Il sindaco aveva ragione; l’eclisse era sicuramente temporanea. Ma la sua conclusione era esattamente l’opposto di un’eclisse di sole.
In primo luogo la luce passò attraverso il centro esatto, non nella solita collana di grani di Bailey lungo il bordo stesso. Linee seghettate s’irradiarono da un abbagliante buchino — e ora, sotto il massimo ingrandimento, la struttura del disco si rivelava in pieno. Era composto da milioni di rettangoli identici, quasi della stessa grandezza della Grande Muraglia di Europa. Ma adesso si stavano staccando: era come se un gigantesco puzzle venisse distrutto.
L’eterna luce diurna, anche se ora brevemente interrotta, si apprestava a tornare a illuminare Ganimede, mentre il disco si spezzettava e i raggi di Lucifero si riversavano tra le fessure sempre più ampie. Ora i componenti stessi stavano evaporando, quasi come se avessero bisogno del sostegno di un contatto reciproco per continuare a essere reali.
Agli ansiosi osservatori di Anubis City parvero ore, ma l’intero evento era durato meno di quindici minuti. E solo quando tutto fu finito rivolsero la loro attenzione a Europa.
La Grande Muraglia era sparita, e ci volle quasi un’ora prima che giungesse dalla Terra, da Marte e dalla Luna la notizia che il Sole stesso era apparso tremolare per alcuni secondi, prima di riassumere il suo aspetto normale.
Si era trattato di una serie di eclissi altamente selettive, ovviamente mirate al genere umano. In nessun altro luogo del sistema solare venne notata.
Nell’eccitazione generale, ci volle un po'’ prima che il mondo si rendesse conto che TMA-0 e TMA-1 erano scomparsi, lasciando solo le loro impronte vecchie di quattro milioni di anni sul suolo di Tycho e dell’Africa.
* * *
Era la prima volta che gli europidi incontravano esseri umani, ma non parvero né allarmati né sorpresi dalle enormi creature che si muovevano tra di essi alla velocità del fulmine. Certo, non era così facile interpretare lo stato emotivo di una cosa che assomigliava a un piccolo cespuglio senza foglie, senza evidenti organi di senso o mezzi di comunicazione. Ma se si fossero spaventati all’arrivo dell’Alcyone e all’apparire dei passeggeri, sicuramente sarebbero rimasti nascosti negli igloo.
Mentre Frank Poole, alquanto appesantito dalla tuta protettiva e dal dono di fil di rame luccicante che portava con sé, entrava nei disordinati sobborghi di Tsienville, si chiese che cosa pensassero gli europidi dei recenti avvenimenti. Per loro non c’era stata alcuna eclisse di Lucifero, ma la scomparsa della Grande Muraglia doveva essere stata sicuramente uno shock. Era rimasta lì fin dalla notte dei tempi, come un riparo e indubbiamente parecchio di più; poi, all’improvviso, era sparita, come se non fosse mai esistita.
La tavoletta da un petabyte lo aspettava, con un gruppo di europidi attorno a mostrare il primo segno di curiosità che Poole avesse mai osservato. Si chiese se Halman avesse detto loro di sorvegliare quel dono dallo spazio fin quando non fosse venuto a riprenderlo.
E, dal momento che adesso conteneva non solo un amico dormiente ma orrori che qualche epoca futura avrebbe potuto esorcizzare, a riportarlo al sicuro nell’unico posto in cui potesse essere immagazzinato.
Difficile, riflette Poole, immaginare una scena più pacifica — specie dopo i traumi delle ultime settimane. I raggi obliqui di una Terra quasi piena rivelavano tutti i minimi particolari del Mar delle Piogge privo d’acqua, ma non appiattendoli, come avrebbe fatto la furia incandescente del Sole.
