Brian Stableford - Il giogo del tempo

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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La seconda figura, appena dietro alla donna, era un uomo. Teneva le braccia incrociate sul petto. Era più basso di lei e vestito tutto di nero. Non riuscii a capire se fosse un suo compagno, un servo o una guardia.

Cominciai a spostarmi un poco, cercando un punto di vista migliore per osservare la coppia, ma ricordai l’ammonimento di John. Mi voltai a dare un’occhiata. Dietro a me Joaz stava salendo lentamente la collina. Riuscii a incrociare il suo sguardo e lo chiamai con un gesto. Joaz annuì ma non affrettò il passo.

Il disco iridescente cambiò sagoma allungandosi e arrotondandosi per poi ondeggiare e tremolare assumendo un aspetto più intricato. Lo osservai con attenzione, tentando di cogliere le complessità di quella nuova forma vagamente umanoide, ma il turbinio dei colori rendeva difficile individuare dei tratti precisi.

Joaz mi raggiunse, guardò la scena e si voltò verso di me. — Che cos’è? — domandò.

— È uscita dal terreno. La stavano aspettando. Non so perché.

Joaz ritornò a guardare la nube danzante che ora si muoveva più lentamente, mentre i suoi colori parevano protendersi e pizzicare qualcosa nella mia mente.

— Mi fa male — dissi, e mi accorsi che non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla cosa. Provai un improvviso brivido di paura e cominciai a pensare che quella cosa mi provocasse, che ci fosse un che di osceno nel modo in cui si muoveva. Sapevo che anche Joaz ne era affascinato. Più che vedere o sentire, percepivo la sua immobilità.

— Mi fa male — ripetei, felice di riuscire finalmente a parlare.

— Fa male anche a lei — disse Joaz, senza la minima emozione.

Era come se fosse iniziata una battaglia. La donna aveva stretto i pugni, continuava a serrarli. Il vento le premeva addosso il vestito e riuscii a vedere in risalto contro la stoffa sottile i muscoli della schiena irrigiditi.

Il buio stava calando in fretta e ora quella luce vivente era la sola fonte di illuminazione. Le stelle erano coperte da una spessa coltre di nubi. Sapevo che ormai John e Xavier dovevano essersi accorti della luce, ma non riuscivo a sentirli. Avrei voluto voltarmi per vedere se stavano salendo.

Il ritmo della danza accelerò nuovamente.

Sentii la bocca tirarsi in una smorfia, ma era come se fossero stati i colori a farlo, non i miei muscoli. Sentivo la pelle pizzicarmi come per il freddo, e avevo la sensazione che gli occhi fossero stati trasformati in due palle di ghiaccio.

Sembrava che i colori stessero sottraendo calore al mio corpo.

Sentii una mano sulla spalla, una mano che gentilmente, ma fermamente, mi voltò la testa. Non feci resistenza. La mia visuale passò dalla luce al viso di John.

La testa mi ronzava e tutte le sensazioni svanirono.

— Non guardarla più — disse John. Ma lui guardava da sopra la mia spalla. Ora era lui a fissare la luce. Cercai di mettergli la mano davanti agli occhi, ma John mi guardò dritto in viso e la scostò.

— Va tutto bene — disse. — Non mi farà niente.

— Che cos’è? — domandai.

— Uno sciame di mosche.

— Lucciole! — Risi in modo isterico, con un suono breve, stizzoso.

— Non lo so — rispose. — Non sono come quelle che conoscevo.

Mi chiesi come facesse a saperlo. — Riesci a distinguerle? — domandai. — Una per una intendo, non tutte insieme.

— Sì — rispose annuendo. Diedi un’occhiata furtiva a Joaz. Stava ancora guardando e sembrava pietrificato. Xavier era accanto a lui e con la mano si riparava gli occhi, sbirciando di tanto in tanto tra le dita. Tirai Joaz per la manica.

— Sta bene — mi assicurò John.

— Voglio guardare — dissi.

— D’accordo, ma riparati gli occhi — rispose.

Mi misi il palmo della mano sul viso e mi voltai. La figura infuocata si muoveva lentamente sulla brughiera e si avvicinava con decisione ai due in un modo che a me parve minaccioso. Sottili lingue di fuoco e lampi improvvisi guizzavano e tornavano nella massa che procedeva in modo irregolare. Ora che sapevo cos’era cominciai a scorgere le singole luci. Erano davvero solo lucciole.

