Arthur Clarke - Polvere di Luna

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La polvere che ricopre la luna non è né liquida né solida: e in questo mare uniforme e infido si svolge la spaventosa avventura del battello Selene, mirabilmente narrata ora per ora da uno dei maestri della fantascienza moderna. Seguendo il drammatico «montaggio» del bestseller di Clarke il lettore vedrà subito perchè una grande Casa di produzione abbia già acquistato, a poche settimane dalla pubblicazione, i diritti cinematografici di questo «Titanic» del futuro.
Alla fine, però, il film non è stato girato, e il romanzo è fra i meno ristampati in Italia del grande autore britannico: appare infatti in sole tre edizioni italiane!

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«Potete controllare la temperatura della cabina» disse McKenzie. «Così avremo una prima idea.»

Hansteen andò al quadro di comando e gettò un’occhiata a quel labirinto di spie e indicatori.

«Ho paura che abbiate ragione» disse. «La temperatura è già salita di due gradi.»

«Circa un grado all’ora. Come immaginavo.»

Il commodoro si rivolse a Harris, che aveva ascoltato la situazione con ansietà crescente.

«Non si può fare niente per aumentare il raffreddamento? Che potenza ha il nostro impianto d’aria condizionata?»

Prima che Harris potesse rispondere, il fisico intervenne. «È inutile» disse quasi con impazienza. «L’impianto non fa altro che pompare calore dalla cabina e disperderlo all’esterno. Ma è proprio quello che non può fare ora, per via della polvere che abbiamo intorno. Se lo forziamo al massimo non faremo che peggiorare le cose.»

Segui un silenzio lugubre. «Va bene» disse alla fine il commodoro «controllate quei calcoli e fateci sapere al più presto i dati che vi risultano. E, per amor del Cielo, fate in modo che questa scoperta rimanga fra noi.»

In quello stesso momento, sebbene nessuna delle due parti fosse a conoscenza del fatto, una delle slitte mandate in perlustrazione stava passando sopra il Selene. Progettate come unità veloci, efficienti ed economiche — e non per la comodità dei turisti — le slitte da polvere erano piccoli veicoli aperti, con un sedile per il pilota e uno per un passeggero, entrambi in tuta spaziale, e un telo in alto per dare riparo dal sole. Un quadro di comando ridotto all’essenziale, il motore e le due eliche posteriori, e lo scomparto per utensili ed equipaggiamento, completavano l’insieme. Di solito, quando una slitta svolgeva le sue normali funzioni, si trascinava appresso uno o due pattini da carico; ma stavolta non aveva rimorchi. Aveva percorso in ogni senso parecchie centinaia di chilometri quadrati di mare, e non aveva trovato assolutamente nulla.

Attraverso il telefono, il pilota stava parlando col compagno.

«Di’, che fine avranno fatto, George? Per me, qui non ci sono.» E dove vuoi che siano? Comunque, è meglio fare rapporto alla base. Abbiamo coperto tutta la zona assegnataci, ed è inutile ricominciare da capo, almeno finché non sorge Sole, Questo maledetto chiaro di Terra mi dà i brividi.

Accese la radio e chiamò la Base.

«Slitta Due chiama Controllo Traffico… passo.»

«Qui Controllo Traffico Porto Roris. Trovato niente?»

«Nemmeno una traccia. Nessuna notizia li da voi?»

«Pensiamo che non si trovasse in Mare aperto. L’ingegnere capo vuole parlarvi.»

«Bene, passatemelo.»

«Pronto, Slitta Due? Qui Lawrence. L’Osservatorio ha appena segnalato un movimento sismico nei pressi delle Montagne Inaccessibili. Ha avuto luogo alle 19,35, cioè all’ora in cui il Selene si sarebbe dovuto trovare al Lago del Cratere. All’Osservatorio pensano che sia stato travolto da una valanga da quelle parti. Dirigetevi verso le montagne e vedete se potete individuare qualche sfaldamento recente.»

«Ingegnere» s’informò preoccupato il pilota «che probabilità ci sono che si verifichino altre scosse?»

«Pochissime, secondo l’Osservatorio. Dicono che passeranno migliaia di anni prima che si ripeta un fenomeno del genere, ora che la scossa è avvenuta.»

«Speriamo che sia vero. Chiamerò quando sarò al Lago del Cratere, cioè tra venti minuti circa.»

Ma era passato soltanto un quarto d’ora quando la Slitta Due fece cadere le ultime speranze.

