Ma dopo quell’inizio, l’inizio del tempo stesso, ero certo che da questo caos non poteva scaturire alcuna chiarezza, né ordine o coerenza.
Sulle prime la successione delle immagini mi accecò. Mi ci volle del tempo per adeguarmi al Tempo, per far sì che i miei sensi fronteggiassero quel nuovo flusso che li aveva aggrediti. Lentamente mi resi conto che quanto stavo vedendo non era affatto il futuro ma piuttosto il passato. Milioni di anni passavano in un solo istante a una velocità incredibile, le pagine scorrevano e sfarfallavano.
La terra sotto i miei piedi fremeva, si muoveva e cambiava forma. Il giorno e la notte si susseguivano veloci e solo il debole tremolio delle immagini lasciava intendere che il giorno non era eterno. La traiettoria del sole era un arcobaleno lucente che andava da un orizzonte all’altro muovendosi rapidamente avanti e indietro nel cielo mentre le stagioni finivano ancor prima di cominciare. La sola sensazione fisica di cui avevo consapevolezza era un vento freddo e pungente che sembrava attraversarmi il corpo. Non era un vento reale, ma non so dire cosa fosse. Non vi era il minimo segno della presenza di John, Joaz o Xavier.
Le prime forme di vita cominciarono ad apparire, ma naturalmente non potei vederle. Mi rammaricavo del fatto che un tale avvenimento mi passasse accanto lasciandomi immaginare ciò che accadeva senza però poterlo osservare. Anche a quel ritmo febbrile il lavorio durò ben più dello spazio di un istante, ma tutto quello che riuscii a vedere in lontananza fu solo dell’acqua torbida. Intorno a me c’era una desolata distesa di roccia senza vita ma in movimento, perennemente tremante e instabile. Osservai le montagne prender forma per poi essere nuovamente erose dall’impeto dei secoli. Ma non potevo vedere le molecole formarsi e riformarsi, crescere e moltiplicarsi, minuscoli colloidi impalpabili che trovavano segreti dell’immortalità e della metamorfosi.
Aspettai da solo, o almeno così mi sembrò.
Vidi il mondo così come avrebbe potuto vederlo un dio, ma non ero dio perché ero impotente, e nessun dio può essere impotente se è destinato ad avere un significato al di là di se stesso.
Non avevo altra alternativa se non quella di imparare l’umiltà e rendermi conto che, anche se il Fato non era una forza attiva e vitale, costituiva uno stato mentale che concepiva accuratamente il modo in cui si presentava la realtà. In pochi secondi mi fu trasmessa una vasta gamma di esperienze, ma non rinunciai a quella transitorietà che poteva conferire un significato all’ambiente intorno a me. Ciò che vedevo significava qualcosa, anche se in pratica non vedevo quasi nulla.
Più tardi, non so quanto più tardi, riuscii finalmente a individuare degli esseri viventi. Mi imbattei nei fragili organismi trasparenti che vivevano nei ruscelli e negli stagni, e che talvolta mi scorrevano accanto o si formavano intorno a me. Spesso ebbi l’impressione di essere sull’acqua e non sulla terra, altre volte, quando il suolo si muoveva, avevo la sensazione di fluttuare a mezz’aria. Ma la mia posizione non mi sembrò mai precaria. Io restavo fermo e il tempo mi passava accanto.
Poi comparvero delle creature corazzate, alcune con duri gusci a spirale, altre con gusci appuntiti o spesse scaglie dentellate. Ma in un certo qual modo avevano ancora un aspetto fragile, come se le parti vitali si nascondessero in un bozzolo al minimo disturbo.
Non mi abituai mai completamente alla presenza della vita e di tutto ciò che essa implicava, ovvero un flusso continuo, un incessante cambiamento. Inizialmente vidi la vita come una corsa precipitosa, un inesauribile caos di competizione, speranza, estinzione. Ma ben presto percepii uno schema differente, un’immagine profonda e radicata che andava al di là della turbolenza superficiale.
Vedevo in quella vita qualcosa di calmo e pacato, qualcosa che sapeva dove stava andando e avanzava con circospezione, un conquistatore sereno che avanzava con una strategia sicura, trascinando nella propria scia svariate escrezioni. Un unico filo, però in qualche modo parte e funzione del tutto. La corrente primaria dell’evoluzione.
