Clifford Simak - Camminavano come noi

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Camminavano come noi: краткое содержание, описание и аннотация

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La crisi degli alloggi, che deve essere molto sentita anche negli Stati Uniti, ha probabilmente ispirato a Clifford Simak questo suo recentissimo libro, dove si dimostra come la sempre più difficile situazione in cui si trovano gli abitanti delle moderne metropoli possa avere, in realtà, un’origine extraterrestre, possa dipendere dalle oscure manovre di una razza d’invasori spaziali. E che l’umanità debba infine la sua salvezza non alla propria intelligenza o alle proprie armi, ma a un’altra «razza», tra le meno nobili del nostro pianeta, non è che una delle molte trovate di questo ironico e movimentato romanzo.

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— La radio! — gridai.

Borbottando, il taxista ritirò la testa dal finestrino e accese l’apparecchio.

Attendemmo un istante, poi ci giunse la voce eccitata di uno speaker: “… migliaia di loro, milioni. Non sappiamo chi siano, né da dove provengano…”.

Da tutte le parti, pensai. Non solo da questa città, né da questo Stato, ma da ogni parte del mondo, pensai. Ed eravamo appena all’inizio, perché la notizia non si era ancora diffusa ovunque tra gli alieni.

C’era difficoltà di comunicazione, nella zona in cui era avvenuto l’idillico incontro tra la puzzola e le due sfere, il mio inseguitore pseudo-umano e il finto denaro in tasca. Quelle due sfere si erano trovate lontane dai cunicoli.

Ora invece, la notizia cominciava ad arrivare a tutti gli alieni presenti sulla Terra, e forse anche oltre, a quelli lontani dal nostro pianeta. Ne avremmo viste quantità enormi precipitarsi qui, per godere l’estasi del profumo appena scoperto.

“La cosa ha avuto inizio” continuò la radio “quando uno sconosciuto ha scaricato un gran numero di puzzole all’incrocio tra la Settima e State Street, nel cuore della città. È inutile descrivere il trambusto provocato dal fetore di quelle bestiole fra la gente che affollava i marciapiedi.

“La polizia è stata informata che le puzzole erano state lasciate in giro da uno strano vecchietto con la barba, alla guida di un pick-up. Le volanti avevano appena iniziato l’inseguimento, quando hanno cominciato ad arrivare quelle cose. Difficile stabilire se esista qualche relazione tra la comparsa delle puzzole e di queste sfere. In principio ce n’erano poche, ma poi hanno continuato ad aumentare di numero a vista d’occhio, confluendo all’incrocio come un torrente in piena. Arrivano da ogni parte. Sembrano delle palle da bowling, di colore nero. Ora l’incrocio e le quattro strade che vi convergono sono letteralmente ostruite da queste sfere.

“Appena scaricate dal camioncino, le puzzole hanno cominciato a emettere il loro irresistibile fetore, probabilmente perché impaurite dal trovarsi in mezzo a tanta gente, in un luogo sconosciuto. Questo è servito a fare il deserto intorno a loro, perché tutti sono fuggiti a precipizio, abbandonando le macchine dove si trovavano, e creando un caos indescrivibile nel traffico di quella zona. Poi è arrivata la prima palla da bowling, che, a detta di testimoni oculari, saltava e girava come impazzita. Quindi ne sono giunte altre, e tutte insieme hanno preso d’assalto le puzzole, che hanno reagito come loro costume. A questo punto, l’atmosfera nell’area ha cominciato a diventare irrespirabile, a causa del fetore emesso dalle puzzole spaventate. La gente che aspettava in macchina che il traffico riprendesse a scorrere è stata costretta ad abbandonare le vetture e a fuggire a gambe levate, mentre continuavano ad affluire interi eserciti di palle da bowling.

“Adesso le cose hanno smesso di fare piroette, perché manca lo spazio materiale. C’è solo un’enorme massa di sfere che ribollono e si disfano, una vera montagna che dall’incrocio si sta allargando nelle strade vicine, sommergendo le automobili.

“Dal nostro punto di osservazione, sulla cima del McCandless Building, lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è incredibile, spaventoso. E nessuno, ripetiamo, nessuno sa cosa siano queste cose, da dove provengano e perché siano arrivate qui…”

— È stato il vecchio Eolo a scaricare le puzzole — balbettava Higgins. — Speriamo che se la sia cavata.

Joy mi guardò. — Era questo che volevi provocare, vero?

