Lo ero fino a un certo punto. Non mi sarei mai impegnato in favore di una convinzione così radicata che escludeva altre opinioni e modi di pensare più semplici, ma avevo sempre considerato Leon molto più convincente del loquace Alvaro con i suoi discorsi filosofici.
Leon si mostrò dispiaciuto quando gli dissi che partivo, ma per nulla sorpreso. La proposta del pellegrinaggio era nell’aria da molto tempo e penso che tutti avessero immaginato che alla fine sarei andato con mio fratello.
— Ti faccio i miei migliori auguri — disse Leon.
— Grazie — risposi, senza molto calore. Eravamo di fronte a una delle amate teche di vetro di Leon in cui cresceva la più preziosa delle cose a lui care. Aveva un aspetto piuttosto brutto, per nulla adeguato al grande ruolo che il suo distillato doveva svolgere. Era un fungo composto da un vasto reticolo di ife che punteggiava un grumo di humus, foglie morte, terriccio scuro e sostanza viscida, posto su un grande disco. I corpi fruttiferi, dai quali veniva estratta la droga del tempo, erano funghi con gambi corti e cappelle compatte e panciute. Le cappelle erano di colore grigio-marrone e la pelle esterna si staccava continuamente diventando rosso scura quando i tessuti morti si seccavano.
— È strano — disse Leon aprendo la teca, dopo aver indossato dei guanti, per staccare cinque o sei funghi. — Crescono molto in fretta ma otteniamo pochissimo elisir da tutta quella materia prima. Ci sono voluti anni per distillare la quantità di siero di cui disponiamo oggi, nonostante la velocità impressionante con cui i funghi si riproducono. Si nutrono di qualunque cosa purché sia in decomposizione.
— La droga è pericolosa? — domandai.
Leon separò accuratamente le cappelle dai gambi e cominciò a spappolarle in un recipiente di legno, facendo girare abilmente un pestello più simile a un bastone.
— Non si sa con certezza — rispose. — Lo sai, è stato difficile fare delle prove. Tutto quello che è stato scritto in proposito rischia di essere una semplice congettura. Se la si somministra a un uomo, questo sparisce, spiazzato nel tempo per settimane o per anni. Compilare un tabulato con i dati dell’esperimento è piuttosto complesso. Non sono nemmeno mai riusciti a trovare la giusta proporzione nel dosaggio. Varia molto da persona a persona.
“Ma non penso che tu debba preoccuparti. Quelli che sono tornati sembravano in salute. Ne abbiamo avuto qualcuno di passaggio in questi giorni, come il tuo amico che viaggiava nel tempo. Molti di loro proseguono, ed è probabile che passino oltre sorvolando questo tempo.”
— Sorvolano questo tempo… Vuoi dire che non si soffermano in quest’epoca?
— Probabilmente non la notano nemmeno. È tutta una questione di percezione, ricordatelo. L’occhio non vede e il corpo non si preoccupa. Be’, suppongo che debbano trovarsi qui, in qualche modo. Ma non riuscirei a individuarne neanche uno, a meno che non si fermasse a parlarmi.
— E quando si fermano, cosa succede?
— Compaiono e scompaiono. Da quello che so dalle esperienze di altra gente, non c’è schema, nel tempo che trascorrono. Appaiono perfettamente normali e non accusano disturbi alla percezione temporale. La droga sembra condizionare l’universo molto più di loro. Ma naturalmente questa è una deformazione della realtà. È solo il nostro punto di vista.
— Fino a che punto riusciremo ad arrivare, secondo te? — gli domandai.
— Fino alla fine, spero. Come ho detto non sappiamo molto sul dosaggio, ma ormai nelle beute dovrebbe esserci abbastanza droga per attraversare un miliardo di anni o più se è necessario. Ma non sono poi molti. La Terra è assai più vecchia. Dovendo esprimere un parere, però, penso che vi porterà dove vorrete, o dovrete, andare.
— Non so quanto sia lontano — confessai.
— Lo saprai presto.