Il piccolo convoglio di veicoli lunari era sistemato in un semicerchio a un centinaio di metri dalla poco appariscente apertura alla base di Pico che costituiva l’ingresso della Caverna. Dalla sua posizione, Poole poté constatare che non era all’altezza del nome che gli antichi astronomi, ingannati dalla sua ombra appuntita, gli avevano dato. Assomigliava di più a una collina tondeggiante che a un picco assottigliato in cima e non esitò a credere che uno dei passatempi locali fosse quello di spingersi in bicicletta fino alla vetta. Fino a quel momento, nessuno degli sportivi di entrambi i sessi avrebbe potuto immaginare il segreto che si nascondeva sotto le loro ruote: sperò che quella lugubre informazione non li avrebbe scoraggiati dall’eseguire i loro salutari esercizi.
Un’ora prima, con una sensazione di tristezza ma anche di trionfo, vi aveva depositato la tavoletta che aveva portato con sé — non perdendola mai di vista — da Ganimede direttamente sulla Luna.
«Addio, cari amici», aveva mormorato. «Avete fatto un buon lavoro. Forse qualche futura generazione vi risveglierà. Ma, tutto sommato, preferirei sperare di no.»
Riuscì a immaginare, con chiarezza persino eccessiva, un disperato motivo per cui la conoscenza di Halman avrebbe potuto servire di nuovo. Era sicuro che in quel preciso momento un messaggio viaggiasse alla volta di quello sconosciuto centro di controllo con la notizia che il suo servitore su Europa non esisteva più. Con un po'’ di fortuna, ci sarebbero voluti 950 anni, più o meno, prima di ricevere una risposta.
Poole aveva spesso maledetto Einstein in passato, ora invece lo benediceva. Persino le potenze che si celavano dietro il monolito — ora appariva chiaro — non potevano dispiegare la propria influenza a una velocità superiore a quella della luce. Perciò la razza umana aveva a disposizione quasi un millennio per prepararsi all’incontro successivo, se mai ce ne fosse stato un altro. Forse, in quella occasione, si sarebbe fatta trovare più preparata.
Qualcosa stava uscendo dal tunnel: il robot semiumanoide montato su cingoli che aveva portato la tavoletta nella Caverna. Era alquanto buffo vedere una macchina avvolta in quella specie di tuta di isolamento utilizzata come protezione contro i germi mortali… e proprio lì, sulla Luna priva di aria! Ma nessuno aveva voluto rischiare, per quanto potesse sembrare inverosimile. Dopotutto, il robot si era mosso tra tutti quegli incubi accuratamente celati e, sebbene secondo la sua videocamera tutto apparisse in ordine, esisteva sempre la possibilità di una fuga da qualche provetta o di una rottura di qualche chiusura ermetica di recipienti metallici. La Luna era un ambiente molto stabile, ma nel corso dei secoli aveva conosciuto molte scosse e molti bombardamenti di meteoriti.
Il robot si arrestò a cinquanta metri dall’uscita del tunnel. Lentamente, la massiccia chiusura che la sigillava tornò a posto e cominciò a ruotare sulla sua filettatura, come un immenso bullone conficcato dentro la montagna.
«Tutti quelli che non hanno occhiali scuri sono pregati di chiudere gli occhi o di distogliere lo sguardo dal robot!» annunciò una voce ansiosa alla radio del veicolo lunare. Poole si voltò sul sedile, appena in tempo per vedere un’esplosione di luce sul tetto del veicolo. Quando si girò di nuovo a guardare Pico, del robot non rimaneva che un mucchio di frammenti in fiamme; anche a una persona come Poole, che aveva passato gran parte della vita circondato dal vuoto, parve assolutamente sbagliato che i fili di fumo non si levassero in lente spirali da quei resti.
«Sterilizzazione effettuata», comunicò la voce del controllore della missione. «Grazie a tutti. È ora di tornare a Plato City.»
Com’era strano che la razza umana fosse stata salvata dall’abile spiegamento delle sue stesse follie! Quale morale, si chiese Poole, vi si poteva ricavare?
Guardò di nuovo la bellissima Terra azzurra, rannicchiata sotto la coperta sbrindellata di nubi per proteggersi dal freddo dello spazio. Lassù, a poche settimane da quel momento, sperava di poter cullare tra le braccia il suo primo nipotino.
Quali che fossero le potenze deiformi e le forze che si nascondevano al di là delle stelle, Poole ricordò a se stesso, per i miseri esseri umani due erano le sole cose che contavano: Amore e Morte.
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