Annuii. — Finalmente ora la gente sa, ora ci ascolteranno.

— Perché lo non spiegate anche a me? — borbottò Higgins. — C’è di nuovo di mezzo Orson Welles, o che, stavolta?

— Torniamo in macchina — mi disse Joy. — Dobbiamo cercarti un medico. Ne hai bisogno.

— Mi ascolti bene — intervenne Higgins. — Io non c’entro con questa faccenda. La signorina mi ha chiesto di accompagnarla, e io ho lasciato il taxi e sono venuto con lei a cercare il vecchio Eolo. Mi ha detto che era questione di vita o morte.

— Va tutto bene, Larry — gli dissi. — Ed era davvero questione di vita o di morte. Non gliene verrà nessun danno, glielo assicuro.

— Ma la signorina ha incendiato una casa…

— Sono stata proprio stupida — disse Joy. — Ma ero accecata dall’ira. Pensandoci su, ora, mi sembra un’azione così inutile. Ma dovevo farla pagare a qualcuno, e ho seguito l’istinto. Quando hanno telefonato per dirmi che eri morto…

— Li abbiamo spaventati — osservai — altrimenti non ti avrebbero chiamata. Forse pensavano che stessimo attuando qualche piano che non erano in grado di prevedere. Per questo hanno tentato di ammazzarmi, e di spaventare te.

“La polizia chiede a chi è fuori città di non entrare” annunciò a mitraglia lo speaker. “Il traffico è letteralmente paralizzato, e non fareste altro che aggravare la situazione. Rimanete a casa, per favore, e state calmi”.

Pensai che gli alieni avevano fatto un grosso sbaglio. Se non avessero telefonato a Joy, le cose si sarebbero volte a loro favore. Io ero ancora vivo, certo, ma avrebbero impiegato poco tempo a trovarmi e a liquidarmi, e questa volta si sarebbero assicurati di portare a termine il lavoro. Evidentemente, presi dal panico, avevano commesso un errore, e adesso ne subivano le conseguenze.

In quel momento vidi una forma familiare dall’aria allegra, che camminava, anzi galoppava verso di noi, con la lingua penzoloni. Gigantesco e arruffato. Ci si accucciò davanti, battendo la robusta coda sul terreno in segno di gioia.

— Ce l’ha fatta, amico mio! — mi disse il Cane. — Li ha stanati tutti e li ha portati alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti gli esseri umani. Adesso la gente sa…

— Ma lei — gli chiesi — non era a Washington?

— Ci sono molti modi per viaggiare — sentenziò il Cane — molto più rapidi dei vostri aerei. E ci sono mezzi più efficaci del telefono per sapere dove si trova qualcuno.

— Adesso sono impazzito io! — gemette Higgins. — Ora c’è anche un cane che parla…

“Nessun allarmismo” riprese l’annunciatore. “Finora non si sa cosa siano queste strane forme, ma si troverà presto una spiegazione logica. La polizia tiene la situazione sotto controllo, e non bisogna…”

— Poco fa qualcuno di voi — chiese il Cane — ha pronunciato la parola “medico”. Che significa?

— È una persona che rimette in sesto i corpi degli altri — gli spiegò Joy. — Parker è ferito.

— Oh, ecco — disse il Cane. — Anche noi abbiamo il concetto di medico, anche se non c’è dubbio che i nostri si servano di un diverso modus operandi. È stupefacente, però, vedere quanti risultati identici si raggiungano pur seguendo diverse tecniche.

“La massa delle sfere continua a crescere — gracchiò eccitata la radio. — Hanno raggiunto l’altezza delle finestre al sesto piano, e dilagano per le strade vicine. Ne arrivano altre, a ritmo sempre più sostenuto! E via via che…”

— Ora che la mia missione è compiuta — disse il Cane — mi spiace dirvi addio. Non che abbia contribuito granché, però è stato bello visitare la Terra. Il vostro è un pianeta incantevole, sappiate custodirlo con amore.

— Un momento solo — dissi. — Ci sono ancora molte cose da…

Le mie parole caddero nel vuoto, perché il Cane era scomparso.

— Che il cielo mi strafulmini — disse Higgins. — Ma era qui sul serio, o me lo sono sognato?

Non aveva torto, poveraccio. Il Cane era stato con noi, ma adesso era tornato a casa, al pianeta lontano e alla (chissà quanto) strana dimensione da cui proveniva. Non se ne sarebbe andato se ci fosse stato ancora bisogno di lui, ne ero certissimo.

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