Arthur Clarke - 3001 Odissea finale

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3001 Odissea finale: краткое содержание, описание и аннотация

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In «3001 Odissea finale» Clarke conclude con un ultimo affascinante episodio la leggendaria saga di fantascienza iniziata con «2001 Odissea nello spazio» facendo fare al lettore un balzo di mille anni nel futuro e rivelandogli una verità che possiamo comprendere soltanto adesso.
Fondendo mirabilmente fantasia e precisione scientifica Clarke ci regala un altro indimenticabile capolavoro sui misteri insondabili dell'universo e sull'eterno, appassionante confronto tra l'uomo e l'ignoto.
Arthur C. Clarke è considerato fra i più grandi scrittori di fantascienza di tutti i tempi. Personalità straordinaria, non solo nel campo della narrativa, scrisse un articolo nel 1945 che portò all'invenzione della tecnologia satellitare. Si spegne il 19 marzo 2008 a Colombo, nello Sri Lanka che tanto amava e in cui viveva da decenni.

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Il suo corpo non aveva ancora raggiunto i cent’anni di età: aveva ancora molto tempo davanti a sé per entrambi.

EPILOGO

Il loro piccolo universo è molto giovane e il loro dio è ancora un bambino. Ma è troppo presto per giudicarli; quando torneremo nei Giorni del Giudizio, valuteremo che cosa si debba salvare.»

FONTI

CAPITOLO 1: IL COWBOY DELLA COMETA

Per una descrizione del terreno di caccia del capitano Chandler, scoperto non più tardi del 1992, si veda Jane X. Luu e David C. Jewitt, «The Kuiper Belt», in Scientific American, maggio 1996.

CAPITOLO 4: CAMERA CON VISTA

II concetto di «anello attorno al mondo» in orbita geostazionaria (GEO), collegato alla Terra da torri sull’equatore, può sembrare del tutto fantastico, ma in realtà ha una solida base scientifica. È un’ovvia estensione dell’«ascensore spaziale» inventato da Yuri Artsutanov, ingegnere di San Pietroburgo, che ebbi il piacere di conoscere nel 1982, quando la sua città aveva un nome diverso.

Yuri chiarì che era teoricamente possibile tendere un cavo fra la Terra e un satellite sospeso nello stesso luogo sopra l’equatore cosa che fa già quando viene collocato in orbita geostazionaria, sede della maggior parte degli attuali satelliti di comunicazioni. A partire da ciò, è possibile installare un ascensore spaziale (o, secondo la pittoresca espressione di Yuri, una «funicolare cosmica») e i carichi potrebbero essere portati all’orbita geostazionaria con il semplice uso di energia elettrica. La propulsione a razzo servirebbe solo per il resto del viaggio.

Oltre a evitare il pericolo, il rumore e gli incidenti ambientali provocati dai razzi, l’ascensore spaziale renderebbe possibili stupefacenti riduzioni del costo di tutte le missioni spaziali. L’elettricità è economica e basterebbe l’equivalente di un centinaio di dollari per portare una persona in orbita. E il viaggio di andata e ritorno costerebbe circa dieci dollari, poiché la maggior parte dell’energia verrebbe recuperata nel viaggio verso il basso. (Certo, i pasti e i film aumenterebbero il prezzo del biglietto. Diciamo mille dollari per andare in orbita geostazionaria e tornare?)

La teoria è ineccepibile: ma esiste un materiale con sufficiente capacità di trazione da penzolare per tutta la lunghezza fino all’equatore da un’altitudine di 36.000 chilometri, inoltre con abbastanza margine da sollevare carichi utili? Quando Yuri scrisse il suo saggio, una sola sostanza rispondeva a queste rigorose specifiche: il carbonio sotto forma di cristallo, meglio noto come diamante. Sfortunatamente le megatonnellate necessarie non sono ancora disponibili sul mercato, benché in 2061: Odissea tre ho dato motivo di pensare che potrebbero esistere nel nucleo di Giove. In The Fountains of Paradise ho suggerito una fonte più accessibile fabbriche orbitanti dove i diamanti potrebbero svilupparsi in condizioni di gravità zero.

Il primo «piccolo passo» verso l’ascensore spaziale fu tentato nell’agosto 1992 sulla navetta Atlantis, quando in un esperimento venne effettuato lo sganciamento — e il recupero — di un carico lungo un cavo di ventun chilometri di lunghezza. Sfortunatamente il meccanismo di carico s’inceppò dopo solo poche centinaia di metri.

Mi sentii molto lusingato quando l’equipaggio dell’Atlantis esibì The Fountains of Paradise durante la conferenza stampa in orbita e lo specialista di missione Jeffrey Hoffman me ne mandò una copia autografa al ritorno sulla Terra.

