempo nella Sala del Consiglio, e che aveva smesso di girare lungo i corridoi della città, Jeserac provò un senso di sollievo. In quel luogo Alvin non avrebbe potuto cacciarsi nei guai. Eriston ed Etania lo chiamarono una o due volte a casa, ma non si preoccuparono nel non trovarlo. Alystra fu alquanto più insistente.

Per la sua tranquillità era un vero peccato che si fosse infatuata di Alvin, mentre c’erano tante altre possibilità di scelta. Alystra non aveva mai avuto difficoltà nel trovare compagni, ma a paragone di Alvin tutti gli altri uomini le sembravano nullità, usciti da un identico anonimo stampo, e lei non avrebbe ceduto le armi senza combattere. La scontrosità e l’indifferenza di Alvin erano una sfida alla quale lei non sapeva resistere.

Tuttavia, i suoi motivi non erano del tutto egoistici, ed erano materni piuttosto che sessuali. Per quanto la nascita fosse un evento dimenticato, l’istinto femminile di protezione e affetto restava. Alvin poteva sembrare cocciuto, deciso e pieno di fiducia, ma Alystra riusciva a sentirne l’intima solitudine che lo tormentava.

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