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Brian Stableford: Il giogo del tempo

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Brian Stableford Il giogo del tempo

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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— No, non ha guardato. Si è voltato dall’altra parte, come te. Ma che differenza fa se i vostri occhi erano rivolti là o no? — C’era amarezza e rabbia nelle sue parole. — D’accordo, io l’ho visto con i miei occhi, mentre voi due vorreste fingere di non aver potuto vedere. Siete degli ipocriti. Voi eravate lì. È accaduto davvero!

— Non c’era niente che potessimo fare — insistetti ostinatamente.

— Non ti preoccupare — disse John. — Tu sei sempre stato un codardo. Ma voi, Padre, siete voi quello che ha le risposte. Siete l’uomo che vive nel migliore dei mondi possibili e pensa che siamo tutti soddisfatti, tutti felici, che la lotta e la sofferenza siano servite a qualcosa e adesso siano finite. E allora?

— A volte — rispose il prete con un tono altrettanto amaro, sebbene la sua fosse un’amarezza diversa — si deve tacere. Questo non significa che approvi quanto ho visto, né che avessi paura di intervenire. Tuo fratello non è un codardo. Ha fatto quello che ha fatto per un motivo, perché non si poteva fare nulla. Ho fatto ciò che ho fatto perché sono stato obbligato. Non mi piace temere le conseguenze delle mie azioni. Mi piace agire, anche andando contro la logica, se devo. Anche quando non c’è nulla da guadagnare mi piace dimostrare di essere nel giusto quando lo sono. Aver agito lascia sempre un ricordo migliore che essere rimasti a guardare. Ma gli uomini non devono essere soggetti alle leggi e alla morale dell’uno o dell’altro. L’editto della Confraternita, al quale mi attengo, dice chiaramente che lo stile di vita adottato dagli uomini è affare loro e non deve essere messo in discussione. Possono essere aiutati se lo chiedono, ma non devono essere obbligati ad adattarsi al modello di vita di un altro uomo. Non devono essere cambiati perché un altro uomo crede che abbiano contravvenuto a qualche legge immaginaria o a qualche principio della natura umana.

“La Confraternita dell’Uomo Futuro predica sopra ogni altra cosa la tolleranza, e dobbiamo tollerare non solo i poveri e i deboli, chi è odiato e chi è rifiutato, ma anche i ricchi e i potenti, chi odia e chi rifiuta. Ciò che abbiamo visto non mi sembra una cosa giusta, ma se pare giusto a loro, se quello è il loro modo di vivere, allora non possono essere accusati di alcun crimine.”

— Perché? — protestò John. — Ditemi perché?

— Perché il mio compito, il compito della Confraternita, è legato all’Uomo Futuro, non solo all’uomo. La nostra legge consiste nel far progredire l’Uomo Futuro e guidare o usare gli uomini solo per servire questo fine. Per quel che riguarda tutto il resto, siamo tenuti a non interferire nelle loro vite, a meno che non siano loro a chiederlo. Non potevamo offrire a quel pover’uomo il tipo d’aiuto che ci stava chiedendo silenziosamente.

“Il nostro tempo è finito John, ricordatelo. Non abbiamo il diritto di trasformare gli altri in quello che vorremmo che fossero. L intera razza umana ha già dimostrato di non essere all’altezza delle proprie mire. Predicare un nuovo stile di vita non porterebbe a nulla di buono. Riaccenderebbe solo dei conflitti causati in passato da un tale atteggiamento. Il “mio” sforzo è volto a preparare la via per una nuova razza. Dall’uomo, forse proprio da uomini come questa gente di montagna, verrà l’Uomo Futuro, libero dalle nostre credenze e generato dalla nostra tolleranza. Non appena diventiamo intolleranti e cominciamo a obbligare altri uomini a seguire il nostro stile di vita, o qualunque altro stile di vita, allora diamo inizio allo scontro, e dallo scontro non può che derivare morte. All’uomo non deve essere permesso di distruggersi, John. Ci è andato vicino in più di un’occasione. Annientando se stesso annienterebbe l’Uomo Futuro. Il genere umano deve tramontare lentamente, ma prima di scomparire del tutto deve dare alla luce l’Uomo Futuro.”

