Brian Stableford - Il giogo del tempo

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Specialista di mondi esotici e contaminati, Brian M. Stableford ci porta in un tempo in cui l’umanità sarà tornata alla superstizione e alla barbarie. Ma in quel mondo d’ombre circolano strane voci sulla prodigiosa scienza degli antichi. Bisogna ritrovare il Viaggiatore del tempo! Una pericolosa avventura aspetta Matthew e John, due pellegrini disposti a tutto pur di trovare quel mitico superstite… Il salvatore.

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Cominciai a cercare di nuovo la linea principale, l’Uomo e gli antenati dell’Uomo. Vidi il mastodonte, il rinoceronte lanoso e la tigre dai denti a sciabola.

Ma non vidi l’Uomo. Era insignificante, si nascondeva tra gli alberi. Se avessi davvero guardato con attenzione avrei potuto scorgerlo, ma c’erano troppe cose da vedere e la mia attenzione veniva continuamente sviata.

Mi balenò in testa che, se John fosse stato lì, lui sì che avrebbe visto l’Uomo. Lui non si sarebbe fatto distrarre.

Poi tutto finì. L’intera storia passò in una manciata di microsecondi. Penso di poter dire che la vidi, ma solo come immagine fuggevole, la più effimera delle illusioni.

John mi toccò la spalla.

— Credevo di sognare — dissi.

— No — intervenne Joaz. — Non era un sogno. Era una visione, una visione reale. Lo abbiamo visto davvero con i nostri occhi. — Joaz era alto e spettrale, aveva occhi scuri e una voce esile e acuta.

— Ma possiamo solo andare avanti nel tempo — insistetti.

— Non possiamo andare nel passato — disse John, e mi accorsi che c’era del rammarico nella sua voce per quell’Età dell’Oro che era scivolata via in un istante senza che avessimo la possibilità di conoscerla meglio. — Però lo abbiamo visto, e ora è dietro di noi, immobile e irraggiungibile. Ma c’è, è reale. Potevamo vederlo, e così è stato. Ma c’era troppo da vedere, e troppo poco tempo.

— Dove siamo? — si lamentò Xavier. Xavier era basso e tarchiato, e aveva costantemente un tremito nella voce, ma non per paura. Xavier era soprattutto un uomo buono: uno che piangeva per i problemi altrui e rimproverava se stesso per i propri.

Mi guardai attorno. Era buio ma c’erano le stelle, le sagge, immobili stelle. Eravamo sulla stessa collina, i nostri sandali calpestavano la stessa erba. Scrutai nell’oscurità alla ricerca del monastero.

— Guardale — disse Xavier indicando davanti a sé. — È ancora lì, non ci siamo mossi neanche un po’. La droga non ha fatto effetto.

— Non è lo stesso — disse John pacatamente. Era fiducioso e stava assumendo il comando della missione. Dopotutto era la sua ricerca, la sua missione. — È disabitato, Xavier. Forse è anche in rovina. Non ci sono luci, Fratello. Non ci sono luci.

— Ma non lo avrebbero mai abbandonato! — protestò Xavier.

— Neppure in cent’anni — disse Joaz, ambiguo.

Restammo in contemplazione. Avevamo viaggiato nel tempo. Il passato era trascorso, per sempre. Vi fu un lungo silenzio.

Poi John — non “poteva” che essere lui — scoppiò a ridere. — Siamo qui. Stiamo viaggiando nel tempo. Avanti Matthew, prendimi per mano. Prendiamoci tutti per mano e andiamo. Andiamo!

In tanti anni era la prima volta che lo vedevo così esultante, così pieno di gioia. Ci diede una gomitata e ci spinse tutti e tre. Lo seguimmo, non avendo più la forza di volontà per opporre resistenza.

Marciammo.

Continuammo a marciare e il tempo ci scorreva accanto sempre più veloce, sempre più veloce.

15. La danza

Sostammo ai piedi di una collina lunga e bassa. Eravamo molto stanchi. Avevamo camminato troppo pensando, insensatamente, che forse, poiché adesso controllavamo il passare del tempo, non avremmo più avuto bisogno di dormire o riposare. Il giorno e la notte si susseguivano a nostro piacimento, ma l’orologio interno del nostro metabolismo continuava a mantenere un orario perfetto.

L’erba era scura e ruvida quella sera, il tempo umido e nebbioso. Il paesaggio appariva cupo, quasi deprimente, come un acquerello dipinto con colori pallidi e indefiniti.

— Questo non è un posto dove passare la notte — ci fece notare Joaz. — Dovremo andare avanti almeno un altro po’.