La donna sollevò a mezz’aria le mani e schiuse i pugni per scacciare gli insetti. Ma lo sciame colorato ondeggiò e turbinò e la donna lo mancò. Poi fu avvolta dalla nube iridescente; e con lei, il suo compagno. Ma mentre lui rimase perfettamente immobile in un alone di colorì cangianti, lei si voltò e iniziò a correre.

Fu allora che vidi il suo viso terreo e spaventato. Gli occhi erano come scaglie di ghiaccio che scintillavano riflettendo la luce delle lucciole. La donna cadde al suolo inciampando nel lungo vestito.

I colori presero a fluttuare sulla sua sagoma prostrata, poi si dispersero lentamente, uno per uno, spegnendosi. Abbandonarono anche l’uomo. Quando ritornò il buio, l’uomo andò incontro alla donna per aiutarla. Nessuno dei due sembrava ferito. Li persi di vista nell’oscurità proprio mentre l’uomo si chinava per sollevare la compagna.

Allungai la mano intimorito per toccare John. La sua mano incontrò la mia e la strinse con forza.

— Cos’è accaduto? — domandai.

— Si sono sfamate, credo.

— Con cosa, col sangue?

— Non penso. — La sua voce era strana e distante. Riuscivo a malapena a vederlo.

— Subito mi ha fatto male guardarle — confessai.

— Non era dolore — disse. — Si stavano impossessando della tua mente, ecco tutto. Ne stavano solo prendendo possesso.

— Ma perché?

— Non lo so.

— Come fai a sapere così tanto senza sapere niente? — chiesi, irritato dalla sua calma.

— Non lo so — rispose di nuovo senza che la sua voce tradisse alcuna emozione.

— Joaz! — chiamai. — Cos’è accaduto? Siamo diventati tutti matti?

— No — disse. — Mantieni il controllo, Matthew. Penso che sia la droga.

— Vuoi dire che si tratta di allucinazioni?

— Oh, no. È reale. La droga sta affinando la nostra percezione e la sta estendendo lungo la linea del tempo. Tutti noi riusciamo a vedere di più, a capire di più. Disponiamo di una percezione più profonda, non solo più estesa. Forse abbiamo anche più forza.

— Ma perché voi riuscite a vedere e io no? — volli sapere.

— Ci stiamo adattando più velocemente. Ci vuole tempo, Matthew.

Scossi la testa. Il buio intorno a me cominciava di nuovo a spaventarmi. — Andiamocene — dissi. — Alla luce del giorno. Ovunque, ma lontano da qui.

— D’accordo — disse John, e continuò a tenermi la mano, mentre ci lasciavamo alle spalle l’oscurità e io incominciavo di nuovo a vedere.

Ma non volevo guardare, mi bastava sapere che potevo farlo. Ero molto stanco e volevo solo dormire. Mi sentivo la testa strana e pesante. Mi resi conto che mi appoggiavo a John e che mi sorreggeva con entrambe le braccia.

— Va tutto bene — disse. — È solo questione di tempo. Col tempo capirai. È una questione di adattamento. Presto dormiremo.

Non ricordo di essere andato a dormire. Non ricordo di aver fatto un’altra sosta, ma ricordo che, quando mi svegliai, ancora non sapevo cos’era successo all’uomo e alla donna, o a me, sulla collina.

Incominciavo solo a rendermi conto che il futuro era un luogo a noi estraneo. Un posto strano e orribile che avrebbe potuto dissolversi in un caos del tutto al di là della mia comprensione.

Ero consumato dalla paura. Ma c’era John accanto a me, John che era pronto e ansioso di conoscere tutto ciò che era nuovo, che voleva scoprire mondi alieni e nuovi concetti.

Avevo sempre avuto bisogno di John.

E, sapevo, ne avrei avuto bisogno sempre.

16. L’unicorno

La vegetazione si estendeva intorno a noi in un fitto intrico verde e marrone. Rami snelli e flessuosi ricadevano dai tronchi degli alberi sfiorando il terreno, si attorcigliavano formando archi aerei, intrecci e alveari di un verde cupo. L’erba cresceva ovunque non vi fossero i tronchi, raggiungeva i rami degli alberi e avvolgeva le foglie più basse.

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