— Mi chiedo come sarà — dissi. — Questa è una cosa che non ho mai domandato all’uomo che viaggiava nel tempo. Non ho mai pensato che un giorno avrei fatto la stessa cosa. Immagino che si passi semplicemente da un tempo all’altro come se si guardassero cose diverse, senza però soffermarsi a studiare con uguale attenzione tutto ciò che capita tra l’una e l’altra. Vediamo già così poco di quello che abbiamo davanti agli occhi!
Leon fece un ampio sorriso e continuò a spappolare la massa grigia nel mortaio, con movimenti del polso decisi e regolari. — Sarà proprio così — confermò.
Avendo fondato la mia analogia sui suoi ragionamenti, non mi sorprese il fatto che si trovasse d’accordo con me.
— È come attraversare la storia, la storia futura — continuò Leon. — È come dirigersi verso qualcosa di nuovo, fermarsi a osservare e passare davanti a ogni cosa senza il bisogno, né la capacità, di esaminare tutto. Dovrete sbrigarvi, non potrete fermarvi a contemplare le cose. Avete solo il tempo di una vita per arrivare fino alla fine del tempo. Ma immagino che tuo fratello non vi farà riposare. Non è il tipo da lasciare passare il tempo senza sfruttarlo.
— No — dissi. — Vorrà ripartire nell’istante in cui si fermerà. Niente riposo, nessuna possibilità di imparare e capire. È sempre stato così.
Leon appoggiò il mortaio con un colpo secco e si sfilò gli stretti guanti mentre con gli occhi già cercava l’apparecchiatura per la distillazione. Volevo ancora parlare, trascorrere quelle ultime ore nelle rassicuranti certezze delle mie conoscenze, ma Leon era occupato a distillare l’ultima goccia di droga, la goccia con cui probabilmente avremo avuto la visione dell’Uomo Futuro. Non voleva più essere disturbato.
John, Joaz e Xavier si preparavano in privato. Non sapevo dove trovare Alvaro e quelle erano le uniche persone che conoscevo abbastanza bene per poter parlare loro della partenza, del più importante dei miei giorni.
Così ritornai in giardino e vagai per i chiostri, assaporando l’aria fragrante, godendo della luce del sole come se fosse stata l’ultima volta.
Mi inginocchiai e tastai il terreno, strappai dell’erba e la toccai con la punta della lingua. Ascoltai il ronzio delle mosche e il verso delle cavallette. Solo poche ore prima quei suoni mi erano sembrati irritanti, mentre ora volevo ascoltarli fino a essere certo di ricordarli perfettamente.
Lasciai gli edifici del monastero e vagai per i sentieri della collina, immerso in un mondo che nei trentaquattro anni precedenti avevo considerato solo distrattamente.
L’ultima, lunga giornata.
Non avevo dubbi: mi stavo comportando come uno sciocco. Il domani avrebbe contenuto le stesse cose dell’oggi, sennonché non sarebbe stato il domani ma un insieme di centinaia di domani, separati da un lasso di tempo di cui non conoscevo l’estensione.
“A quale velocità si viaggia nel tempo?” mi chiesi.
“Si può correre o bighellonare?”
“Come ci ritroviamo se siamo separati?”
“Il movimento nello spazio è legato al movimento nel tempo o posso restarmene seduto a guardare il mondo che cambia intorno a me?”
Era tutto nuovo, troppo nuovo, e io ero così vecchio, radicato nelle mie abitudini e soddisfatto della mia esistenza.
Non come John, un ventenne ancora pieno di vita.
Non volevo andare. Ma dovevo farlo.
Fu un inizio di proporzioni cosmiche, grandioso e splendido. Ma ero stanco di questi continui inizi e del timore reverenziale per il cosmo. Ne avevo già avuto esperienza nei sogni indotti dalla droga che pervadeva il mio corpo e il mio sangue.
Allora ero sicuro che ciò che stavamo cercando fosse un’illusione. Volevamo delle risposte, cercavamo conclusioni, coronamenti. Ci aspettavamo che ogni cosa andasse a posto, come tessera di mosaico, per dare ordine e precisione a ciò che conoscevamo e credevamo.
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