— Non vi capisco — protestò John. — Non penso nemmeno che voi stesso capiate tutto quello che dite. Quando vi si rivolgono delle accuse, o delle domande, non fate altro che parlare, parlare e parlare. Conoscete a memoria frasi d’effetto, ma quando le mettete assieme non sono altro che sciocchezze. Non danno nessuna risposta, vi lasciate solo prendere la mano dalla vostra eloquenza. So che avete torto, filosofia o non filosofia, perché quello che avete fatto è sbagliato.

— Non so — disse l’omino pulendosi gli occhiali nella manica. — Non sono in grado di dirlo. Esiste davvero, così come tu dici o sembri far intendere, un “diritto” col quale dobbiamo confrontarci? Penso di no. Non esiste una regola cosmica, un ordine divino. Esiste solo la libera scelta: io ho scelto e rispetto la mia scelta. Non esiste nient’altro.

— Non farò mai una scelta come quella — dichiarò John. “Nemmeno io” avrei voluto aggiungere, ma temevo di averla già fatta.

Era quasi mezzogiorno quando vedemmo la statua. La curiosità e una certa stanchezza dovuta alla notte precedente mi spinsero a fermarmi e a scendere dal carro per studiare quello strano ornamento della solitaria strada di montagna. Anche Alvaro scese per sgranchirsi le gambe, mentre John rimase sul carro ostentando un totale disinteresse.

La statua era modellata con creta grigia e marrone. All’inizio pensai che i colori seguissero un qualche schema, o quantomeno che fossero stati usati in quel modo per ottenere un particolare effetto visivo, ma osservando più da vicino si capiva che erano stati accostati con assoluta casualità. Era come se lo scultore non si fosse curato di esaminare la natura dell’argilla che aveva impiegato, ma avesse semplicemente raccolto tutto il materiale disponibile e l’avesse modellato come veniva.

La statua sembrava la grottesca parodia di una figura umana. Era leggermente più bassa di me, aveva gli occhi deformi e una testa troppo grossa che le dava le sembianze di un bambino gigantesco. Al posto delle pupille c’erano solo due buchi ai lati del setto nasale. Le cavità oculari erano sfregiate, come se fossero state raschiate da un’unghia, forse per abbozzare le sopracciglia. Decisi che gli occhi della statua erano chiusi, sebbene la figura fosse in piedi e non si potesse certo supporre che dormisse.

Era calva, con un cranio arrotondato che non mostrava tracce di saldature ossee. La bocca era storta e le orecchie una massa informe di argilla applicata male, come aggiunta per ripensamento. La statua era nuda e la pelle intorno all’inguine appariva perfettamente liscia. Non vi era traccia di peli pubici né di organi genitali o escretori.

La giudicai una scultura piuttosto misera, anche se possedeva qualche qualità che mi intrigava. — Che ne pensate? — domandai ad Alvaro.

— Qualcuno si è divertito a modellarla — rispose — altrimenti non avrebbe scelto di metterla in mostra sul ciglio della strada.

Guardai le colline circostanti. — Non vedo nessun villaggio — osservai.

— Il territorio è così accidentato e tortuoso che il primo villaggio potrebbe essere a un chilometro di distanza o forse meno — mi fece notare. — Non riusciamo a spaziare molto con lo sguardo.

C’era del vero nella sua affermazione: le regioni montuose potevano confondere viaggiatori non avvezzi alle loro particolarità. Era estremamente facile perdere i punti di riferimento. Noi stessi ci saremmo smarriti di continuo, se non ci fosse stata la strada che, presumibilmente, rappresentava il percorso più breve per giungere a destinazione.

— Penso che ce ne siano altre più su — disse John indicando davanti a sé. C’erano davvero altre sagome grigie e marroni, ma sembravano distese, non in posizione verticale come quella accanto a noi.

Risalimmo sul carro e ripartimmo. A circa un centinaio di metri dalla prima, trovammo i resti di una seconda statua che qualcuno aveva abbattuto e fatto a pezzi. Da quel che potevamo vedere, sembrava che questa fosse in tutto e per tutto simile alla prima.

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