Il secondo esperimento con cavi, nel febbraio 1996, ebbe un po'’ più di successo: il carico venne fatto scendere per tutta la lunghezza, ma durante il recupero il cavo si spezzò, a causa di una scarica elettrica dovuta a una falla nell’isolamento. (Avrebbe potuto essere un incidente fortunato; non posso fare a meno di ricordare che alcuni contemporanei di Benjamin Franklin furono uccisi mentre tentavano di ripetere il suo famoso — e arrischiato — esperimento con un aquilone durante un temporale.)

A parte i possibili pericoli, sganciare pesi lungo cavi da una navetta spaziale assomiglia un po'’ alla pesca con la mosca artificiale: non è facile come sembra. Ma prima o poi il «gigantesco salto» finale verrà fatto — in qualunque posto attorno all’equatore.

Nel frattempo, la scoperta di una terza forma di carbonio, il buckminsterfullerene (C60), dal nome dell’architetto Buckminster Roller, ha reso il concetto di ascensore spaziale molto più plausibile. Nel 1990 un gruppo di chimici della Rice University di Houston produsse una forma tubolare di C60 che aveva una capacità di trazione molto maggiore del diamante. Il direttore del gruppo, dottor Smalley, arrivò persino a sostenere che si trattasse del materiale più resistente mai esistito e aggiunse che avrebbe reso possibile la costruzione dell’ascensore spaziale. (Notizia d’agenzia: mi fa piacere sapere che nel 1996 il dottor Smalley ha condiviso il premio Nobel per la chimica grazie alla sua opera.)

E ora ecco una coincidenza davvero stupefacente, talmente soprannaturale che mi induce a chiedermi Chi Comandi Lassù.

Buckminster Fuller è morto nel 1983, perciò non ha vissuto abbastanza da assistere alla scoperta delle «buckpalle» e dei «bucktubi» che gli hanno conferito una fama postuma molto maggiore. Nel corso di uno dei suoi tanti viaggi attorno al mondo, ebbi il piacere di portarlo in giro, insieme alla moglie Anne, per lo Sri Lanka per mostrargli alcuni dei luoghi apparsi in The Fountains of Paradise. Poco dopo registrai il romanzo su un longplaying (li ricordate?) da 12 pollici (Caedmon TC 1606) e Bucky fu così gentile da scrivere le note di copertina. Finivano con una sorprendente rivelazione, che potrebbe benissimo essere alla base della mia concezione della Città delle Stelle:

Nel 1951 progettai un ponte anulare fluttuante e resistente alla tensione che avrebbe dovuto essere installato sopra e attorno all’equatore della Terra. All’interno di questo ponte «ad alone», la Terra avrebbe continuato la sua rotazione mentre il ponte circolare ne avrebbe effettuata un’altra con diversa velocità. Previdi traffico terrestre in salita verticale verso il ponte, che poi avrebbe ruotato e sarebbe ridisceso in un luogo prescelto della Terra.

Non ho dubbi che, qualora la razza umana decidesse di fare un simile investimento (insignificante, secondo alcune stime di crescita economica), la Città delle Stelle potrebbe essere costruita. Oltre a creare nuovi stili di vita e offrire ai visitatori di mondi a bassa gravità come Marte e la Luna un migliore accesso al Pianeta Base, eliminerebbe tutti i missili dalla superficie della Terra e li relegherebbe nello spazio profondo, a cui appartengono. (Anche se spero che di tanto in tanto ci saranno spettacolari commemorazioni a Cape Kennedy, solo per provare di nuovo l’eccitazione di quei tempi pionieristici.)

Quasi certamente la maggior parte della Città delle Stelle sarebbe costituita da impalcature vuote, e solo una piccolissima parte verrebbe occupata o utilizzata per scopi scientifici o tecnologici. Tutto sommato, ognuna delle Torri rappresenterebbe l’equivalente di un grattacielo da dieci milioni di piani e la circonferenza dell’anello attorno all’orbita geostazionaria sarebbe lunga più della metà della distanza dalla Luna! L’intera popolazione della specie umana potrebbe essere alloggiata molte volte in un simile volume di spazio, se fosse completamente chiuso. (Ciò porrebbe alcuni interessanti problemi di logistica che sono ben lieto di lasciare come «esercitazioni per studenti».)

Per un’eccellente storia del concetto di «Gambo di Fagiolo» (come pure per molte altre idee ancora più avanzate come l’antigravità e le curvature dello spazio), si veda Robert L. Forward, Indistinguishable from Magic, Baer, 1955.

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