Hansteen guardò l’orologio e si stupì nel constatare com’era tardi. A quell’ora lui sarebbe dovuto essere già a Clavius City. L’indomani aveva un impegno a colazione al Lunar Hilton, poi doveva andare in gita a… ma era inutile pensare a un futuro che non esisteva più. Ormai, quel breve presente era l’unica cosa che lo riguardasse.
Tanto valeva tentare di dormire un po’, prima che la temperatura divenisse intollerabile. Il Selene non era stato progettato per servire da dormitorio, e nemmeno da tomba, del resto, ma adesso non c’era alternativa. Naturalmente bisognava organizzarsi un po’, ai danni, purtroppo, della Commissione Turismo.
Dopo essersi consultato col capitano Harris, il commodoro pregò i passeggeri di prestargli ascolto. «Signore e signori, abbiamo avuto una giornata faticosa e penso che molti di noi sentano il bisogno di riposare. Certo bisognerà arrangiarsi alla meglio, ma ho fatto qualche piccolo esperimento e ho scoperto che, con un po’ di buona volontà, il bracciolo di mezzo dei sedili viene via facilmente. Non bisognerebbe toglierlo, ma non credo che la Commissione Turismo ci farà causa per così poco. Questo significa che dieci di noi potranno sdraiarsi sui divani; gli altri dovranno sistemarsi sul pavimento.»
«Un’altra cosa. Come avrete notato, comincia a fare caldo, e per qualche tempo la temperatura continuerà ad aumentare. Vi consiglio perciò di togliervi tutti gli indumenti non indispensabili, dobbiamo cercare di stare comodi e non è il caso di fare complimenti. Spegneremo le luci principali della cabina e per non restare completamente al buio lasceremo accese le piccole spie di sicurezza. Uno di noi resterà in continuazione al posto del pilota; il capitano Harris sta studiando dei turni di guardia di due ore. Nessuna domanda?
Per fortuna, non ve ne furono. La signorina Wilkins, che cominciava a perdere un poco della sua efficienza professionale, servì qualche bibita a quelli che avevano sete. La maggior parte dei passeggeri aveva già cominciato a svestirsi; i più pudichi aspettarono che venissero spente le luci. Nel fioco chiarore rossastro l’interno del Selene aveva assunto un aspetto fantastico. Ventidue persone, vestite della sola biancheria, se ne stavano stese sui sedili o sul pavimento. Pochi fortunati dormivano già, ma per i più il sonno non sarebbe arrivato tanto presto.
Il capitano Harris si era sistemato proprio in fondo allo scafo, nel piccolo compartimento stagno riservato alla cucina. Era una posizione strategica; lasciando aperta la porta di comunicazione, Harris poteva vedere la cabina in tutta la sua lunghezza e tenere d’occhio tutti quanti.
Il capitano ripiegò la sua divisa per farne un cuscino e si sdraiò sull’impiantito. Il suo turno di guardia sarebbe venuto tra sei ore. Nel frattempo sperava di dormire un po’.
Dormire! Le ultime ore della sua vita stavano passando inesorabili, e lui non poteva fare niente di meglio che dormire. «Come dormono i condannati» si domandò «nella notte che precede l’esecuzione?»
Era così disperatamente esausto che nemmeno quel pensiero riuscì a suscitargli qualche emozione. L’ultima cosa che vide prima di scivolare nell’incoscienza fu il dottor McKenzie che faceva di nuovo il rilevamento della temperatura e l’annotava sul suo diagramma, come un astrologo intento a ricavare un oroscopo.
Quando Pat Harris si svegliò, faceva molto più caldo. Tuttavia, non era stato il calore ormai opprimente a interrompere il suo sonno un’ora prima che gli toccasse il turno di guardia.
Pat, pur non avendo mai trascorso una notte a bordo del Selene, conosceva tutti i rumori che l’imbarcazione poteva produrre. Quando i motori non giravano, il silenzio a bordo era quasi perfetto; bisognava ascoltare molto attentamente per captare il sussurro delle pompe dell’aria e il fioco ronzio dell’impianto di raffreddamento. Ora quei rumori si sentivano ancora, ma ad essi se n’era aggiunto un altro.