«Slitta Due chiama Base. Dev’essere proprio andata così, ho paura. Non ho ancora raggiunto il Lago del Cratere; sto ancora risalendo il canyon. Ma l’Osservatorio ha ragione; ci sono state parecchie frane, o abbiamo notevoli difficoltà per aggirarle. In questo momento ho davanti a me un masso di almeno diecimila tonnellate; se il Selene è finito lì sotto, non lo troveremo di certo. E non credo che valga la pena di cercarlo.»

Il silenzio al Controllo Traffico durò così a lungo che la slitta chiamò di nuovo. «Pronto, Base… mi sentite?»

«Vi sentiamo» rispose l’ingegnere capo con voce stanca. «Vedete se potete trovare qualche traccia del Selene; manderò la Slitta Uno a darvi una mano. Siete sicuro che non ci sia speranza di tirarli fuori?»

«Ci vorrebbero delle settimane, anche se si riuscisse a localizzare la posizione esatta. Ho visto un blocco di roccia lungo trecento metri. Se cercassimo di scavare, potrebbero verificarsi altri slittamenti.»

«State molto attento. Fate rapporto ogni quindici minuti, anche se non trovate niente.»

Lawrence, fisicamente e mentalmente esausto, si allontanò dal microfono. Non c’era più niente da fare, nessuno poteva fare niente. Cercando di riordinare le idee, si diresse verso la finestra d’osservazione che guardava a sud, e fissò il quarto di Terra che splendeva nel cielo, immobile sull’orizzonte. Perso nelle sue meditazioni, non si accorse che uno degli addetti alla radio stava cercando di richiamare la sua attenzione.

«Scusate, ingegnere… non avete chiamato la Slitta Uno. Devo farlo io?»

«Come? Ah, sì… chiamatela. Mandatela in aiuto alla Due, che è al Lago del Cratere, E dite al pilota che sospendiamo le ricerche nel Mare della Sete.»

La notizia che le ricerche erano state sospese raggiunse il Lagrange II proprio quando Tom Lawson, con gli occhi arrossati dalla fatica, aveva quasi terminato le modifiche al suo telescopio. Era stata una corsa contro il tempo, e adesso saltava fuori che i suoi sforzi erano stati inutili. Furibondo, lo scienziato si diede a smantellare il complicato congegno che aveva messo insieme prendendo a prestito pezzi diversi dagli altri strumenti del satellite. Tom non pensava alle vittime, pensava a quei bei titoloni: «GIOVANE ASTRONOMO RITROVA TURISTI DISPERSI…» che non sarebbero apparsi sui giornali dei vari mondi abitati.

Eppure il suo congegno avrebbe funzionato, ne era certo. La teoria era comprovatissima, basata su cento anni almeno di pratica. L’uso dei raggi infrarossi risaliva addirittura alla seconda guerra mondiale, quando venivano adoperati per individuare le fabbriche mimetizzate, tradite dal loro stesso calore.

Anche se il Selene non aveva lasciato tracce visibili sul Mare, una scia infrarossa doveva certamente essere rimasta. Le eliche avevano smosso la polvere relativamente calda a circa mezzo metro di profondità, sparpagliandola sopra lo strato molto più freddo di superficie. Un occhio capace di vedere le irradiazioni del calore avrebbe potuto seguirne la traccia per diverse ore dopo il suo passaggio. Ci sarebbe stato giusto il tempo, calcolava Tom, per seguire la perlustrazione a infrarossi prima che il sole sorgesse cancellando la pista calda lasciata attraverso la gelida notte lunare.

Ma, ovviamente, non valeva più la pena di tentare, ormai che si sapeva che il Selene era sepolto sotto migliaia di tonnellate di roccia.

Per fortuna, a bordo del Selene nessuno sospettava che le ricerche nel Mare della Sete erano state abbandonate, e che le slitte stavano concentrando i loro sforzi attorno al Lago del Cratere. Ed era inoltre una fortuna che nessuno fosse a conoscenza delle profezie del dottor McKenzie.

Date le circostanze, gli sforzi del commodoro Hansteen per tenere alto il morale sembravano privi di scopo. Avessero o no successo, nulla avrebbe potuto modificare la sorte che aspettava i passeggeri nel giro di ventiquattr’ore.

Ma erano poi così inutili quegli sforzi? Sebbene l’unica scelta stesse tra morire da uomini o morire da bestie, era pur sempre preferibile la prima soluzione. Il commodoro Hansteen ne era certo, mentre stendeva il programma per le poche ore vuote che ancora restavano.

Al momento, i passeggeri stavano chiacchierando allegramente tra loro, divisi in gruppetti. Quattro signori giocavano a poker, e la giornalista scriveva sui pochi foglietti rimasti nel suo taccuino: forse teneva un diario degli avvenimenti, un diario che nessuno avrebbe mai letto.

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