Ormai la terraferma era stata invasa e i mari completamente conquistati. Gli organismi primitivi uscivano tranquillamente e senza fretta da quel confortevole grembo per approdare al duro mondo dell’aria e della roccia. E là dove andavano le piante, seguivano gli animali. Appena un modo di vita era pronto per loro sulla terraferma, essi cominciavano a lasciare il mare.
Tuttavia per molto tempo la fucina della vita rimase il mare. La vita sulla terraferma era troppo ardua e troppo difficile perché le creature riuscissero ad adattarsi subito. Per un lungo periodo, che a me sembrò durare un minuto o poco più, ogni nuovo essere uscì dal mare. Il sistema di vita terrestre cominciò a muoversi in armonia e nella stessa direzione precisa solo dopo l’installazione di un migliaio di componenti di specie diverse. I nematodi uscirono dal mare, così come gli artropodi e infine i pesci. Gli osteolepidi privi di mandibola e muniti di esoscheletro salirono faticosamente sulla terraferma trasferendo la corrente primaria dell’evoluzione in questo nuovo habitat.
E così di seguito, procedendo con una precisione sempre evidente e visibile, mai confusa o nascosta.
Ormai mi ero completamente adeguato a questo nuovo modo di percepire il mondo. Penso che fossero passate solo quattro o cinque ore di tempo soggettivo. Ora non avevo più difficoltà a vedere cose, la cui durata media della vita poteva essere misurata solo in nanosecondi, costituirsi in un’immagine collettiva. Vedevo più con la mente che con gli occhi, ma entrambi registravano gli eventi e si predisponevano alla contemplazione.
Giunsi a comprendere intimamente il senso della vita, ma non tentai di divinizzarla o attribuirle qualità mistiche o magiche. Parlo di “senso della vita” perché si muoveva in una direzione ben precisa, aveva uno scopo, non si limitava a esistere. Costituiva un vero processo e non una proprietà. Lo scopo era l’ordine, la conquista dell’intero universo. L’intento era chiaramente quello di sovvertire il principio entropico e portare ordine nell’intera esistenza.
Grandi foreste di felci e di calamitacee consumavano il terreno spoglio, trasformando i raggi di sole in energia che generava nuova vita nell’aria e nell’acqua. Le lumache di terra e gli insetti erano ovunque ma, per quel che riguardava la linea principale, era il giorno dei rettili, che rifluirono subito in varie direzioni: alcuni tornarono al mare, come tartarughe e ittiosauri, altri salirono sugli alberi, come l’archeopterige, il primo rettile-uccello. In quanto a dimensioni, i dinosauri erano impressionanti, ma non facevano parte della linea principale. Quando raggiunsero il pieno sviluppo, già era sceso il crepuscolo dell’epoca dei rettili. Stavano arrivando i mammiferi. I rettili avevano inventato l’uovo protetto da un guscio solido, ma il ricordo a cui tenevo maggiormente era quello legato al brontosauro. Non si può immaginare la commozione nel vedere la disperata maestosità dell’animale, sconcertato dalla sua stessa stazza e dalla sua debolezza, durante la breve vita della sua specie destinata a estinguersi.
I mammiferi sembravano animali nocivi, mentre erano ancora in vita i loro parenti, ma i piccoli insettivori furono i mansueti che ereditarono la Terra. Ormai mancava solo un soffio alla venuta dell’uomo. Virtualmente la sequenza era completa. Appena me ne resi conto, provai un brivido di sollievo. Poiché ormai mancavano solo pochi secondi, tentai nuovamente di prevedere ciò che sarebbe avvenuto invece di esaminare ciò che era stato.
Mentre l’uintaterio e il megaterio mi passavano accanto con andatura impettita e maestosa, mi rilassai per la prima volta da quando avevo bevuto l’elisir. Giunsero i cavalli, e i lupi e gli ippopotami, ma mi chiedevo se non fosse tutto un sogno, se Leon e l’uomo che viaggiava nel tempo non si fossero sbagliati, se dopotutto si potesse veramente tornare nel passato.
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