Era un fruscio appena avvertibile, così lieve che in certi momenti Pat aveva quasi il dubbio di averlo solo immaginato. Sembrava quasi incredibile che un suono così leggero fosse riuscito a penetrargli nella mente attraverso le barriere del sonno. Nemmeno adesso che era sveglio Pat riusciva a identificarlo e a stabilire da che direzione provenisse.
Poi, all’improvviso, il capitano comprese perché quel rumore lo aveva svegliato. In un attimo ogni traccia di sonno svanì dal suo cervello. Balzò in piedi, appoggiò l’orecchio contro il portello della nave; sì, quel rumore veniva dall’esterno dello scafo!
Ora lo sentiva benissimo, lieve ma distinto, e rabbrividì dalla testa ai piedi. Non c’era dubbio: era il rumore di innumerevoli granelli di polvere che sussurravano contro le paratie del Selene come una tempesta di sabbia. Che cosa significava? Forse il Mare della Sete era di nuovo in movimento? E in questo caso, stava trascinando il battello con sé? Eppure, dentro lo scafo non si avvertiva il minimo segno di movimento, né la più lieve vibrazione; solo il mondo esterno si muoveva frusciando contro l’imbarcazione…
In punta di piedi, attento a non disturbare i compagni che dormivano, Pat attraversò la cabina. Era il turno di guardia del dottor McKenzie. Lo scienziato se ne stava rannicchiato al posto del pilota, fissando attraverso i finestrini ciechi. All’avvicinarsi di Pat si volse e bisbigliò: «Qualche cosa che non va dalla vostra parte?»
«Non lo so… venite a sentire.»
Tornati nel compartimento dove era installata la piccola cucina, i due premettero l’orecchio contro il portello, e ascoltarono a lungo quel crepitio misterioso. A un tratto, McKenzie osservò: «La polvere si muove, non c’è dubbio, non capisco perché. Ora abbiamo un altro indovinello da risolvere.»
«Come sarebbe, un altro?»
«Già, non capisco cosa stia combinando la temperatura. Continua a salire, ma non con la rapidità che dicevo io.»
Il fisico sembrava molto seccato che i suoi calcoli si fossero rivelati inesatti, ma per Pat quella era la prima buona notizia dopo il disastro.
«Non fate quella faccia avvilita; tutti possiamo sbagliare. E se il vostro errore significa che abbiamo qualche giorno di vita in più, mi pare che non sia il caso di prendersela.»
«Ma non è possibile che mi sia sbagliato! Si tratta di un conto elementare: sappiamo quanto calore generano ventidue persone, e sappiamo che deve pure disperdersi da qualche parte.»
«Ma quando dormono ne producono meno; forse è questa la spiegazione.»
«E vi pare che avrei trascurato un elemento così ovvio?» replicò seccamente McKenzie. «No, non è questo il fattore determinante. C’è qualche altra ragione per la quale non ci stiamo riscaldando quanto dovremmo.»
«Be’, accettiamo il fatto come sta e ringraziamo il Cielo» disse Pat. «Piuttosto, che diavolo sarà questo rumore?»
Con evidente riluttanza, McKenzie riportò la sua attenzione sul nuovo enigma.
«La polvere si muove, noi invece no, quindi si tratta probabilmente di un effetto locale. Del resto, si verifica soltanto in coda allo scafo, a quanto sembra. Chissà se questo significa qualcosa.» Indicò la paratia dietro di sé. «Che c’è dall’altra parte?»
«I motori, la riserva di ossigeno, l’impianto di raffreddamento…» L’impianto di raffreddamento! Ma sicuro! Ricordo di averlo notato quando sono salito a bordo. Le alette del radiatore sono là dietro, vero? «Si.»
«Ora capisco cos’è accaduto. Si sono talmente arroventate che la polvere ha cominciato a circolare, come qualsiasi liquido che viene scaldato. All’esterno si è formata una fontana di polvere, e sta disperdendo l’eccedenza di calore interno. Non staremo proprio freschi, ma potremo sopravvivere.»
Nel chiarore rossastro, i due uomini si guardarono. Poi Pat disse:
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