— Non riesco più a fare un passo — disse Xavier, deciso. — Qui ci siamo fermati e qui intendo restare per almeno dieci minuti.

— Domani potrebbe andare molto meglio e non dev’essere lontano — intervenni.

— Sei proprio sicuro di raggiungere il domani? — domandò Xavier. — In quest’ultima ora ho cercato spesso di fermarmi ogniqualvolta vedevo qualcosa per cui valeva la pena farlo, ma la mia mente non è ancora così raffinata. Forse con la pratica riusciremo a scegliere i luoghi con esattezza. Ma adesso, in questo momento, ho bisogno di riposo.

John aveva ascoltato la conversazione in silenzio, con grande serietà; non disse niente, accontentandosi di aspettare.

— Siamo legati in qualche modo gli uni agli altri — disse Joaz. — Ecco perché abbiamo difficoltà a fermarci in un dato posto. Dobbiamo concentrarci tutti sullo stesso luogo.

— In che modo siamo legati gli uni agli altri? — domandai.

Joaz si strinse nelle spalle. — Non ne sono sicuro, ma suppongo attraverso uno stato mentale. Ci consideriamo come un gruppo e quindi restiamo insieme. In fin dei conti il viaggio nel tempo è solo una questione di percezione personale. Quello che pensiamo condiziona, se non ciò che vediamo, perlomeno il modo in cui vediamo.

Non avevo voglia di cercare di capire dove voleva arrivare con i suoi discorsi. Mi accontentai di non capire. Quel continuo dialogo metafisico mi stava logorando. Che importava perché stavamo insieme finché vi restavamo? Di certo quella era l’unica cosa che contava, fino a quando uno di noi non si fosse ritrovato da solo e in difficoltà, impossibilitato a ritornare dai compagni. Con un po’ di esitazione feci qualche passo, impaurito all’idea di poter scivolare nel tempo, sebbene sia Joaz sia John si muovessero con una certa libertà. Poi, preso coraggio, mi incamminai per la salita. — Niente in contrario se vado su e do un’occhiata intorno finché c’è luce? — domandai.

Mi ero rivolto a Joaz, che sembrava quello più a suo agio, ma fu John a rispondermi. — Qualche minuto — disse. — Non di più. E resta in vista. — Mi avviai verso la sommità della collina, affrettandomi per arrivare prima che la luce del tramonto svanisse.

Raggiunta la cima vidi, sull’altro versante, due figure che se ne stavano immobili mentre i loro vestiti fluttuavano nel vento. Esitai domandandomi se chiamare gli altri a dare un’occhiata, ma da un semplice sguardo mi resi conto che né Xavier né John sarebbero stati interessati, mentre Joaz mi dava le spalle. Mi voltai nuovamente a guardare trattenendo il respiro, ma non mi avvicinai.

Le due figure fissavano intensamente qualcosa che non riuscivo a vedere, non perché fosse nascosto, ma semplicemente perché non c’era. I due non parlavano… osservavano solamente. Erano rivolti quasi nella direzione opposta alla mia e ovviamente non potevano vedermi.

Dopo qualche istante dall’erba umida cominciò a salire, lenta e irregolare, una nebbiolina iridescente. Strisciava pian piano, come fumo vivo, incurante del vento. Si levò proprio dal punto dove i due guardavano, a riprova del fatto che lo stavano aspettando.

Gradatamente l’iridescenza formò un pergolato di vividi colori.

Non riuscivo nemmeno a immaginare che tipo di sostanza fosse. Sembrava trarre energia da qualche parte, ma non avrei saputo dire se dall’aria o dal suolo. Cominciò a espandersi in modo uniforme fino a circa due metri d’altezza. Poi smise di crescere e iniziò a ruotare sul suo asse verticale. Non si riusciva ancora a scorgere una forma ben definita, anche se la rotazione imponeva alle particelle, sempre ammesso che si trattasse di particelle, una distribuzione discoidale.

Senza smettere di vorticare, l’aria colorata cominciò a danzare. Volteggiando in modo ritmico e armonioso, dava l’impressione di seguire una melodia.

Una delle figure, alle quali finora avevo prestato ben poca attenzione, era una donna vestita di pizzo nero. Era immobile, fredda e irraggiungibile, e guardava con apparente indifferenza la nebbia colorata. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, ma il petto era proteso fieramente in avanti e la testa leggermente inclinata all’indietro, come se la donna cercasse di guardare dall’alto quella luce danzante. Teneva le braccia abbandonate lungo il corpo. Aveva un certo atteggiamento aristocratico.

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